Fbi accusata di insabbiamento interferenze elettorali nel 2020

di Redazione ETI/Eva Fu
7 Luglio 2025 17:16 Aggiornato: 7 Luglio 2025 17:16

Durante i preparativi per le elezioni presidenziali degli Usa nel 2020, l’Fbi avrebbe bloccato un’indagine su sospette interferenze cinesi. Il tutto per evitare di “contraddire” le dichiarazioni pubbliche dell’allora direttore Christopher Wray, sollevando quindi pesanti interrogativi sull’indipendenza e l’integrità dell’agenzia. Le email interne dell’Fbi, pubblicate il 1° luglio dal senatore Chuck Grassley, mostrano che un documento dell’intelligence del 2020 che analizza possibili brogli – forse legati al regime cinese – nelle elezioni in cui è stata attribuita la vittoria a Joe Biden, è stato stranamente ritirato lo stesso giorno in cui era stato presentato, nonostante avesse fatto grande scalpore.

Secondo l’indagine insabbiata, il regime cinese avevano prodotto nel 2020 migliaia di patenti di guida false, esportate segretamente negli Stati Uniti per consentire a «decine di migliaia di studenti e immigrati cinesi, simpatizzanti del Partito comunista cinese, di votare per Joe Biden. A fine luglio infatti la dogana statunitense aveva sequestrato circa 20 mila patenti false all’aeroporto O’Hare di Chicago, provenienti dalla Cina e dirette proprio agli studenti universitari negli Stati vicini. Il quartier generale dell’Fbi avrebbe giustificato il sequestro del documento con dei “dubbi” sull’affidabilità della fonte, ordinando all’ufficio di Albany (l’ufficio territoriale dell’Fbi che ha condotto l’indagine) di ricontattarla per ulteriori informazioni.

Ma il documento non è mai stato ripubblicato, nonostante i solleciti dell’ufficio di Albany e gli ulteriori dettagli rilasciati a supporto delle accuse iniziali. In base alle dichiarazioni delle «Persone coinvolte, il ritiro del documento è subito apparso anomalo», ha dichiarato il vicedirettore dell’Fbi Marshall Yates, sollevando ovviamente «seri interrogativi sull’integrità dell’intelligence americana e sulla sua vulnerabilità alle pressioni politiche». L’attuale vicedirettore dell’Fbi sottolinea poi che la fonte citata nel documento finora è sempre risultata del tutto affidabile.

Un agente dell’Fbi di Albany aveva criticato il motivo, abbastanza sospetto, del sequestro del documento: «io trovo preoccupante che si citi una contraddizione con la testimonianza di Wray come motivo per non diffondere il documento», un evento che denota «una certa faziosità, in contraddizione con la missione di essere totalmente apolitici» del Federal Bureau of Investigation. Non solo: un altro agente-analista di Chicago. aveva consultato l’ufficio di Albany per includere il rapporto in una nota di intelligence, ma l’8 ottobre 2020 la Foreign Influence Task Force dell’Fbi aveva giudicato le informazioni «non autorevoli», bloccandone la diffusione.

Nonostante lo scandalo, un funzionario dell’Fbi ora assicura che l’agenzia, sotto la guida del nuovo direttore Kash Patel, lavorerà per «porre rimedio agli errori passati e ricostruire la fiducia dell’opinione pubblica».

Il 2 luglio scorso il presidente Donald Trump ha condiviso un articolo sulle email inerenti allo scandalo, ma senza fare ulteriori commenti. Il senatore Grassley ha descritto i documenti come prova di un’Fbi «gravemente corrotta sotto il comando di Christopher Wray», accusandola di aver trascurato la sicurezza nazionale durante la pandemia, e ha espresso apprezzamento per l’attuale direttore e per il suo impegno di trasparenza.


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