La trentennale alleanza tra l’Iran e la dittatura cinese

di Redazione ETI/Andrew Thornebrooke
13 Ottobre 2025 12:53 Aggiornato: 13 Ottobre 2025 16:27

L’amministrazione Trump questa settimana ha imposto nuove sanzioni contro diversi soggetti cinesi coinvolti nell’acquisto e nell’importazione di petrolio iraniano.

Il sostegno del regime comunista cinese al regime degli ayatollah, sia sul piano economico che politico, si è consolidato nel corso di trent’anni. Questo aiuto ha spesso coinvolto industrie iraniane sanzionate, sebbene i meccanismi precisi con cui la Cina opera rimangano in parte poco chiari. Gli Stati Uniti hanno cercato negli anni recenti di fermare le esportazioni di petrolio iraniano, in risposta al finanziamento da parte di Teheran del terrorismo internazionale, ma il regime cinese è tutt’ora di primo importatore mondiale di petrolio iraniano ed è riuscito in gran parte a evitare conseguenze delle sanzioni americane. L’Onu in questo contesto è, nel migliore dei casi purtroppo inutile, considerato il potere che la dittatura cinese ha in seno alle Nazioni Unite: la Cina è membro del Consiglio di Sicurezza (come lo è l’alleato russo) e controlla notoriamente buona parte dei gangli dell’Organizzazione.

Il regime cinese ha iniziato a rafforzare le relazioni con l’Iran all’inizio degli anni ’90, appena dopo aver subito un duro colpo di immagine in Occidente per la repressione violenta delle manifestazioni degli studenti, culminata nella strage di piazza Tienanmen del 4 giugno 1989.
Le relazioni tra Pechino e Teheran si sono approfondite negli anni ’90 allargandosi agli investimenti nelle infrastrutture e al sostegno diplomatico reciproco in sede Onu. Nel 1997 la Cina si era impegnata a costruire un oleodotto da un miliardo di dollari che avrebbe dovuto collegare il giacimento petrolifero di Uzen in Kazakhstan all’Iran; quel progetto non è mai giunto a compimento ma, nello stesso anno, l’Iran già forniva circa l’11 percento delle importazioni petrolifere cinesi, secondo un rapporto del 2000 della Rand Corporation. Nello stesso periodo si ritiene che Cina e Iran abbiano iniziato le cosiddette operazioni di «armi in cambio di petrolio», in cui Pechino paga il petrolio iraniano con armi invece che denaro.

Il Partito comunista cinese ha sempre fatto investimenti miliardari nello sviluppo energetico in Iran anche durante l’espansione del programma nucleare iraniano. Le due dittature hanno sottoscritto nel 2021 un accordo strategico in cui definiscono gli Stati Uniti e i loro alleati come «seminatori di discordia» e prevedono l’entrata dell’Iran della Nuova via della Seta. Da quel momento in poi, quasi tutte le esportazioni di petrolio iraniano sono dirette in Cina, che  resta il maggior acquirente del petrolio iraniano nonostante le sanzioni internazionali: attualmente si ritiene che circa il 15 percento delle importazioni cinesi di petrolio provenga dall’Iran, nonostante nel 2023 il regime cinese abbia cessato di rendere pubblici i dati sull’importazione di petrolio iraniano, definendo al contempo «illegali» le sanzioni internazionali sul greggio iraniano.

Con l’aumento delle pressioni economiche e diplomatiche da Washington, il regime cinese ha però anche cercato di “ripulirsi”, scaricando la responsabilità delle importazioni di petrolio iraniano dalle grandi società controllate direttamente dal Partito comunista a decine di imprese minori, note come “raffinerie teiera”: impianti più piccoli (che in ogni caso operano in collaborazione con le grandi aziende di Stato) che negli ultimi anni sono diventate il mezzo principale per sostenere economicamente gli alleati del regime cinese: Iran, Corea del Nord e Russia. Il loro ruolo è cresciuto con l’inasprimento delle sanzioni sul petrolio, grazie all’uso di altri stratagemmi per nascondere l’importazione e la lavorazione di greggio iraniano, tra cui la famigerata “flotta ombra” (navi la cui proprietà è difficilmente rintracciabile), la falsificazione dei dati Gps delle petroliere e la miscelazione del petrolio iraniano con greggio di altra provenienza per poterlo spacciare per non iraniano.
E per evitare il tracciamento delle transazioni a livello bancario, i regimi di Cina e Iran sono arrivati al punto di abolire il denaro e tornare al baratto: nel 2023, ad esempio, la Cina ha investito oltre 2 miliardi e mezzo di dollari per modernizzare il più grande aeroporto iraniano, facendosi pagare in petrolio invece che in denaro, e il Pcc continua a finanziare numerosi progetti in Iran quali giacimenti, ferrovie, centrali energetiche e impianti di lavorazione dei metalli.

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