I dispositivi controllati dalla mente potrebbero essere una realtà ordinaria nel 2040

Gli esperti prevedono che entro il 2040 le persone controlleranno i dispositivi intelligenti con il pensiero grazie ai progressi della tecnologia «smartbrain».

Uno smartbrain, o interfaccia cervello-macchina (Bmi), è un dispositivo indossabile o impiantato che collega direttamente il cervello umano a dispositivi intelligenti come telefoni, computer e arti robotici.

Consentirebbe alle persone di navigare in internet, inviare messaggi e regolare i termostati semplicemente pensando, annullando i confini tra uomo e macchina.

Mohit Shivdasani, esperto di ingegneria biomedica della University of New South Wales (Unsw), ha dichiarato che gli scienziati sono «molto vicini» a far sì che i dispositivi controllati dalla mente diventino una realtà quotidiana piuttosto che un concetto fantascientifico.

«Non siamo lontani dal vedere qualcuno che cammina con un’interfaccia cervello-macchina al di fuori di un laboratorio», ha affermato.

«Abbiamo computer intorno a noi. Sono nelle nostre tasche e viaggiano ovunque andiamo, ma pensare di integrarli direttamente con il cervello per usare la tecnologia… è piuttosto sorprendente».

Secondo Shivdasani, le persone disabili trarrebbero particolare beneficio dai dispositivi a controllo mentale, considerando che c’è già stato un test della tecnologia, andato a buon fine, su due persone paralizzate.

«Una persona in particolare è stata in grado di controllare un braccio robotico semplicemente pensandoci, mentre un’altra è stata in grado di muovere un cursore sullo schermo di un computer e di leggere la sua posta elettronica».

La tecnologia funziona sbloccando i segnali dal cervello agli arti: «Ci sono situazioni in cui il cervello può inviare segnali, ma questi non possono arrivare agli arti per permettere alla persona di camminare da sola. Quindi un’interfaccia cervello-macchina dovrebbe leggere i pensieri e convertirli in azioni», ha spiegato.

Inoltre, sta migliorando gli occhi bionici per i non vedenti e i dispositivi per il dolore cronico e le malattie infiammatorie intestinali.

Ritiene che l’uso diffuso degli smart brain possa aiutare in modo significativo le persone con diversi problemi che influiscono sulla loro qualità di vita.

«Ho avuto molte conversazioni con pazienti non vedenti. Quando si chiede loro cosa vogliono da un occhio bionico, rispondono: “Voglio vedere la mia famiglia”», ha spiegato.

Ricordo una conversazione con una signora che mi ha detto: «Mi piacerebbe poter vedere di nuovo l’insegna di Target, perché quando vado in un centro commerciale voglio poter trovare Target con molta facilità».

«Come ingegnere non ci avrei mai pensato, ma potrebbe essere così importante».

Il futuro della sanità

Claire Bridges, dottoranda dell’Unsw, ha parlato di altri vantaggi.

Ha dichiarato che gli smartbrain aiutano il futuro della sanità connessa, come la tele-sanità.

«Con il Covid abbiamo assistito a una grande espansione della necessità e dell’offerta di telesanità, che si è rivelata incredibilmente vantaggiosa. Per espandere ulteriormente questo aspetto e migliorare la nostra capacità di fornire assistenza sanitaria a persone che potrebbero non essere in grado di vedere un medico o di sottoporsi a un test di persona, possiamo utilizzare dispositivi indossabili», ha spiegato.

Ha affermato che gli orologi smartbrain, o i monitor della glicemia e i sensori impiantati, cambierebbero il modo in cui i medici comunicano con i pazienti.

«Dispositivi come questi possono raccogliere enormi quantità di dati, monitorando continuamente la persona che li indossa. L’intelligenza artificiale potrebbe essere di grande aiuto (a questo), analizzando queste grandi serie di dati per identificare le informazioni sanitarie rilevanti e inviarle al medico curante del paziente», ha aggiunto.

I medici potrebbero intervenire, così, in tempo quasi reale quando le persone non stanno bene.

«Che si tratti di marcatori infiammatori nel sangue, di secrezione ormonale o di problemi ai neurotrasmettitori, potremmo cogliere le cose in anticipo e ottenere una diagnosi iniziale, in modo da avere una salute preventiva più efficace», ha spiegato.

«In media, gli australiani trascorrono circa 11 anni della loro vita in cattive condizioni di salute, ma con i progressi che stiamo vedendo nella nostra tecnologia biomedica, sia in termini di trattamenti fisici, che di trattamenti effettivamente impiantati o di somministrazione di farmaci o di altre tecnologie in via di sviluppo, abbiamo molte opportunità di migliorare le cose».

L’esperta avverte dei rischi

Tuttavia, la ricercatrice biomedica Christina Maher ha paragonato gli smartbrain a qualcuno che «parla» per conto delle persone, il che comporta problemi etici.

«Ad esempio, un’interfaccia cervello-computer (Bci) può generare l’output “sto bene” quando l’utente intendeva dire “sto benissimo”. Sono simili, ma non sono la stessa cosa. È abbastanza facile per una persona non disabile correggere fisicamente l’errore, ma per le persone che possono comunicare solo attraverso le Bci c’è il rischio di essere fraintese», ha dichiarato.

Inoltre, ha aggiunto che le persone non possono scegliere quali segnali cerebrali condividere con lo smartbrain.

«I dati cerebrali sono probabilmente i nostri dati più privati, per via di quello che si può dedurre sulla nostra identità e sul nostro stato mentale», ha affermato.

«Eppure le aziende private di Bci potrebbero non avere bisogno di informare gli utenti su quali dati vengono utilizzati per addestrare gli algoritmi».

Le sfide etiche, prosegue, sollevano interrogativi su cosa sia meglio per le persone e per la società.

«Per esempio, i militari dovrebbero essere dotati di dispositivi di potenziamento neurologico per poter servire meglio il loro Paese e proteggersi in prima linea, o questo comprometterebbe la loro identità e riservatezza? E quale legislazione dovrebbe racchiudere i neuro-diritti: la legge sulla protezione dei dati, la legge sulla salute, la legge sui consumatori o la legge penale?».

Tuttavia, secondo la ricercatrice, è improbabile che gli smartbrain lancino le persone in un mondo distopico, in parte a causa dei limiti del computer.

«Dopo tutto, esiste una differenza tra l’invio di un breve testo da parte di una Bci e l’interpretazione dell’intero flusso di coscienza di una persona… Questo salto dipende in gran parte dalla capacità di addestrare gli algoritmi, che richiede più dati e potenza computazionale», ha spiegato.

Il neuroscienziato Andrew Jackson ha aggiunto che la società non ha ancora nulla da temere.

«Quando si parla di potenziamento (l’idea che potremmo essere in grado, per esempio, di scrivere nuovi ricordi nel nostro cervello o di caricare i nostri ricordi su un disco rigido o nel cloud) sappiamo molto meno su come funzionano questi sistemi cerebrali», ha dichiarato all’Abc News.

Ha spiegato che il corpo umano è ancora molto più capace delle macchine. Al momento, precisa infatti, i vantaggi dell’uso di un’interfaccia cervello-macchina non sono «ancora nulla di paragonabile alla sofisticazione di un sistema nervoso normalmente funzionante».

«Penso che dobbiamo essere realistici», ha dichiarato.

 

Articolo inglese: Experts Predict Mind-Controlled Devices May Be Common by 2040s

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