Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato il 15 ottobre di stare seriamente valutando l’ipotesi di condurre operazioni militari via terra contro i cartelli della droga in Venezuela, un’azione che rappresenterebbe un ampliamento delle recenti operazioni navali contro le imbarcazioni dei narcotrafficanti al largo delle coste del Venezuela stesso.
Durante una conferenza stampa tenuta insieme al direttore dell’Fbi Kash Patel, Trump ha affermato che le forze armate statunitensi hanno «quasi completamente fermato» le attività di narcotraffico via mare, aggiungendo che è giunto il momento di colpire anche via terra, visto che sul mare la situazione è ormai «sotto controllo».
Il giorno precedente, il 14 ottobre, le forze armate statunitensi avevano effettuato il quinto raid contro un’imbarcazione di narcotrafficanti al largo del Venezuela, eliminando sei narcotrafficanti. «Le informazioni d’intelligence – ha spiegato Trump – hanno confermato che l’imbarcazione trasportava stupefacenti, operava in collaborazione con reti di narcoterrorismo ed era in transito lungo una rotta nota delle organizzazioni di traffico di droga».
Il 3 ottobre, il ministro della Guerra Pete Hegseth aveva annunciato un’altra operazione simile contro un’imbarcazione coinvolta nel traffico di stupefacenti nella stessa area, la quarta dallo scorso settembre.
Tredici cartelli e organizzazioni attive in America Latina e nei Caraibi, tra cui il gruppo venezuelano Tren de Aragua, sono stati dichiarati organizzazioni terroristiche, dall’insediamento di Trump lo scorso gennaio.
Parallelamente alle operazioni militari, Washington ha intensificato la pressione politica sul presidente venezuelano Nicolás Maduro, accusandolo di appoggiare i cartelli della droga.
La tensione è aumentata in agosto, quando il ministero della Giustizia statunitense ha raddoppiato la ricompensa offerta per informazioni che portino alla cattura di Maduro, passando da 25 a 50 milioni di dollari. Lo stesso giorno, il viceministro degli Esteri Christopher Landau aveva dichiarato che le relazioni con il Venezuela «sono passate dalla diplomazia alla sfera dell’applicazione della legge», così spiegando l’estrema particolarità del rapporto Usa-Venezuela: «Di solito, quando vi sono divergenze tra Paesi, i rappresentanti dei due governi si incontrano per trovare un terreno comune: questo è il senso della diplomazia. Ma questo presuppone che entrambi abbiano un vero governo. Purtroppo non è il caso del Venezuela, che è stato sequestrato da una banda criminale», facendo evidentemente riferimento ai brogli elettorali delle ultime presidenziali denunciati dall’opposizione venezuelana, capeggiata dal recente Nobel per la pace, Maria Corina Machado, attualmente perseguitata dal regime di Maduro.
Nelle settimane successive, gli Stati Uniti avevano dispiegato diverse unità navali nel Mar dei Caraibi meridionale e un reparto d’assalto anfibio dei marines. Caracas ha reagito definendo il concentramento militare statunitense una minaccia diretta e ha posto le proprie forze armate in stato di allerta.
All’inizio di settembre, quando Trump ha ordinato il primo attacco contro le imbarcazioni dei narcotrafficanti venezuelani, aveva dichiarato che gli undici uomini uccisi appartenevano alla pericolosa organizzazione criminale Tren de Aragua e che «operavano sotto il controllo di Nicolás Maduro». Due giorni dopo, due velivoli militari venezuelani avevano sorvolato una nave da guerra statunitense nel Mar dei Caraibi, provocando lo scramble di ben dieci caccia F-35 dalla base americana di Porto Rico.
L’amministrazione Trump ha informato il Parlamento federale che gli Stati Uniti si trovano in una «situazione di conflitto armato non internazionale» contro i cartelli del narcotraffico, definendoli «combattenti illegali».
La scorsa settimana, il Senato statunitense ha respinto un’iniziativa promossa dai democratici che mirava a limitare l’uso della forza militare in operazioni non esplicitamente autorizzate dal Parlamento.