Video: Reuters
Al polveroso valico di Islam Qala, volti stanchi emergono da autobus sovraffollati: madri con neonati in braccio, bambini che trascinano sacchi. Sono alcuni dei più di 1,2 milioni di afghani che, solo nel 2025, sono stati respinti dall’Iran e dal Pakistan verso una patria che, per molti, appare ormai irriconoscibile.
Negli ultimi mesi, l’aumento delle espulsioni dall’Iran ha portato migliaia di persone in questa zona di confine nell’Afghanistan occidentale. Molti sono arrivati con addosso solo i vestiti che indossavano, espulsi senza cibo, acqua né preavviso. Gli operatori umanitari parlano di una crisi crescente. Per i rimpatriati, è l’inizio di un futuro incerto in un Paese segnato da disoccupazione e forti restrizioni — soprattutto per le donne.
«In Iran la situazione era tale che per un mese intero non siamo riusciti a uscire di casa», racconta Ali Reza Sultani, ex muratore a Mashhad. «Se mettevamo piede fuori, ci trovavamo davanti la polizia — ci fermavano, ci picchiavano, ci molestavano, ci portavano in centrale».
La sua storia non è isolata. Come molti, Sultani era fuggito anni fa dall’Afghanistan in cerca di sicurezza e stabilità. Ma tra il giro di vite delle autorità iraniane, la crisi economica e l’inasprimento dei controlli, le espulsioni sono aumentate, colpendo centinaia di migliaia di persone, soprattutto donne e bambini.
Un padre, Mohammad Arif, racconta la sua esperienza drammatica di detenzione e separazione: «Mi hanno arrestato e portato al centro di detenzione “Gardan-e-Tonbakoo” a Khavaran. Sono rimasto lì per tre giorni. I miei figli andavano e venivano, implorandoli: “Per favore, lasciate libero nostro padre — non abbiamo nessun altro che si prenda cura di noi”. I miei sei figli piccoli e mia moglie erano rimasti dall’altra parte del confine. Avevo soldi e documenti — questo è il mio exit paper — ma nessuno ascolta la voce dei poveri».
Con l’aumento degli arrivi, Islam Qala è diventato il centro degli sforzi umanitari e logistici. Nei momenti più critici, secondo le autorità, tra le 30 mila e le 50 mila persone hanno attraversato il confine in un solo giorno.
«I primi giorni sono stati molto difficili per noi», ha detto Mawlawi Hejrat, funzionario dell’Emirato che gestisce il punto di accoglienza alla frontiera. «Ma alhamdulillah [grazie a Dio, ndr], sono state prese misure: tutti hanno ricevuto acqua, cibo e medicinali in tempo. Tutto questo è stato possibile grazie alla collaborazione del popolo con l’Emirato Islamico».
Tuttavia, per molte donne, il futuro resta particolarmente cupo. Dalla presa del potere da parte dei talebani nel 2021, le restrizioni su lavoro ed educazione femminile hanno escluso molte donne dalla vita pubblica. Quelle che rientrano dall’Iran oggi affrontano non solo il trauma della deportazione, ma anche la prospettiva di un’esistenza senza lavoro, scuola o autonomia.
Le agenzie umanitarie chiedono un intervento internazionale urgente, mentre il numero dei rimpatriati continua a crescere e la pressione economica si aggrava in province di confine come Herat e Nimroz. Le organizzazioni avvertono che, in assenza di efficaci programmi di reintegrazione, la regione potrebbe affrontare nuove ondate di instabilità alimentate da povertà e disperazione.