Propaganda, manipolazione e guerra psicologica

Di Joshua Philipp

I mezzi di comunicazione, ormai, non sono più confinati a un singolo Paese o una singola area del pianeta: una persona in Iran può pubblicare un video che sarà visto dall’altra faccia della Terra, e a volte un post qualunque su Twitter può essere visto in tutto il mondo.

La copertura e la potenza dei mezzi di comunicazione di massa non è certo sfuggita a governi, agenzie di intelligence, grandi aziende e gruppi portatori di interessi particolari: tutti li usano per tattiche di guerra psicologica allo scopo di controllare le menti e le percezioni della gente.

La guerra psicologica (o propaganda) ha lo scopo di cambiare il modo in cui le persone percepiscono le informazioni. Questo può essere ottenuto con vari metodi, tra cui la formazione e promozione di false conclusioni basate su premesse veritiere, l’utilizzo di immagini per creare determinate percezioni di un problema, o l’utilizzo di articoli di giornale o altri mezzi di propaganda per provocare reazioni emotive subconsce e connesse a un dato problema.

James Scott, che collabora con l’Institute for Critical Infrastructure Technology e il Center for Cyber Influence Operation Studies, sostiene che ormai le operazioni di guerra psicologica delle grandi potenze agiscono nel mondo digitale.
Nella società di oggi, infatti, le dinamiche della fedeltà nei confronti di ideali e nazioni sono cambiate. Secondo Scott, la società moderna è composta di «tribù digitali» guidate da «capi tribù» che hanno diverse inclinazioni ideologiche.
«È importante il canale Youtube, il tizio su Twitter o l’hashtag che segui. Non il Senato – spiega Scott – Penso che i politici stiano ora comprendendo quanto siano irrilevanti. Le forze di sicurezza stanno cominciando a capire quanto poco controllo abbiano».
Forze estere e gruppi di ogni tipo hanno cercato di colmare il vuoto nato dal tramonto del classico patriottismo e della fedeltà alla propria cultura di appartenenza.

Gran parte di questa situazione si è originata in particolare a partire dai gruppi di studenti radicali e dai movimenti di sinistra, i quali hanno poi dato vita a innumerevoli gruppi con fini molto specifici che ora permeano la società.

Ai tempi della guerra in Vietnam, i vietcong dicevano di aver combattuto due battaglie: quella dei proiettili e quella delle parole. Delle due – per loro stessa ammissione – hanno vinto la seconda, e quindi anche la guerra.
L’Unione Sovietica, negli stessi anni, usava varie tattiche di sovversione ideologica, allo scopo di destabilizzare le società occidentali attaccando tutte le istituzioni che le rendono funzionanti, infiltrandosi in esse per destabilizzarle dall’interno.

E anche oggi, il Partito Comunista Cinese sfrutta le stesse tattiche: di recente è emerso un documento inviato dalle autorità della censura cinese ai mass media, che spiega le regole interne su come valutare (o non valutare) certi personaggi storici e quali informazioni su di essi possano essere presentate o meno.
Tutto allo scopo di mantenere l’illusione creata dal regime comunista mediante vari movimenti, come la Rivoluzione Culturale, che ha distrutto la cultura e la storia cinese per lasciare campo libero al sistema comunista.

Tutto questo si basa su un semplice principio: se si cambia l’interpretazione della Storia, si cambiano le interpretazioni dei valori da parte delle persone.
I cittadini che il regime riesce a plagiare, possono poi essere mobilitati per attaccare il resto del popolo, per provocare agitazioni e distruggere le società dall’interno agendo sul piano ideologico.

LA GUERRA DEI MEME

Secondo Scott è qui che la memetica si inserisce nella guerra psicologica. Il concetto di memetica ha a che fare con come un’idea possa venire introdotta in una società, come essa cambi nel tempo e che impatto abbia infine sulla cultura.

«Se si controlla il meme si controlla l’idea; se si controlla l’idea, si controlla il sistema di valori; se si controlla il sistema di valori, si controlla come vengono raccontati i fatti; se si controlla l’esposizione dei fatti, si controlla la popolazione».

«Al giorno d’oggi non si tratta solo della rivoluzione comunista». Nel mondo d’oggi anche le grandi imprese, le società di pubblicità e i gruppi detentori di particolari interessi, hanno appreso le tattiche sovversive dei movimenti comunisti «e hanno adottato queste tattiche per i loro scopi personali».

Persino le pubblicità «sono basate sulle guerra psicologica e della propaganda». Questo ha a che fare con l’opera di Edward Bernays, che – nel libro del 1928 intitolato Propaganda – ha introdotto il concetto di un pubblico visto unicamente come massa irrazionale guidata dall’istinto; Bernays ha quindi creato, su queste basi, delle tattiche ancora oggi utilizzate dalla pubblicità e dai governi.
Scott spiega che Bernays ha introdotto l’idea di «feticismo del consumo» e «ha utilizzato la propaganda per impiegare la psicologia come un’arma contro l’individuo».

Al momento, tuttavia, si assiste a un lento risveglio, in cui le persone iniziano a notare i trucchi legati a ideologie politiche, la stampa che diffonde notizie false e così via: «Penso che stiamo vivendo una specie di Rinascimento, per quanto riguarda il pensiero».
Scott paragona questo cambiamento con quello che sta accadendo con lo sviluppo tecnologico: la continua evoluzione delle tecnologie dell’automazione sta cominciando a mettere in pericolo i lavori manuali, e, se si andasse ulteriormente avanti in questa direzione, il mondo sperimenterebbe una distanza ancora maggiore tra ricchi e poveri.
«E lo stesso si avrà a livello psicologico: ci saranno persone che avranno un approccio attivo, che non si arrenderanno alla normalizzazione dell’anormalità e all’illusione della propaganda. Ma allo stesso tempo si avranno persone che semplicemente non ne sono consapevoli, che saranno lasciate indietro» .

Il punto di vista espresso in questo articolo è quello dell’autore e non riflette necessariamente quello di Epoch Times. 

 

Articolo in inglese: Seeing Through the Narrative Illusion

Traduzione di Vincenzo Cassano

 
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