Come il pensiero può essere “medicina” o “veleno”

di redazione eti/Epoch israele
7 Luglio 2025 18:39 Aggiornato: 7 Luglio 2025 18:39

Frasi come «Le aspettative negative generano risultati negativi» o «Cambia i tuoi pensieri, cambierai la tua realtà» abbondano nei manuali di crescita personale e nella cultura popolare. Molti le considerano cliché superficiali, privi di fondamento scientifico, che semplificano la complessità umana. Ma è davvero così?

Da oltre 80 anni, gli studi dimostrano che il pensiero influenza la salute, nel bene e nel male. Si può morire per la convinzione di essere condannati, anche senza danni fisici, o guarire grazie alla fiducia in una cura, indipendentemente dal suo effetto reale.

Nel 1942, il fisiologo Walter Cannon, docente a Harvard, descrive il fenomeno della “morte voodoo”. In alcune culture indigene, individui muoiono dopo una maledizione, senza cause fisiche evidenti. Cannon cita una donna maori in Nuova Zelanda, convinta di aver violato un tabù sacro mangiando un frutto proibito: muore entro il giorno successivo, terrorizzata. Un altro caso riguarda un giovane maori, morto in poche ore per aver infranto un divieto sociale. Secondo Cannon, queste persone «perdono ogni forza, come svuotate».

Escluse cause fisiche, Cannon attribuisce queste morti all’isolamento sociale indotto dalla maledizione, che rende l’individuo vulnerabile e convinto di essere preda di spiriti maligni. Questo stato psicologico causa un rapido declino. Tuttavia, Cannon riporta anche un caso opposto: un medico, Lambert, in Australia, osserva un giovane nativo, Rob, gravemente malato dopo una presunta stregoneria. Un esame medico non rileva nulla, ma quando lo stregone ammette l’errore, Rob guarisce in poche ore, tornando al lavoro pieno di energia.

Oggi, la “morte voodoo” è vista come un’estrema forma dell’effetto nocebo, in cui aspettative negative generano sintomi fisici o aggravano condizioni senza cause mediche. Questo fenomeno si manifesta anche nella medicina moderna.

MORIRE SENZA MALATTIA

Nel 1974, il medico Clifton Meador descrive il caso di Sam Londe, un paziente del Tennessee a cui viene diagnosticato un cancro esofageo incurabile. Londe muore poche settimane dopo, ma l’autopsia rivela un esofago sano e solo piccoli tumori insignificanti nel fegato e nei polmoni. Meador si chiede: è stata la convinzione di essere terminale a ucciderlo? Anni dopo, riflette: «È morto di cancro, ma non a causa del cancro. Gli ho tolto la speranza?»

Un altro caso degli anni ’70 riguarda un paziente oncologico a cui viene predetto di avere tre mesi di vita. Muore puntualmente, ma l’autopsia mostra un cancro in fase iniziale, non letale. La diagnosi errata agisce come una profezia fatale. Gerald Milton, dell’Ospedale Universitario di Sydney, osserva che alcuni pazienti muoiono dopo una diagnosi, prima che la malattia diventi grave. «La consapevolezza di essere condannati è insostenibile», spiega. Una prognosi negativa può innescare un effetto nocebo letale.

Per questo, molti medici oggi evitano previsioni categoriche come «ti restano sei mesi», consapevoli che tali parole influenzano il decorso della malattia. Un caso del 1980, pubblicato su una rivista medica tedesca, descrive un uomo di 37 anni morto due giorni dopo un’operazione per un’ernia del disco, pur riuscita. Convinto del fallimento, mostra apatia e disperazione. L’autopsia non rileva cause fisiche: la morte è attribuita alla mente.

NOCEBO COLLETTIVO

L’effetto nocebo può colpire intere comunità. Nel 1998, in una scuola del Tennessee, un’insegnante avverte un odore «simile alla benzina» e sintomi come mal di testa e nausea. Presto, studenti e personale riportano disturbi simili. La scuola chiude, ma indagini approfondite non rilevano sostanze tossiche. Il fenomeno è classificato come «malattia psicogena di massa», una reazione collettiva in cui stress o paura generano sintomi reali senza cause ambientali.

CONDIZIONAMENTO PSICOLOGICO

Negli anni ’70, lo psicologo Robert Ader, pioniere della psiconeuroimmunologia, dimostra che il condizionamento psicologico può attivare risposte fisiche letali. In un esperimento, somministra a topi una soluzione di saccarina con un farmaco che causa malessere e sopprime il sistema immunitario. I topi associano il sapore dolce al malessere. Quando bevono solo saccarina, alcuni muoiono per una risposta immunitaria soppressa, innescata dalla mente.

IL POTERE DEL PLACEBO

Se il pensiero può uccidere, può anche guarire. Nel 1996, a Houston, il medico Bruce Mosley testa dieci veterani con osteoartrite al ginocchio. Solo due ricevono un intervento completo, tre un lavaggio e cinque un’operazione fittizia, con incisioni superficiali. Sei mesi dopo, tutti riportano meno dolore e maggiore mobilità, indipendentemente dal trattamento. Uno studio del 2002 su 180 pazienti conferma che l’aspettativa di guarigione, l’effetto placebo, è efficace quanto l’intervento reale.

Persino sapere di ricevere un placebo non ne riduce l’efficacia. Ted Kaptchuk, docente a Harvard, testa 80 pazienti con sindrome dell’intestino irritabile. A 37 viene dato un placebo etichettato come tale. Dopo 11 giorni, riportano miglioramenti, e dopo 21 giorni i sintomi sono nettamente inferiori rispetto al gruppo di controllo.

CONTRASTARE IL NOCEBO

Per neutralizzare l’effetto nocebo, è utile coltivare emozioni positive. Uno studio su 193 volontari mostra che chi prova gioia o calma si ammala meno, anche se infetto da un virus, e riporta sintomi più lievi. La psichiatra Elizabeth Hoge, di Harvard, consiglia la mindfulness per riconoscere i pensieri negativi senza esserne sopraffatti.

Le parole dei medici sono cruciali. Dire «il 90% dei pazienti non ha effetti collaterali» invece di «il 10% rischia effetti gravi» riduce la paura. Uno studio del 2019 ad Amburgo dimostra che informare sull’effetto nocebo dimezza gli effetti collaterali di un placebo.

La filosofia stoica insegna che la sofferenza deriva dall’interpretazione degli eventi. Epitteto sostiene: «Non sono gli eventi a turbare, ma le idee che ne abbiamo». Riconoscere il dolore senza catastrofizzarlo limita il nocebo. La parabola buddista della “seconda freccia” spiega come la sofferenza cresca con le reazioni mentali. Una freccia colpisce un uomo, causando dolore fisico: la “prima freccia”. Se l’uomo si dispera o si arrabbia, si auto infligge una “seconda freccia”, aggravando il male con pensieri negativi.

La preghiera, per i credenti, infonde speranza, contrastando il nocebo. Studi mostrano che un coping religioso positivo — la convinzione che Dio sia amorevole e sostenitore, e le preghiere per ricevere forza e aiuto — migliora la salute mentale e fisica. L’approccio di Viktor Frankl, fondatore della logoterapia, sottolinea il significato: trovare uno scopo trasforma le aspettative negative in resilienza.

Il pensiero è un’arma a doppio taglio: può avvelenare o curare. Coltivando aspettative positive attraverso la psicologia, la filosofia o la spiritualità, si trasforma la mente in un potente scudo contro il nocebo. Tramite la resilienza e uno scopo definito, non solo si combattono le ombre della paura, ma si accende una forza interiore che plasma la salute e può riscrivere il destino.

Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.


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