Guerra virale, i social network guidano gli attacchi in Israele

Un coltello, coperto di sangue e tenuto alto in segno di vittoria: è il simbolo dell’ondata dei recenti attacchi Palestinesi contro gli Israeliani. L’immagine è il nuovo simbolo di quello che, nella regione, sembra ormai un fiume di violenza senza fine, per la maggior parte perpetrata con accoltellamenti.

Come per la Primavera Araba nel 2011, e la propaganda dell’Isis, la violenza delle recenti settimane contro gli Israeliani sembra essersi diffusa via Twitter e Facebook, senza alcuna organizzazione da parte delle fazioni politiche. Infatti è esploso il fenomeno della condivisione tramite social di video o foto, o anche fumetti, che rappresentano violenza e morte.

Le vignette, alcune delle quali caricate sui media arabi, vengono utilizzate come riferimento agli attacchi del giorno. Una di esse ad esempio, mostra un assalitore col volto coperto e armato di coltello da macellaio, che affila la lama in vista di un attacco a un ebreo ortodosso. Un’altra ancora raffigura il Primo ministro Benjamin Netanyahu con un coltello conficcato in testa, con questa didascalia: «Danzare sulla melodia dell’Intifada», secondo l’Anti-Defamation League.

Alcune di queste immagini sono accompagnate dagli hashtag di Twitter, come #intifadaAlAqsa e #intifadaPalestina, che si riferiscono rispettivamente alla Moschea al-Asqa, situata nella vecchia città di Gerusalemme, e alla Palestina. Alcuni usano hashtag per foto di morti palestinesi, definendoli martiri, eroi, o vittime della brutalità israeliana. «Sono i soldati di Allah e gli eroi della terra #Palestina», ha scritto un utente Twitter che sosteneva i responsabili degli accoltellamenti.

«Gli ebrei sono persone veramente pacifiche. Ma come altre persone, devono avere il diritto di difendersi e combattere il terrore», ha scritto un altro utente Twitter che si descriveva come sostenitore di Israele. Questi dibattiti sui social media sono aumentati negli ultimi anni col progredire della violenza tra Israeliani e Palestinesi. Nel 2014, durante il conflitto Gaza-Israele, sono stati coinvolti negli scontri social persino funzionari o combattenti delle rispettive parti. Non si può far a meno di notare il contrasto con la copertura della Seconda intifada, dal 2000 al 2005, attuata completamente tramite i media principali.

Questa volta anche il governo israeliano è stato coinvolto, e ha caricato video dei numerosi attacchi secondo la loro visione. Ad esempio, il Ministero degli Affari Esteri israeliano ha caricato un video di 45 secondi su Facebook, titolato ‘Cosa hanno in comune il terrorismo dell’Isis e quello palestinese’; il video dichiara che gli assalitori con i coltelli usano gli stessi metodi dell’Isis, affermando poi in modo categorico: «Non sarete in grado di individuare differenze tra di loro».

Un altro video con tantissime visualizzazioni è intitolato ‘Stop al linguaggio ostile palestinese’, e mostra estratti di diversi video caricati dai palestinesi, incluse informazioni su come accoltellare ‘bene’, oppure su come fare una Molotov.

Forse uno degli ‘eventi’ social più significativi è successo il 13 ottobre, quando il 13enne Ahmad Manasra è stato filmato con uno smartphone mentre giaceva a terra, sanguinante dalla testa, e un israeliano gli imprecava contro inneggiando alla sua morte. Manasra è finito al centro dell’attenzione di Israeliani e Palestinesi, dopo che lui e suo cugino di 15 anni avevano accoltellato un 13enne isrealiano che stava andando in bicicletta a Gerusalemme.

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha accusato gli Israeliani di aver ucciso il ragazzo, ma Netanyahu sostiene che Abbas menta. Quanto a Manasra, è stato portato in ospedale e poi arrestato dopo essere stato dimesso.

In tutto questo, anche Facebook è diventato bersaglio di violenze. Domenica ad esempio l’attivista politico israeliano Rotem Gez, secondo il media locale Arutz Sheva ha ammesso di aver commesso degli atti vandalici contro il quartier generale di Facebook israeliano, scrivendo dei graffiti rossi e le parole: «sangue sulle nostre mani» e «stop al terrorismo su Facebook. «Abbiamo deciso di fare così perché sulla bacheca di Facebook online non si può scrivere tutto, così abbiamo trasferito la protesta fisicamente, al di fuori della rete», ha spiegato Gez.

Il primo ministro Netanyahu è sembrato far riferimento alla glorificazione della violenza sui social media, usando l’occasione come opportunità per redarguire il presidente palestinese Mahmoud Abbas. «Non fa altro che fomentare», ha riferito – riferendosi ad Abbas – Netanyahu in una dichiarazione televisiva martedì scorso. E, secondo il Times of Israel, ha anche aggiunto: «Lui, i suoi soci di Fatah e il sito ufficiale delle autorità palestinesi gettano benzina sul fuoco ogni giorno sui social network».

 

Articolo in inglese: www.theepochtimes.com

 
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