Sui pericoli dell’Egualitarismo

Di William Gairdner

William Gairdner è un autore che vive vicino a Toronto. Il suo ultimo libro èThe Great Divide“: Perché i liberali e i conservatori non saranno mai e poi mai daccordo” (2015). [Il suo sito web è WilliamGairdner.ca; su Twitter: @williamgairdner]

Questo articolo è una prima parte, leggermente modificata, di un discorso inedito tenuto a 400 studenti e professori della facoltà di legge della Queens University dell’Ontario (Canada), il 1° marzo 1994, in un dibattito con Sheila McIntyre, allora nota professoressa di diritto radicalefemminista.

 

La questione del giorno sembra essere se luguaglianza possa essere legiferata o menoLa risposta breve è «sì!». Tutto può essere legiferato, ma tutti sanno che non esistono due esseri umani, alberi, pesci o fiori, che siano esattamente uguali. La disuguaglianza è una regola delluniverso.

Ci sono anche molti tipi di uguaglianza. Nella sua famosa opera La Repubblica, Platone ha sostenuto la parità di trattamento della classe degli schiavi, dei guerrieri, dei proprietari terrieri e dei cittadini (schiavi, donne e stranieri non erano cittadini). Ma non era egualitario. Non si è mai battuto per la parità di trattamento di tutti. Quindi la domanda più importante è di che tipo di ‘uguaglianza’ stiamo parlando; e se sia di tipo sbagliato, il tipo che, in condizioni di sufficiente disagio economico e sociale, potrebbe trasformare le nostre fiorenti democrazie liberali in sistemi totalitari.

Il grande sogno liberale dellOccidente, per quanto imperfetto, è quello di individui liberi che agiscono secondo il loro sforzo e il loro merito come autori della propria vita e del proprio destino, sotto una legge imparziale e uguale per tutti. Ognuno nasce con unamano di carte diversa’: si gioca al meglio delle proprie capacità, con le stesse regole. Questa è spesso chiamata «uguaglianza formale», perché non fa alcuna distinzione tra i cittadini per quanto riguarda la classe, la ricchezza, il sesso, la razza o altro. Un principe e un povero devono subire la stessa pena per lo stesso crimine. È un principio che ha sostenuto il liberalismo fin dalla sua nascita, ma ora è sotto un diffuso attacco legale e politico.

Al posto del suddetto nobile sogno, assistiamo invece sempre più allascesa dellincubo perenne antiliberale radicato nellinvidia, che inizia quando intere classi di persone cominciano a credere che le differenze tra loro e gli altri siano una conseguenza delloppressione sistemica, di qualcosa al di fuori di sé, che siano vittime di pervasivi pregiudizi e discriminazioni visibili e invisibili. Così si schierano con le mani tese verso la legge e lo Stato, chiedendo «luguaglianza sostanziale». Vale a dire, chiedendo che la loro vita sia migliorata da leggi e quote differenziate volte a livellare le disuguaglianze ovunque si trovino, siano esse naturali, ereditarie o liberamente scelte.

Il problema di questo approccio è che le leggi e le quote che promuovono politiche come l’«Azione positiva», altrimenti conosciuta come «discriminazione positiva» («affermative action»), impongono un nuovo tipo di disuguaglianza ufficiale, che un tempo si trovava solo negli Stati più apertamente totalitari, discriminando a favore di un gruppo che non ha guadagnato nessuna ricompensa, contro un altro che non ha meritato alcuna punizione.

Dai fallimenti dellantica Grecia e di Roma ad ogni moderna nazione collettivista in cui questo stratagemma paternalistico si è imposto, è stato sempre introdotto da una classe di intellettuali di formazione giuridica, militanti egualitari, affamati di potere e molto zelanti nel voler installare con la forza la loro versione di perfetta giustizia sociale. Luguaglianza sostanziale, la convinzione cioè che il potere della legge debba essere usato, per quanto possibile, per render uguali le condizioni di vita di tutti i cittadini, in tutti gli ambiti delle vita, è preoccupante ed un pericolo reale.

Questa forma di politica collettivista ha le sue radici nelle opere laiche antiche come, la succitata Repubblica di Platone, ma è facilmente rintracciabile nelle storia successiva: dal messianismo religioso fiorito nel secondo secolo dellera cristiana, attraverso e oltre il Medioevo, al millenarismo dei ‘livellatori’ della Rivoluzione inglese; dallutopismo di quelli come Rousseau e Paine nel XVIII secolo, a Marx ed Engels nel XIX, fino ai loro numerosi accoliti moderni che oggi si rifugiano nei nostri media, nelle istituzioni pubbliche e nelle scuole di legge.

Lelemento chiave al cuore del perfezionismo è lidea che la responsabilità dellingiustizia e del male nel mondo non possa e non debba avere a che fare con il comportamento degli individui, perché tutti gli esseri umani nascono naturalmente buoni. Per molti di noi, questa rimane ancora una credenza naturale. Ricordo di essere stato profondamente indignato quando il sacerdote che ha battezzato il mio primo figlio ha chiesto a Dio «di bandire il diavolo dal suo cuore». Il mio bellissimo bambino appena nato è un diavolo? Avevo anche io una credenza nella bontà umana innata e pensavo che dopo un poscegliamo noi stessi la cattiveria o la bontà.

Gli utopisti, tuttavia, sono costretti dalla loro stessa logica a rifiutare la responsabilità personale per la cattiveria, in modo da poter dare la colpa a qualcosa al di fuori di loro stessi, di solito a istituzioni e credenze sociali e politiche sbagliate. Il sommo sacerdote moderno di questa tattica del «qualcosa mi ha fatto fare» è stato JeanJacques Rousseau, che ha posto le basi di questa idea innaturale nella prima frase del suo libro molto influente Il contratto sociale (1762): «Luomo nasce libero, ma è ovunque in catene». Era unidea infantile e palesemente falsa, perché ogni persona sensata sa che non si nasce liberi. Nasciamo completamente indifesi, dipendenti da genitori amorevoli e legati socialmente nelle nostre comunità da leggi e istituzioni vitali formatesi molto prima della nostra nascita, e la stragrande maggioranza di noi diventa libera e indipendente man mano che matura.

Qui si può notare subito il contrasto con la visione tradizionale (e cristiana) dominante, secondo cui il male non è una forza al di fuori di noi. Il male ha origine nel profondo del cuore e della mente degli uomini e delle donne, perciò non sono i governi malvagi a generarlo, al contrario, essi ne sono il riflesso. Aleksandr Solzhenitsyn ha sintetizzato in maniera magistrale questa visione; egli ha vissuto grandi sofferenze nei gulag sovietici, rischiando di diventare egli stesso parte del male, se solo avesse ceduto alle tentazioni dei sui aguzzini. Avrebbe infatti ottenuto vantaggi e ricompense in cambio della sua collaborazione con le guardie carcerarie (ed era debolissimo e affamato, quando ha lottato per declinare le loro richieste). Dopo le tragedie vissute ha scritto: «Il male non corre nei i gruppi umani. Esso attraversa il centro di ogni cuore umano».

Tuttavia una volta abbracciata la confortante visione che il male è esterno e sistemico, la linea logica di azione è quella di eliminare ogni male esterno con la forza della legge. Per questa convinzione si ha immediatamente bisogno di obiettivi per leliminazione, di solito intere istituzioni che si crede creino disuguaglianze sistemiche e, naturalmente, tutti gli individui che non sono daccordo con questa visione. La credenza è che, se con qualsiasi mezzo a disposizione, si può rendere il mondo più ugualitario, allora la bontà naturale di tutte le persone, il loro vero sé, fiorirà naturalmente e la società, lo stato saranno perfetti.

Che sia antica o moderna, questa sorta di fanatismo, che è diventata una «religione politica» laica, è guidata dalla missione di creare il paradiso in terra. Anche se per farlo si deve preparare un tribunale. Quando lUrss cadde, si chiese a un maresciallo sovietico: «Perché? Cosa cercavate di realizzare rinchiudendo il vostro popolo, costringendolo al totalitarismo con mitragliatrici e gulag?» Il maresciallo rispose: «Il Regno dei Cieli in terra, nel terzo millennio!».

Ironia della sorte, più atei sono questi missionari, più il loro fervore è spirituale o onirico. Perché se Dio è davvero morto, non si avrà alcun aiuto dal cielo: la giustizia dovrà essere definita e fatta rispettare solo dalluomo. La nuova divinità di questa religione laica non è la grazia, o la redenzione personale, ma la reale, tangibile e forzata uguaglianza sostanziale, che deve essere garantita dalla legge, come dettato dai sacerdoti e dalle sacerdotesse, i nuovi dèi dello Stato progressista.

Per tali menti, il fine giustificherà sempre i mezzi. La famosa Dichiarazione dei diritti delluomo e del cittadino, che ha segnato il sanguinoso terrore della Rivoluzione Francese, ha iniziato dichiarando la libertà e luguaglianza formale (solo) un diritto di tutti i cittadini. Ma come scrive lo storico francese Claude Quetel nella sua recente e feroce condanna della Rivoluzione Francese Crois ou Meurs (Credi, o muori), in meno di sei mesi questo nobile standard liberale si è trasformato in una rabbia pubblica, basata sullinvidia contro ogni privilegio e una richiesta di uguaglianza sostanziale. A  questo punto, i capi dei privilegiati, i ricchi e i fortunati, cominciarono a cadere sotto gli attacchi di folle di linciatori elettrizzati dagli occhi spiritati e desiderosi di spargimenti di sangue, che li ‘infilzavano’ per le strade di Parigi senza pietà.

«Il popolo» era diventato un credente delvangelo’ di Rousseau secondo cui i cittadini che non seguono la volontà generale dello Stato, per il proprio bene devono essere «costretti ad essere liberi». La morte per i non credenti era il rimedio suggerito. Credere, o morire. Il suo discepolo chiave, Maximilian Robespierre, ha applaudito la morte di un quarto di milione di cittadini francesi in nome di questo tipo di «uguaglianza», che ha descritto per tutti come «virtù».

In un agghiacciante discorso del 7 maggio 1794, dichiarò: «La base del governo popolare in tempo di rivoluzione è sia la virtù che il terrore. Il terrore senza virtù è omicida, la virtù senza terrore è impotente. Il terrore non è nientaltro che una giustizia rapida, severa, indomabile, deriva, quindi, dalla virtù».

Questo stesso incantesimo purificatore è facile da trovare in tutte le rivoluzioni successive, secondo le parole di Lenin, Stalin, Mao, Mussolini, Hitler, Castro e Pol Pot, che hanno tutti apprezzato luccisione di milioni di loro cittadini in nome delluguaglianza. Credi, o muori.

Questa terribile verità ha portato lo scrittore francese Anatole France ad osservare che quando si parte dal presupposto che tutti gli uomini sono naturalmente buoni e virtuosi, si finisce inevitabilmente per volerli uccidere tutti. Questo perché, per definizione, man mano che la spinta alla rettitudine, definita come uguaglianza sostanziale, si intensifica rapidamente, nessuno può essere abbastanza buono, o abbastanza uguale. Così i cattivi (che devono essere definiti più liberamente per allargare la rete della virtù come morte) vengono presto etichettati come «nemici interni dello Stato». Prima viene preso di mira laristocratico privilegiato, poi il panettiere che ha osato vendergli il pane. Il contatto con la vendetta!

Alla fine e rapidamente, tutti i nemici interni sospettati anche del minimo privilegio devono essere soppressi, messi a tacere, multati, mandati in prigione, o liquidati come trasgressori del principio di Santa Uguaglianza. Dopotutto, uccidere è il modo più logico ed economico per raggiungere la perfetta uguaglianza e la giustizia sociale, nessuna delle quali può mai arrivare perché viene continuamente ridefinita come ancora da ottenere (perché nulla nella vita o nella natura è uguale). Ecco perché tutte le rivoluzioni egualitarie finiscono per eliminare anche i loro stessi teorici fondatori, che alla fine vengono considerati non sufficientemente virtuosi. Ecco perché anche Robespierre, il primo grande teorico della Rivoluzione, «lincorruttibile», ha perso la testa. Camminava stordito, livido e picchiato fino alla ghigliottina, stringendo al petto una copia del Contratto sociale di Rousseau.

Non voglio suggerire neanche per un momento che il Canada, o gli Stati Uniti, raggiungeranno mai un tale punto. Ma nessuno pensava che la Germania lo avrebbe fatto. In realtà, Hitler era ammirato da molti importanti progressisti occidentali come il grande rinnovatore sociale e politico che da solo ha innalzato la Germania con le sue stesse cinghie socialiste. È piuttosto sobrio considerare che le due maggiori classi professionali del partito nazista nel suo periodo di massimo splendore erano insegnanti e avvocati istruiti.

Proprio così, le nostre università, originariamente unistituzione di tipo monastico ora secolarizzata, ricorrono sempre più spesso alle specifiche abitudini della mente che producono i mali da cui sto mettendo in guardia; e sarebbe un grossolano inganno credere che saremo in qualche modo esenti dalle peggiori conseguenze naturali di tale pensiero. Un tempo baluardo della libertà, le università dellOccidente sono diventate isole di oppressione ideologica. Più di un osservatore nella storia ha sottolineato che quando il fascismo arriverà in America (e, oserei aggiungere, in Canada), verrà in nome della democrazia.

Per concludere, direi che lattuale nozione di «uguaglianza sostanziale» è diventata un moderno sostituto del lievito della grazia divina, o come lastuto pensatore D.H. Lawrence ha descritto una volta, una sorta di «pane terreno» che deve essere raccolto dal nostro sacerdozio di ingegneri sociali e ridistribuito come «pane celeste» a masse docili e riconoscenti.

Post scriptum

Questo articolo è una prima parte, leggermente modificata, di un discorso inedito che ho tenuto a 400 studenti e professori della facoltà di legge della Queens University dell’Ontario (Canada), il 1° marzo 1994, in un dibattito con Sheila McIntyre, allora nota professoressa di diritto radicalefemminista.

Il dibattito ha fatto il tutto esaurito, con linstallazione di altoparlanti aggiuntivi allesterno della sede, dove un manipolo di manifestanti che si pubblicizzavano come ‘sponsorizzati dai Socialisti Internazionali’ si è allineato su entrambi i lati della strada, sventolando cartelli con scritto ‘Discorso di protesta di William Gairdner, autore diThe Trouble With Canada‘ [I guai con il Canada] e ‘ The War Against the Family [La guerra contro la famiglia]’. Ho appeso quel manifesto alla mia parete.

Nella discussione dopo questo discorso, sono state sollevate due volte grida di derisione. La prima volta è stata quando (era il 1994!) ho detto al pubblico che «un giorno, presto, il Canada legalizzerà i matrimoni gay». È stato legalizzato come diritto  sulla Carta canadese dei diritti e delle libertà, anche se non è stato menzionato, undici anni dopo, nel 2005.

La seconda causa di forte disprezzo è stata quando ho detto: «Un giorno, presto, il Canada legalizzerà leutanasia e permetterà ai medici di uccidere». Questo ha attirato più forte ansietà e grida del pubblico del tipo di «…ma fai sul serio? o ci prendi in giro?». Leutanasia è stata successivamente legalizzata in Canada nel 2016 con letichetta eufemistica ‘Ausilio medico nella morte’, sulla base del fatto che tutti i cittadini hanno il diritto costituzionale alla morte (anche se nella Costituzione questa cosa non c’è scritta, in realtà). Ma è una sciocchezza. Non si può evitare di morire, che si creda di averne diritto o meno. Il disegno di legge riguardava il diritto legale di alcuni di uccidere altri.

Forse il momento più significativo dellintero dibattito è stato quando ho detto agli studenti riuniti che, anche se molti dei loro professori erano presenti, gli studenti non dovrebbero aver paura di mostrare le mani su una questione molto importante. Vale a dire: «Nei quattro anni in cui sei stato qui, hai mai avuto paura di dire quello che pensi veramente in una classe della Queens

Circa il 40 per cento del pubblico ha alzato timidamente le mani.

La differenza tra allora e oggidopo tutto, siamo più ‘svegli’, come si dice, è che oggi anche molti di quei professori alzerebbero le mani.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dellautore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

 Articolo originale  On the Dangers of ‘Equality’

 
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