Da Muhammad Ali ai Navy Seals, come gestire le difficoltà

di redazione eti/Epoch israele
7 Luglio 2025 13:47 Aggiornato: 7 Luglio 2025 13:47

Prendere decisioni sotto pressione, tra paura e incertezze, è una sfida antica per guerrieri, leader, medici, vigili del fuoco, manager e persone comuni, spesso chiamati ad agire in contesti di estrema instabilità, con poco tempo a disposizione. Nel corso del tempo, professionisti di diversi ambiti hanno affinato tecniche per mantenere lucidità mentale e operare scelte consapevoli anche nelle situazioni più critiche, offrendo spunti preziosi per chiunque.

QUESTIONE DI MENTALITÀ

All’inizio degli anni 2000, il dottor Charles Morgan dell’Università di Yale ha studiato i soldati del corso Advanced Survival and Reconnaissance, un addestramento militare estremo che simula condizioni ostili, cattura e interrogatori. Sottoposti a stress lieve, oltre il 70% dei partecipanti ha riportato sintomi dissociativi, come distacco o derealizzazione, che ne compromettevano le prestazioni. Con stress elevato, la percentuale superava il 90%. La differenza tra chi manteneva il controllo e chi cedeva era l’atteggiamento mentale: i soldati che vedevano la situazione come una sfida gestibile, anziché una minaccia, mostravano meno dissociazione e completavano i compiti con successo.

Steve Magnes, nel suo libro Do Hard Things (2022), spiega: «Percepire una situazione come stressante attiva il cortisolo, spingendo a evitare rischi. Ma interpretarla come un’opportunità di crescita stimola testosterone e adrenalina, favorendo un approccio orientato alla vittoria». Jocko Willink, ex ufficiale dei Navy Seals, adottava questa mentalità: di fronte a ogni ostacolo, rispondeva «Bene», trasformando difficoltà in opportunità. Equipaggiamento mancante? Impara a improvvisare. Infortunio? Rafforzati. Promozione persa? Dimostra il tuo valore. «Ogni problema — sosteneva, — nasconde un vantaggio».

Nel mondo dello sport, ricerche dell’Università di Loughborough su 12 campioni olimpici confermano questa tendenza: gli atleti che vedono lo stress come una sfida, non una minaccia, ottengono risultati migliori. Un esempio iconico è Muhammad Ali nel leggendario incontro del 1974 contro George Foreman. Sotto i colpi devastanti dell’avversario, Ali lo ha provocato sussurrando: «È tutto qui, George?». Ha trasformato la pressione in una sfida, minando la fiducia di Foreman e vincendo per knockout all’ottavo round.

COSTRUIRE LA FIDUCIA

Una meta-analisi, condotta dai ricercatori dell’Università del Galles, dimostra che l’autostima contrasta l’ansia da stress e migliora le prestazioni. Invece di inseguire record, si punta a prestazioni minime costanti, da incrementare gradualmente. Questo approccio, adottato da molti atleti, trasforma obiettivi ambiziosi in standard raggiungibili.

Gli esperti consigliano di misurarsi sulla media delle ultime cinque prestazioni, un traguardo realistico che garantisce stabilità. Non si tratta di abbassare le aspettative per sentirsi meglio, ma di impegnarsi per ciò che è realmente alla portata, costruendo una fiducia solida. Fondamentale è anche l’accettazione di sé: riconoscere la propria realtà neutralizza le insicurezze, come dimostrato dall’ammiraglio Jim Stockdale, prigioniero di guerra in Vietnam. Stockdale affrontava la sua situazione senza illusioni, ma con la convinzione di farcela, evitando l’ottimismo cieco che portava altri a crollare.

ADDESTRARSI ALLA PRESSIONE

Max Whitlock, ginnasta britannico, si è preparato alle Olimpiadi di Tokyo sapendo che solo l’oro sarebbe stato considerato un successo. Per gestire la pressione, si è allenato in un ambiente simulato, con telecamere che lo riprendevano, abituandosi all’esposizione. Questo “allenamento sotto pressione”, usato anche in contesti militari, introduce elementi stressanti per desensibilizzare corpo e mente. Meta-analisi confermano che migliora le prestazioni: gli atleti imparano a interpretare sintomi come tachicardia o ansia come reazioni normali, non come segnali di fallimento.

Magnes evidenzia un altro aspetto: l’atteggiamento verso l’incertezza. Il cervello cerca di ridurre il caos, ma la tenacia consiste nel tollerare l’ambiguità senza cedere. L’astronauta Chris Hadfield, accecato temporaneamente durante una passeggiata spaziale nel 2001, ha evitato il panico ricordando: «Nessuna situazione è così grave da non poterla peggiorare». In altre parole, agire avventatamente spesso significa peggiorare la situazione. Con calma, ha risolto il problema e completato la missione. Al contrario, Paula Radcliffe — detentrice del record mondiale di maratona — sotto il peso delle aspettative alle Olimpiadi di Atene 2004, è crollata emotivamente e si è ritirata al 36° chilometro, sopraffatta da caldo e pressione. «Mi sentivo come se avessi deluso tutti», ha commentato a fine gara.

PENSARE COME UN COMMANDO

I Navy Seals utilizzano quattro tecniche mentali per affrontare lo stress estremo. La prima è fissare obiettivi a breve termine: suddividere compiti complessi in micro-obiettivi, come “resistere fino a pranzo”, mantiene la concentrazione sul presente. La seconda è l’immaginazione guidata: visualizzare il successo in scenari difficili prepara la mente. Michael Phelps, prima delle Olimpiadi di Pechino 2008, immaginava ogni dettaglio delle sue gare. Ha vinto un oro nei 200 metri farfalla nonostante gli occhialini pieni d’acqua. Nella sua testa aveva già nuotato decine di volte “senza vedere”.

La terza tecnica è il dialogo interiore positivo. Mark Devine, ex Seal, durante un addestramento estenuante, contrastava pensieri negativi con frasi come «Ce la farò» e un pizzico di umorismo, riuscendo a completare mille addominali. La quarta è il controllo dell’eccitazione tramite la respirazione, come la “respirazione a scatola” (quattro secondi per inspirare, quattro secondi per trattenere l’aria a polmoni pieni, quattro secondo per espirare e quattro per trattenere l’aria a polmoni vuoti) o la “respirazione tattica” (inspirazione ed espirazione di quattro secondi senza mai trattenere l’aria). Studi del 2023 e 2021 dell’Università Helmut Schmidt dimostrano che queste tecniche migliorano precisione e riducono lo stress.

Phil Jackson, leggendario allenatore Nba, usava la respirazione sincronizzata per migliorare la concentrazione dei Los Angeles Lakers. Una revisione italiana del 2023 conferma che rallentare il respiro riduce l’ansia e potenzia l’attenzione negli atleti.

Queste strategie, nate in contesti estremi, offrono strumenti universali per affrontare lo stress. E dimostrano che la mente, se allenata, può trasformare le sfide in opportunità.

Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.


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