L’Alzheimer, una malattia neurodegenerativa che affligge milioni di persone, rappresenta un’ardua sfida scientifica, aggravata dai costi elevati e dagli effetti collaterali dei trattamenti attuali. Ma un conservante comune, presente in bibite e migliaia di prodotti alimentari, potrebbe migliorare memoria e capacità cognitive nei pazienti, offrendo una prospettiva innovativa per contrastare la settima causa di morte nel mondo occidentale.
Un recente studio clinico su 149 pazienti con Alzheimer lieve ha dimostrato che l’assunzione quotidiana di benzoato di sodio per 24 settimane favorisce un miglioramento delle funzioni cognitive e riduce i livelli di proteine beta-amiloidi nel sangue, un indicatore chiave della patologia. I partecipanti, di età compresa tra 50 e 90 anni, sono stati suddivisi casualmente in gruppi che ricevevano un placebo o dosi di 500, 750 o mille milligrammi al giorno del composto. I risultati più rilevanti si sono registrati nei gruppi trattati con 750 e mille milligrammi, che hanno mostrato progressi significativi in orientamento, capacità di trovare parole e richiamo verbale. In particolare, la riduzione delle proteine beta-amiloidi è stata più marcata nei pazienti con livelli iniziali più alti della loro forma più dannosa.
Largamente usato in alimenti e bevande acide per prevenire il deterioramento, negli Stati Uniti il conservante è considerato sicuro dalla Food and Drug Administration, che ne autorizza l’uso fino a un massimo dello 0,1% nei prodotti. L’Organizzazione mondiale della sanità, fissa invece un’assunzione giornaliera accettabile tra zero e 20 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo, pari a circa 1.300 milligrammi al giorno per un adulto di 68 chili. Nonostante ciò, il composto non è privo di controversie: in combinazione con la vitamina C, può generare benzene, una sostanza cancerogena, ed è stato associato a iperattività nei bambini e possibili disfunzioni cellulari. Diversamente dai trattamenti convenzionali, che mirano a rimuovere le placche amiloidi dal cervello, il benzoato di sodio agisce su molteplici fronti. Potrebbe migliorare la comunicazione tra le cellule cerebrali bloccando un enzima che degrada la D-serina, un messaggero chimico cruciale per apprendimento e memoria, la cui attività si riduce con l’invecchiamento e nella malattia. Inoltre, il conservante contribuisce a mitigare lo stress ossidativo, un danno cellulare causato da molecole nocive, altro fattore determinante nell’Alzheimer. Ricerche precedenti hanno evidenziato che il composto attenua l’infiammazione nelle cellule immunitarie cerebrali e protegge i neuroni, incrementando i livelli di catalasi e glutatione, due antiossidanti essenziali contro il danno ossidativo.
Studi condotti a Taiwan hanno già offerto risultati incoraggianti. Nel 2014, un’indagine su 60 pazienti con lieve deterioramento cognitivo o Alzheimer lieve ha rilevato miglioramenti nel richiamo verbale e nell’orientamento, senza effetti collaterali significativi. Un trial più ristretto ha confermato questi progressi, rilevando anche variazioni nell’attività cerebrale tramite risonanza magnetica. Hsien-Yuan Lane, autore principale dello studio e direttore del Graduate Institute of Biomedical Sciences presso la China Medical University, ha dichiarato che i meccanismi attraverso cui il composto riduce i livelli di beta-amiloide rimangono ignoti. Thomas Holland, medico statunitense del Rush Institute for Healthy Aging, ha sottolineato l’unicità dell’approccio multi-target del conservante, che interviene non solo sull’amiloide, ma anche sullo stress ossidativo, offrendo un’alternativa pratica alle infusioni ospedaliere dei trattamenti attuali.
Gli esperti, tuttavia, invitano alla cautela. Lo studio ha misurato i livelli di amiloide nel sangue, non nel cervello, e i due non sempre corrispondono perfettamente. Inoltre, non è chiaro se il conservante assunto tramite la dieta influisca sul rischio o sulla progressione della malattia. Per confermare questi risultati, saranno necessarie indagini con imaging cerebrale o analisi del liquido spinale.
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