Hamas libera gli ostaggi e si arrende Vittoria di Trump e trionfo di Netanyahu

di Giovanni Donato
9 Ottobre 2025 9:45 Aggiornato: 9 Ottobre 2025 16:52

Israele e Hamas hanno raggiunto l’accordo: gli ostaggi a casa e via da Gaza Hamas e i soldati israeliani. Dopo aver reso noto che entrambe le parti avevano approvato l’intesa, il presidente degli Stati Uniti ha annunciato ieri che gli ostaggi ancora trattenuti da Hamas saranno liberati nei prossimi giorni, idealmente entro lunedì prossimo, 13 ottobre.
Ma alla notizia, di gran lunga, più importante – ossia la liberazione degli ostaggi dopo due anni di prigionia – si aggiunge la notizia “clamorosa” che Israele, in cambio, non farà uscire dalle proprie carceri i mille e 200 circa terroristi (molti ergastolani) come invece aveva richiesto Hamas. E non solo: secondo l’intesa di ieri, Hamas rinuncerà al controllo della Striscia di Gaza.

Tradotto: la “divisione Gaza” di Hamas si è arresa. I suoi capi, di fronte alla quasi certezza che l’esercito israeliano li avrebbe tutti uccisi, hanno deciso di abbandonare Gaza. Esattamente come richiesto da Benjamin Netanyahu.

«Sono estremamente orgoglioso di annunciare che Israele e Hamas hanno rafforzato con la loro firma la Fase Uno del nostro piano di pace. Questo significa che tutti gli ostaggi verranno liberati a breve e Israele ritirerà le truppe lungo una linea concordata, quale primo passo verso una pace forte, stabile e durevole» ha scritto ieri, 8 ottobre, Donald Trump su Truth. In un’intervista concessa in serata al giornalista di Fox News Sean Hannity, Trump ha poi annunciato la costituzione di un Consiglio di Pace, che sarà incaricato di supervisionare la transizione e la ricostruzione postbellica.
Donald Trump, inoltre, ha preannunciato una visita ufficiale in Medio Oriente che probabilmente inizierà sabato 11 ottobre: «Mi recherò verosimilmente in Egitto, dove al momento sono radunate tutte le parti in causa».

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha commentato la novità tramite Telegram: «Una giornata grandiosa per Israele. Domani convocherò il governo per ratificare l’accordo e riportare a casa tutti i nostri preziosi ostaggi». E poi: «Il mio ringraziamento più profondo va al presidente Trump e al suo staff per la dedizione dimostrata in questa missione sacra della liberazione degli ostaggi».

A seguito dell’annuncio, anche Hamas ha diramato una dichiarazione: «Esprimiamo grande apprezzamento per l’opera del Qatar, dell’Egitto e della Turchia quali mediatori e riconosciamo altresì l’impegno del presidente statunitense Donald Trump, orientato a porre fine alla guerra e a garantire il completo ritiro dell’occupazione dalla Striscia di Gaza […] Chiediamo al presidente Trump, agli Stati garanti dell’accordo e a tutte le parti arabe, islamiche e internazionali di vincolare il governo dell’occupazione affinché assolva integralmente a tutti i propri obblighi, senza lacune né ritardi».

Restano irrisolte numerose questioni centrali: la definizione delle linee di ritiro e dei futuri assetti di sicurezza, il destino della gestione politico-amministrativa della Striscia di Gaza (Hamas lascia un vuoto di potere che non deve essere colmato da un’altra organizzazione terroristica), il disarmo delle milizie, la ricostruzione la pacificazione di Gaza e il ruolo delle varie parti internazionali nel garantire e supervisionare gli accordi.
In sintesi, le decisioni più complesse e determinanti per il futuro di Gaza restano da definire nei prossimi negoziati: al momento l’accordo Israele-Hamas è limitato alla sospensione delle ostilità, alla liberazione degli ostaggi, al ritiro delle truppe israeliane e alla capitolazione di Hamas.

E qui si giunge all’aspetto più interessante e inaspettato dell’accordo raggiunto ieri a Sharm el Sheik. Perché, nell’ambito dell’accordo concluso ieri, la sola “contropartita” da parte di Israele è il ritiro del proprio l’esercito dalla Striscia di Gaza.

Sul piano politico regionale, questo sviluppo per Netanyahu rappresenta una vittoria schiacciante e su tutta la linea. Primo, perché la liberazione degli ostaggi era per Hamas l’unica merce di scambio che poteva costringere Israele a liberare i suoi terroristi, una questione di altissimo valore sul piano tanto simbolico-politico quanto strategico-operativo, perché quei terroristi appena scarcerati avrebbero ripreso a fare l’unica cosa che sanno e vogliono fare: distruggere Israele. Secondo, perché Hamas ha dovuto anche accettare di abbandonare per sempre da Gaza, la propria roccaforte, senza una reale contropartita.
Perché in cambio, Netanyahu, non concede di fatto nulla. Anzi: il primo ministro israeliano guadagna anche su quella che dovrebbe essere la sua concessione, perché si obbliga solo a fermare la (costosa e impegnativa e impopolare) guerra a Gaza. Una “concessione” per modo di dire, insomma. Perché giova qui ricordare che la devastante carneficina scatenata a Gaza da Israele, è solo una reazione all’orribile massacro del 7 ottobre 2023. Una reazione che ha sempre avuto due obiettivi: salvare gli ostaggi israeliani e eliminare in modo totale e definitivo Hamas da Gaza. “Eliminare” – questo Netanyahu lo ha spesso ribadito – per Israele non significa necessariamente uccidere tutti i membri di Hamas presenti a Gaza – che è l’extrema ratio – ma fare in modo che all’interno di Gaza non rimanga nemmeno un solo individuo di Hamas. E questo risultato Netanyahu lo ha ottenuto.

I dirigenti di Hamas – sull’altro fronte – pur di “salvarsi la pelle” hanno dovuto non solo abbandonare il sogno di vedere tornare a casa i propri terroristi (che messi insieme formano un esercito) ma anche deporre le armi e levare le tende. Una decisione che, fra l’altro, scredita completamente Hamas agli occhi del mondo arabo, considerato che fino a ieri i suoi diversi “portavoce” escludevano nella maniera più categorica di deporre le armi (evidentemente bluffando) in nome del diritto all’auto difesa della Palestina.

Hamas non muore lasciando Gaza: ha altre basi in Medio Oriente e in Pakistan. Quella a Gaza è una ritirata strategica. Israele è troppo più forte sul piano militare e dell’intelligence: restare a Gaza avrebbe significato morte sicura (e anche inutile). Hamas continua a godere ampiamente dell’appoggio di diversi regimi. Ma rimane il fatto che, nell’economia della jihad, quella incassata a Sharm el Sheik sia una sconfitta a dir poco cocente. Perché per Hamas la propaganda è importante quanto e più della lotta armata stessa. Perdere la faccia davanti a decine di milioni di arabi e andare via da Gaza con la coda fra le gambe è un danno di immagine incalcolabile. Che inizia a alimentare un dubbio: forse anche Hamas è – come i regimi che la tengono in piedi – solo una tigre di carta.

 


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