Volkswagen sfrutta il lavoro in schiavitù in Cina?

Di Anders Corr

Volkswagen (Vw) è al centro dell’attenzione, sorpresa (almeno questa è l’accusa) a trarre vantaggio dal lavoro forzato in Cina.

Il 14 febbraio, Reuters ha riferito che un ricercatore tedesco sui diritti umani ha trovato prove fotografiche e dichiarazioni online che indicano che la Volkswagen (Vw) ha beneficiato di quello che sembra essere lavoro forzato, compreso quello di un’azienda di ingegneria che avrebbe usato uiguri vestiti con uniformi da esercitazione militare con fiori rossi come una sorta di marcatore.

Gli uiguri avrebbero costruito una pista di prova per una joint venture Vw nello Xinjiang, in Cina. Secondo il New York Times, la pista si trovava in un deserto per testare le auto in un «clima estremamente caldo». Lo Xinjiang è il luogo in cui Pechino sta attuando un genocidio contro gli uiguri, secondo quanto affermato da numerosi enti governativi di tutto il mondo, tra cui il Dipartimento di Stato americano.

A seguito delle nuove accuse, un fondo di investimento tedesco ha cancellato lo status di investimento sostenibile della Volkswagen.

Lo stesso giorno, il Financial Times ha pubblicato la notizia che migliaia di auto dei marchi Volkswagen – Porsche, Audi e Bentley – sono state sequestrate dalle autorità statunitensi per la presenza di un componente che potrebbe essere stato prodotto con il lavoro forzato.

Il Partito Comunista Cinese (Pcc) difende i suoi «programmi di lavoro» come mezzi di riduzione della povertà, ma nel 2022 l’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha definito l’abuso di Pechino sugli uiguri un potenziale «crimine contro l’umanità».

I gruppi uiguri hanno sostenuto che la joint venture della Volkswagen potrebbe trarre vantaggio dalla produzione di alluminio nello Xinjiang che utilizza manodopera in schiavitù. Human Rights Watch ha riferito il 1° febbraio che la Vw ha risposto a tali accuse affermando di non avere idea della provenienza dell’alluminio della joint venture.

Un portavoce della Vw ha cercato di minimizzare il coinvolgimento dell’azienda in un Paese che da anni è noto per il genocidio e il lavoro forzato. «Una piccola parte», ha affermato, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal il 15 febbraio. «Ci proviamo davvero, ma questo dimostra quanto sia difficile conoscere davvero tutto quello che accade in catene di fornitura complesse».

Davvero? Conoscere la propria catena di fornitura è difficile, in parte perché molte aziende non vogliono davvero saperlo.

Non appena Vw scopre che un pezzo particolarmente economico è prodotto con manodopera schiavizzata, ad esempio, deve confessarlo. Questo potrebbe portare a costosi sequestri di veicoli, ritiri e aggiornamenti. La sede centrale di Vw potrebbe essere costretta per motivi politici ad eliminare i fornitori cinesi e i partner di joint venture che agiscono effettivamente come società di facciata, scudi, intermediari o capri espiatori per Vw. Quindi dovrà scegliere fornitori più costosi. Nel corso del tempo, con l’aumentare dei costi e dei rischi, questi potrebbero costringere la produzione Vw a lasciare del tutto la Cina, il che farebbe arrabbiare il Pcc. Questo potrebbe danneggiare ulteriormente le vendite di Vw in Cina, già precarie, o costringere i concessionari Vw a chiudere completamente l’attività.

Pochi giorni dopo l’ultima serie di cattive notizie per la Vw, la casa automobilistica tedesca sembra aver iniziato a prendere in considerazione l’idea di sradicare i suoi impianti di produzione in joint venture dallo Xinjiang. Anche la Basf, l’azienda chimica tedesca più grande al mondo, avrebbe deciso di lasciare lo Xinjiang.

Ma lo Xinjiang non è l’unico luogo in cui vengono usati gli schiavi uiguri. Il Pcc li avrebbe spediti in altre province della Cina continentale, nell’apparente tentativo di nasconderli, dopo che le notizie sulle fabbriche chiuse a chiave nello Xinjiang sono emerse grazie alle ricerche di Adrian Zenz, attualmente membro di un think tank di Washington (per completezza di informazione: il signor Zenz ha pubblicato in precedenza rapporti con la pubblicazione di questo autore).

Il signor Zenz è la fonte delle ultime prove del lavoro forzato da parte della joint venture Vw. Ha riferito a Reuters che la risposta di Vw fino ad oggi, dato che il lavoro in condizioni di schiavitù nello Xinjiang è già noto, è stata inadeguata.

E a quanto pare Vw e Basf non hanno intenzione di lasciare la Cina per intero. Infatti, Basf prevede di investire quasi 11 miliardi di dollari in Cina entro il 2030. Nel 2023, Vw dipendeva dalla Cina per circa il 35% delle sue vendite. Eppure il governo tedesco sta incoraggiando le sue aziende a ridurre almeno in parte la loro dipendenza dalla Cina.

Il ministero degli Esteri cinese è andato su tutte le furie per l’atteggiamento solo leggermente più freddo che riceve dalla Germania. Secondo il New York Times, il 18 febbraio un portavoce del Ministero ha pubblicato una risposta scritta alle mosse di Vw e Basf, definendo le accuse «una menzogna del secolo inventata dalle forze anti-Cina per screditare la Cina» e separare l’economia del Paese dal mondo.

La separazione economica è un’idea eccellente per tutti i Paesi che praticano il lavoro in condizioni di schiavitù. Ma la separazione non deve risultare in maggiori investimenti degli Stati Uniti e degli alleati nel regime cinese attraverso una strategia «in Cina per la Cina», come stanno facendo alcune grandi aziende tedesche, secondo il Wall Street Journal. Saranno necessarie nuove leggi per garantire che la separazione risulti in un maggiore friendshoring e non in maggiori investimenti nel più grande avversario della democrazia.

Il 19 e 20 febbraio sono emerse almeno alcune buone notizie, forse non a caso, di miliardi di dollari di nuovi investimenti Vw in impianti di produzione negli Stati Uniti, in India e in Messico. La Vw potrebbe seguire un nuovo imperativo morale contro il lavoro in schiavitù. Oppure, potrebbe essere il risultato di aziende automobilistiche locali, le cui vendite stanno sottraendo quote di mercato alla Vw. Gli Stati Uniti e i nuovi Paesi preferiti per la produzione sono una scommessa decisamente migliore.

È ora che la Vw tagli le sue perdite morali e si sganci da tutta la Cina, non solo dallo Xinjiang.

 

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente i punti di vista di Epoch Times.

Anders Corr ha conseguito una laurea/master in scienze politiche presso l’Università di Yale (2001) e un dottorato in government presso l’Università di Harvard (2008). È direttore di Corr Analytics Inc., editore del Journal of Political Risk, e ha condotto ricerche approfondite in Nord America, Europa e Asia. I suoi ultimi libri sono The Concentration of Power: Institutionalization, Hierarchy, and Hegemony (2021) e Great Powers, Grand Strategies: the New Game in the South China Sea (2018).

Articolo in lingua inglese: Is Volkswagen Exploiting Slave Labor in China?

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