Il riconoscimento dello Stato palestinese non significa nulla senza gli Stati Uniti

di Redazione ETI/Epoch Israele
24 Settembre 2025 15:49 Aggiornato: 24 Settembre 2025 16:56

Tra tutti i Paesi che hanno recentemente riconosciuto uno Stato palestinese indipendente, quello considerato più importante dai palestinesi è la Gran Bretagna. Dal punto di vista dei palestinesi, l’annuncio del primo ministro britannico Keir Starmer costituisce una svolta significativa nella politica della prima nazione che, attraverso la Dichiarazione Balfour del 1917, ha dato il la alla fondazione dello Stato di Israele.

La decisione britannica è considerata dalla dirigenza palestinese un cambiamento significativo nella politica estera di Londra, dopo decenni in cui il riconoscimento era legato a un accordo di pace, e un successo sulla scena internazionale degli Stati arabi. Tuttavia, sembra che l’uomo della strada palestinese non ne sia molto entusiasta, tutt’altro, visto che questo non sta fermando la guerra nella Striscia di Gaza e l’espansione degli insediamenti israeliani nei territori di Giudea e Samaria. Molti palestinesi si interrogano quindi sul significato pratico del riconoscimento dello Stato palestinese, visto che non sembra stia cambiando niente. Il che, dall’altra parte della barricata, è confermato dai commenti del governo Netanyahu che – al di là delle proteste di rito – sostiene che uno Stato palestinese non esisterà mai, perché – questa è la linea di Netanyahu  – l’Autorità Nazionale Palestinese, legata a doppio filo con Hamas, semplicemente non ha capacità e/o la volontà di far convivere pacificamente il popolo palestinese in un territorio confinante con Israele.

Allo stesso tempo, Hamas sta cercando di spacciare nel mondo arabo questo risultato politico come una conseguenza diretta dell’attacco alla Striscia di Gaza e del massacro di israeliani che ha perpetrato il 7 ottobre 2023. In questo senso, si dimostra vera l’accusa di Netanyahu e Trump: un simile riconoscimento ora equivale a concedere una vittoria (che peraltro nella realtà dei fatti non esiste, anzi) a Hamas.
Il commentatore politico palestinese affiliato ad Hamas, Ali Baghdadi, sostiene che alla base della decisione britannica e di altre simili in Europa ci siano stati innanzitutto gli eventi del “Diluvio di Al-Aqsa” (così Hamas definisce l’attacco terroristico del 7 ottobre): l’opinionista ha dichiarato alla Testata qatariota Al-Khaliq Online che senza quell’attacco il dibattito sulla questione palestinese e sulla soluzione dei due Stati non sarebbe tornato sotto la luce dei riflettori: «Prima dell’operazione Al-Aqsa, la questione palestinese era nel dimenticatoio e il discorso si stava spostando verso la normalizzazione, come se la terra di Palestina fosse senza padrone».

La conferenza internazionale di New York, tenutasi a fine luglio in collaborazione con l’Arabia Saudita e la Francia e con la partecipazione degli Stati del Golfo e di decine di altri Paesi, è stata presentata come un primo passo verso la trasformazione del consenso internazionale sulla soluzione dei due Stati in un piano d’azione concreto. L’Arabia Saudita ha annunciato lo stanziamento di 300 milioni di dollari dalla Banca Mondiale per sostenere l’economia palestinese e rafforzare la resilienza della popolazione.
Nell’ambito della conferenza, sono stati istituiti otto comitati internazionali per discutere le componenti del futuro Stato palestinese: economia, sicurezza, ricostruzione, giustizia e istituzioni. L’obiettivo: la creazione di uno Stato unito e sovrano entro i confini del 1967, con un calendario chiaro e supportato a livello internazionale.

Importanti personalità politiche di Gerusalemme affermano che, nonostante l’impulso politico filo-palestinese e nonostante la conferenza organizzata da Arabia Saudita e dalla Francia e le dichiarazioni che ne sono seguite, non vi sarà alcun cambiamento reale e che tutto questo fermento non sta esercitando alcuna pressione reale su Israele e sugli Stati Uniti.
Israele risulta infatti resistere indisturbato sulle proprie posizioni, grazie soprattutto al sostegno dell’amministrazione Trump, soprattutto in sede Onu. Il veto americano nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite impedisce qualsiasi mossa concreta contro Israele, e quindi rende di fatto impossibile la realizzazione dello Stato palestinese, visto che Gerusalemme sta procedendo con l’occupazione totale della Striscia di Gaza.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu incontrerà Donald Trump a Washington il 29 settembre per coordinare con gli Stati Uniti la risposta ufficiale di Israele.


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