La religione e la salvezza non interessano più al mondo occidentale moderno. Ora ci si preoccupa più della propria individualità e della «realizzazione di sé», idea che vediamo declinata in mille modi diversi. Ma cosa significa?
Una delle conseguenze dell’abbandono della religione e della salvezza è legata al mantra spesso ripetuto “si vive una volta sola”, intendendo con questo che dovremmo goderci la vita e realizzarci ora. L’evidente implicazione è che dovremmo occuparci di spremere dalla vita fino all’ultima goccia e non perdere nulla di quanto essa ha da offrire prima di andarcene. Ecco perché sentiamo parlare sempre più spesso delle “lista dei desideri”: è diventato un errore morale, se non un vero e proprio crimine, non aver spuntato tutto dalla nostra “lista dei desideri”… Quindi, datevi da fare!

Inoltre, questa “autorealizzazione” consiste nel perfezionare il “sé”, termine che ha sostituito ‘anima’. In certi contesti queste parole sono sinonimi, ma il loro significato diverge sempre più uno dall’altro. La tradizionale idea di anima si riferisce al lato immateriale e immortale di un essere umano che è infinitamente prezioso, ma imperfetto, e ha bisogno di essere salvato, sia attraverso Dio che, ad esempio, attraverso l’Ottuplice Sentiero del Buddismo.
In realtà, se ci pensate bene, tutte le religioni esistono proprio perché gli esseri umani sono imperfetti e sentono, forse intuitivamente, di aver bisogno di un intervento superiore per liberarsi dal mondo: attraverso una fede si possono compiere i passi necessari per uscire dal ciclo del peccato o dal ciclo dei desideri terreni.

Il sé, invece, è diventato il “me”: una persona buona che ha bisogno di fare più yoga, diventare vegana, “essere gentile” e così via, al fine di realizzare la perfezione che è già presente, già dentro di me. Di conseguenza, vediamo lezioni online che ci mostrano come sconfiggere la cosiddetta “sindrome dell’impostore” (oggetto di studio nella psicologia), secondo cui il mantra principale è che dobbiamo dire a noi stessi: «Sono abbastanza bravo». In un certo senso, quindi, non dobbiamo fare nulla. (di conseguenza, dimenticate lo yoga, il veganismo e la gentilezza). Dobbiamo solo credere in noi stessi e la nostra vera incredibile “perfezione” risplenderà, e non ci sentiremo mai più degli impostori!
Naturalmente, l’idea che «si vive una volta sola» non ha un significato letterale, piuttosto è un presupposto pericoloso. Come ha osservato lo scrittore e conduttore televisivo Peter Stanford: «Immaginiamo di essere molto più intelligenti delle epoche passate, che la loro saggezza possa essere superata dalla nostra, filtrata dalla scienza, dalla logica e dalla ragione. I risultati sono fuorvianti e scoraggianti».
Forse, la verità è che viviamo due volte. Praticamente tutte le culture del passato la pensavano così, e la maggior parte delle persone nel mondo oggi la pensa così: si stima che circa l’84% della popolazione mondiale abbia un credo religioso che prevede una vita dopo la morte.

Il matematico, filosofo e teologo francese del XVII secolo Blaise Pascal argomentò sull’esistenza di Dio con la sua celebre “scommessa”, concludendo che sia razionale credere in Dio, perché se hai ragione e Dio esiste, c’è una grande ricompensa; ma se hai torto e Dio esiste davvero, c’è potenzialmente un enorme svantaggio! Inoltre, se Dio non esiste, che tu creda o meno il destino è identico: la fine di tutto. Quindi avendo fede in Dio le ricompense sono superiori, implicando, come è ovvio, che si crede non in una sola vita ma anche in un’altra oltre la morte (cioè la seconda vita).
Pascal sottolineava che non si tratta soltanto della questione di esistenza o meno di Dio in funzione del paradiso e dell’inferno. Sosteneva che credere in Dio comporti benefici morali, così come anche nell’Ottuplice Sentiero del buddismo è presente una dimensione morale, poiché accettare il buddismo significa accettare la validità dell’Ottuplice Sentiero che, come i Dieci Comandamenti, impone di agire moralmente.
È interessante notare che è proprio la questione morale a dominare il mondo antico e la sua visione dell’aldilà. Per “morale” si intende che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Significa chiedersi: abbiamo vissuto in accordo con i principi più alti dei nostri ideali condivisi e della nostra coscienza? Il grande scrittore romano Cicerone affermava: «Via, quindi, con le pratiche subdole e gli inganni, che naturalmente desiderano passare per saggezza, ma sono lontani da essa e totalmente diversi da essa. Perché la funzione della saggezza è quella di discriminare tra il bene e il male; mentre, nella misura in cui tutte le cose moralmente sbagliate sono malvagie, l’inganno preferisce il male al bene».
Arriviamo quindi alla parola chiave: saggezza. Quando siamo in grado di distinguere tra il bene e il male possediamo la saggezza, che sta alla base di una vera moralità. Se si riflette attentamente, è la questione morale – cosa è giusto e cosa è sbagliato? – a dominare ogni aspetto della nostra società odierna, non solo quella passata.
Il professor Mark William Roche lo ha espresso in questo modo: «La moralità non è un sottosistema tra gli altri, come l’arte, la scienza, la religione, gli affari, la politica e così via, che affiancano la moralità. Al contrario, la moralità è il principio guida di tutte le attività umane». Ne consegue che, se la moralità è la questione fondamentale per tutti noi, allora acquisire saggezza deve essere la conseguenza naturale del cercare di distinguere tra il bene e il male. Nei testi biblici, questo concetto è espresso in Proverbi 9:10: «Il timore del Signore è il principio della saggezza, e la conoscenza del Santo è comprensione».
Perseguire la saggezza, quindi, non è un’impresa secolare ma spirituale. I Greci lo sapevano molto bene, per questo avevano un dio della saggezza, o più precisamente, una dea, Pallade Atena.

È interessante notare che Atena era la figlia prediletta del padre, il dio supremo dei greci Zeus. Allo stesso modo, nel Libro dei Proverbi troviamo che la Saggezza è la preferita da Dio, «che gioisce sempre davanti a Lui». La Saggezza e il Potere supremo (Dio) sono legati da un rapporto intimo, indissolubile e inconcepibile che possiamo solo avvicinare in modo figurativo. Ma cosa possiamo imparare dalla mitologia greca sulla saggezza e sulla sua dea? Ci sono aspetti del suo essere rilevanti e significativi per la nostra vita odierna?
Credo di sì. Nella seconda parte di questa serie, esaminerò le origini e le attività della dea della saggezza e mostrerò come la sua figura simbolica abbia un profondo significato sotto molti aspetti.