L’agghiacciante storia di una ragazza nei Gulag

Il 25 maggio 1973 veniva pubblicato in Italia Arcipelago Gulag l’opera più conosciuta dell’intellettuale sovietico dissidente Aleksandr Solzhenitsyn. Il nostro Paese era in pieno conflitto sociale e politico: da una parte i sequestri di persona politici, le sparatorie e le bombe del terrorismo (rosso e nero) che giornalmente insanguinavano le strade e occupavano le prime pagine dei giornali, dall’altra le ondate elettorali comuniste a cui i dirigenti della Democrazia Cristiana (e il governo Usa) cercavano di porre freno in ogni modo.

Quarant’anni dopo, l’Italia, gli italiani e il mondo intero sono cambiati in un modo che, negli anni settanta, ai più sarebbe stato inconcepibile. Ma l’opera di Solzhenitsyn resta una pietra miliare per comprendere non solo la realtà del comunismo, ma – per certi versi – la natura umana stessa.

Arcipelago Gulag, lettura obbligatoria per i liceali russi, è il resoconto vissuto e scritto in prima persona da Aleksandr Solzhenitsyn che descrive gli orrori del sistema dei campi di lavoro repressivi sovietici, causa di morte per ben dieci milioni di persone nel corso di diversi decenni (le statistiche dell’Unione Sovietica erano di gran lunga inferiori, ma largamente contestate).

Anche se i Gulag ne diventarono il sinonimo su disposizione del dittatore Josip Stalin durante l’Unione Sovietica, i primi campi di lavoro risalgono comunque al 1918 (quando Vladimir Lenin, appena preso il potere, diede il via alla guerra civile russa). Il resoconto di Solzhenitsyn, pubblicato nel 1973, è stato diffusamente accolto come una confutazione che il sistema Gulag fosse una creazione stalinista, anziché comunista: il sistema dei campi di prigionia fu creato sotto Lenin, però Stalin lo sviluppò notevolmente, finchè lo fece denominare ‘Gulag’ nel 1930.

Il professore di psicologia dell’Università di Toronto Jordan Peterson, in un recente discorso diventato virale in rete, ha estratto un momento straziante da un resoconto del capolavoro Arcipelago Gulag, in cui Solzhenitsyn descrive il ‘privilegiato’ Gulag Marfino:

Fuoco, fuoco! I rami crepitano e il vento della notte di fine autunno con impeto infiamma il falò da dietro. Il campo di concentramento è buio: sono solo davanti al falò e posso ancora alimentarlo con truccioli di legno. Questo campo di concentramento è privilegiato, tanto che mi sembra quasi di essere libero: è un’isola Paradisiaca; è il ‘saraska’ di Marfino (un’istituzione scientifica composta da detenuti) nel suo periodo più privilegiato. Nessuno mi sta sorvegliando, mi sta richiamando in cella o mi caccia dal falò. Nel vento penetrante, seppur avvolto in una giacca imbottita, ho ancora freddo.

Ma lei – che è già stata in piedi nel vento per ore, con le braccia giù dritte e la testa pendente, piange, mentre cresce l’intorpidimento e l’immobilità. Poi implora ancora pietosamente: «Capo Cittadino! Perdonami! Ti prego, perdonami! Non lo farò più». Il vento mi porta il suo lamento, proprio come se stesse gemendo accanto al mio orecchio.

Il ‘Capo Cittadino’ non risponde. La donna era stata punita per aver fatto un commento fuori luogo dopo che una ragazza, per scappare dal gulag, si era lanciata giù per un burrone.

Uno dei suoi compagni di prigionia del gulag, quando seppe della fuga, esclamò: «Oh, spero che la catturino, la [imprecazione, ndr]! Spero che prendano le forbici e – clip, clip – le taglino tutti i capelli davanti a tutti!». Questo era il modo in cui punivano le donne nel sistema dei gulag.

La ragazza, in disaccordo con il loro punto di vista, per punizione viene costretta a stare in piedi al freddo presso il corpo di guardia. Come scrive Solzhenitsyn:

Ma la ragazza che ora stava in piedi fuori del corpo di guardia, al freddo, sospirava e diceva: «Almeno può avere una buona pausa di libertà per tutti noi». Il carceriere aveva sentito quello che aveva detto, e ora stava per essere punita; tutti gli altri erano stati riportati nel campo, ma lei era stata obbligata a stare là fuori ‘sull’attenti’ davanti al corpo di guardia. Questo quando erano le 18, ed ora erano le 23. Cercava di passare da un piede all’altro, ma la guardia ha tirato fuori la testa per gridarle: «Stai sull’attenti, [insulto, ndr], altrimenti sarà peggio per te!». E adesso, immobilizzata, piangendo diceva: «Perdonami, Capo Cittadino! Fammi entrare nel campo, non lo farò più!».

Solzhenitsyn fa notare che nessun altro nel campo avrebbe detto qualcosa, aggiungendo che le guardie del campo volevano «darle una lezione».

E poi continua:

Povera esile ragazza dai capelli biondo-paglia, ingenua e senza istruzione! Imprigionata per qualche rocchetto di filo. Che pensiero pericoloso esprimi ora, figliola!

E per finire:

Per quella fiamma e per te, ragazza, lo prometto: il mondo intero leggerà di voi.

Il sistema Gulag fu raddoppiato di dimensioni come posto per inviare – e per giustiziare – i prigionieri politici ed era, inoltre, una fonte di manodopera a basso costo, perchè i prigionieri erano anche sottoposti a lavori forzati.

«Ma – secondo Gulaghistory.org – il loro lavoro era tipicamente di bassa manovalanza ed economicamente inefficiente. La combinazione di violenza endemica, clima estremo, duro lavoro, scarse razioni di cibo e condizioni antigieniche portò a tassi di mortalità estremamente elevati nei campi».

Sebbene il sistema fosse stato ridotto di dimensioni dopo la morte di Stalin, avvenuta nel 1953, i campi di lavoro forzato continuarono a esistere fino al crollo dell’Unione Sovietica.

Sono state stimate da uno a circa 10 milioni di morti, con stime al ribasso provenienti da uno studio del 1993 basato sui dati sovietici del periodo dal 1934 al 1953 (non esistono dati d’archivio dal 1919 al 1934).

Solzhenitsyn passò circa otto anni nelle prigioni e nei campi Gulag; fu arrestato nel 1945 per aver criticato Stalin in alcune lettere private a un amico. Anche gli anni successivi al suo rilascio (nonostante la ‘distensione’ degli anni in cui a essere segretario generale del Pcus era Nikita Krusciov) Dopo la pubblicazione di Arcipelago Gulag nel 1973, fu accusato di tradimento ed espulso dall’Unione Sovietica.

Aleksandr Solzhenitsyn – prima valoroso militare, decorato nella Seconda Guerra mondiale, poi comunista pentito e dissiendente – era senz’altro un uomo e un intellettuale (era laureato in matematica e fisica) fuori dal comune.
Quello che segue è uno dei suoi scritti più adatti a comprendere le reali (e radicali) ragioni del suo essere perseguitato dal regime comunista sovietico. E, per inciso, non può non colpire il fatto che per Solzhenitsyn la radice del male che caratterizza il regime sovietico sia l’ateismo, tratto caratteristico del ‘vero’ socialismo.

Più di mezzo secolo fa, quando ero ancora un bambino, ricordo di varie persone anziane, che avevano offerto la seguente spiegazione, sui vari disastri che avevano colpito la Russia: “Gli uomini hanno dimenticato Dio; ecco perché è accaduto tutto questo”. Da allora ho passato una cinquantina d’anni a lavorare sulla storia della rivoluzione; durante questo processo, ho letto centinaia di libri, raccolto centinaia di testimonianze personali e ho già compilato otto volumi nel tentativo di ripulire le macerie lasciate da tutto questo caos. Ma se oggi mi si chiedesse di formulare nel modo più coinciso possibile la causa principale di questa rivoluzione catastrofica che ha inghiottito circa 60 milioni di persone del nostro popolo, non potrei metterla più chiaramente di così: “Gli uomini hanno dimenticato Dio; ecco perché è accaduto tutto questo”.

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