Taiwan, un modello nella lotta al Covid-19

Pur trovandosi a soli 130 chilometri di distanza dalla Cina, Taiwan sta registrando un numero di contagi 350 volte inferiore rispetto all’Italia

Di James Gorrie

Mentre il mondo è alle prese con la pandemia del virus del Pcc (Covid-19), è molto importante imparare le due lezioni diametralmente opposte che Taiwan e l’Italia hanno lasciato al mondo. All’inizio dell’epidemia, quando la città di Wuhan veniva devastata dal virus, gli epidemiologi hanno calcolato che Taiwan sarebbe probabilmente diventata il primo focolaio fuori della Cina.

Era una conclusione molto ragionevole, sia per la vicinanza dell’isola (appena 130 chilometri) sia per i profondi legami economici con la Cina, una situazione che rendeva molto tangibile la possibilità di un’epidemia.

Inoltre, con centinaia di migliaia di taiwanesi che lavorano in Cina e viaggiano avanti e indietro tra Taiwan e la terraferma, la diffusione del virus sembrava praticamente inevitabile.

Tuttavia, l’epidemia non è mai scoppiata a Taiwan.

Sino al 18 marzo, il numero di infezioni tra i taiwanesi è incredibilmente basso. Con una popolazione di 23,78 milioni di abitanti, il numero totale di casi del Paese sembra essersi stabilizzato ad appena 100 contagi. Ancora più impressionante è il fatto che tra tutti i casi segnalati sia stato registrato un solo decesso. Inoltre, 20 persone sono state dimesse dalla quarantena e le rimanenti sembrano essere in condizioni stabili, anche se rimangono in isolamento in ospedale.

Un’enorme differenza

Per contro, le statistiche dell’Italia sono terribili, sebbene si trovi a oltre 7 mila e 500 chilometri di distanza dalla Cina. Con una popolazione di 65,5 milioni di abitanti, pari a 2,78 volte quella di Taiwan, l’Italia è il paese più colpito in Europa, con un tasso di mortalità per le infezioni da Covid-19 semplicemente sconcertante.

L’Italia ha registrato oltre 35 mila casi e quasi 3 mila decessi, e la situazione non si è ancora stabilizzata. Si tratta di un numero di contagi 350 volte superiore a quello di Taiwan. Mentre il numero dei decessi in Italia è addirittura 3 mila e 500 volte superiore rispetto a Taiwan. Eppure entrambi i Paesi hanno legami economici importanti ed estesi con la Cina.

La differenza dei risultati ottenuti da i due Paesi è netta, per questo è di importanza cruciale comprenderne le cause.

Il pensiero razionale è la prima linea di difesa

Una volta capito che in Cina era presente una nuova epidemia, Taiwan ha agito in modo rapido e deciso su più fronti contemporaneamente. Decidere di usare pensieri e azioni razionali, quindi, è stata la prima linea di difesa del Paese.

La logica decisione del governo di Taiwan di agire in modo rapido e coraggioso è stata possibile solo perché non è stato appesantito dallo stigma e dall’impatto del ‘politically correct’.

A differenza dei governi occidentali, i taiwanesi hanno recentemente affrontato un virus di origine cinese durante l’epidemia di Sars del 2002-2003, ed hanno anche imparato cosa vuol dire avere a che fare con il Parito Comunista Cinese.

Inoltre, Taiwan non ha dovuto affrontare il problema delle profonde divisioni politiche interne: le autorità taiwanesi erano tutte ben consapevoli del fatto che il regime cinese stava distorcendo la verità o nascondendo del tutto alcuni dati critici, anche a fronte dell’esperienza maturata durante l’epidemia di Sars.

In altre parole, questa volta, nessuna persona sana di mente a Taiwan ha creduto a una sola parola di Pechino su quello che veniva allora chiamato il virus di Wuhan.

A differenza di molti governi occidentali, i taiwanesi non hanno la minima paura di ferire i sentimenti di Pechino. Forse perché Pechino ha ripetutamente bloccato la domanda di adesione di Taiwan all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), una mossa che certamente intacca la credibilità sia dell’Oms che di Pechino.

Inoltre l’assoluta indifferenza di Taiwan per la sensibilità di Pechino potrebbe anche essere dovuta alla perenne minaccia di invasione che la Cina lancia sull’Isola dove regna la democrazia.

Controllo delle frontiere e quarantene sensibili

Proprio per questo Taiwan ha preso quasi immediatamente il controllo delle sue frontiere, fermando tutti i viaggi da e per la Cina. Contrariamente ai consulenti scientifici ed epidemici americani, i taiwanesi hanno in qualche modo ragionato sulla soluzione pratica di non permettere a più persone del Paese che ospita il virus (Cina), che sono potenzialmente infette, di entrare nel proprio territorio rendendolo meno sicuro.

Le autorità taiwanesi hanno pensato che tali restrizioni avrebbero diminuito le possibilità che la malattia si diffondesse a tutta la popolazione, ed in effetti è stato proprio così.

Il passo successivo che è stato intrapreso quasi simultaneamente è stata l’introduzione di una quarantena obbligatoria di due settimane per tutte le persone entrate recentemente a Taiwan.

La polizia ha monitorato gli smartphone dei viaggiatori per verificare che rispettassero la quarantena o l’autoisolamento. Questo avanzato utilizzo della tecnologia potrebbe non essere possibile in tutti i Paesi, ma gli hotel e le altre strutture per imporre l’isolamento dei viaggiatori in arrivo dovrebbero esserlo.

Mantenere le forniture mediche nel Paese

Un’altra mossa strategica di Taiwan è stata quella di proibire l’esportazione delle principali forniture mediche, in particolare le maschere antivirali. Anche in questo caso, alcuni esperti negli Stati Uniti hanno affermato che le persone sane non hanno bisogno di una maschera.

I taiwanesi, tuttavia, si sono assicurati di averne a sufficienza. Altrimenti, come si potrebbe smettere di inalare il virus da un portatore asintomatico privo di mascherina?

Un punto ovvio in questo caso è la totale follia di qualsiasi Paese che pensi di affidarsi a una nazione avversaria per le proprie forniture mediche e farmaceutiche di importanza critica. Taiwan non lo ha fatto, mentre gli Stati Uniti sì.

Nessun isolamento?

È interessante notare che Taiwan non sta eseguendo i test di massa che si stanno svolgendo altrove. Semplicemente non stanno testando le persone in massa. Finora, sta controllando solo circa 800 persone al giorno. Inoltre, non tutti coloro che sono in quarantena o si auto-isolano vengono sottoposti ai test diagnostici.

Ma soprattutto Taiwan non sta mettendo in isolamento l’intera nazione. Sorprendentemente, negozi, caffè e altri luoghi pubblici sono rimasti aperti. Ai clienti viene controllata la temperatura e le mani vengono spruzzate con disinfettante all’ingresso, ma non c’è stato assolutamente il blocco sociale ed economico che stiamo vedendo in Occidente.

Finora il protocollo contro il virus del Pcc adottato da Taiwan sembra funzionare, così come la sua economia. Possono gli altri Paesi applicarlo con la stessa efficacia?

È difficile da dire. Come si è affermato, non tutte le nazioni hanno la capacità di monitorare gli smartphone per far rispettare le quarantene. Inoltre, tante nazioni sono molto più grandi sia in termini geografici che di popolazione, oltre che molto più diversificate, il che rende più difficile agire in modo unificato e coordinato a livello nazionale. Ma potrebbe essere possibile applicare il protocollo di Taiwan a livello statale o provinciale.

Taiwan ha visto la fine della pandemia?

Probabilmente no. È probabile che la trasmissione nella comunità continui a un certo livello. Ma visto il successo del Paese nella gestione dell’epidemia, il prossimo futuro sembra più roseo e più sano di quello dell’Italia e di altri Paesi.

 

James Gorrie scrittore e relatore è l’autore di ‘La crisi cinese’.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di The Epoch Times.

Epoch Times ha ribattezzato il nuovo coronavirus come il ‘virus del Pcc’, in quanto il Partito Comunista Cinese ha fatto di tutto per nasconderne l’esistenza, finché l’epidemia si è diffusa in tutta la Cina, per poi generare l’attuale pandemia globale.

Articolo in inglese   Got COVID-19? Follow the Taiwan Protocols

 
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