La teoria critica della razza conduce all’autoflagellazione dei bianchi

Di Bruce Pardy

Molti politici nei Paesi occidentali si stanno inginocchiando. Così come le università, le compagnie del caffè, le leghe sportive e i musei. Ci sono molti modi di inginocchiarsi per ammettere il proprio razzismo. Lo si può fare letteralmente, dinanzi ai manifestanti. Si può rilasciare una dichiarazione, dove si afferma che la propria organizzazione è razzista in modo sistemico. Si possono pubblicare dei quadrati neri su Instagram e parlare di privilegio bianco. Sono tutti casi in cui ci si mette, metaforicamente, in ginocchio.

Questo è quello che dovrebbero fare tutti i bianchi secondo la cosiddetta teoria critica della razza, una dottrina che si basa sull’idea che la razza sia la caratteristica organizzativa fondamentale della società occidentale, soprattutto di quella americana. Il potere e l’oppressione definiscono i rapporti di razza, secondo la teoria, e il razzismo è «sistemico» e «strutturale», radicato nella cultura del capitalismo ed endemico tra i bianchi.

Secondo la teoria critica della razza, è razzista negare il vantaggio dei bianchi nella società americana o affermare di non fare caso al colore della pelle. Come dice James Lindsay, uno dei principali critici americani della teoria critica della razza e della ‘giustizia sociale’: «Noti la razza? E’ perché sei razzista. Non la noti? E’ perché sei privilegiato, quindi razzista». L’unica possibilità è l’autoflagellazione.

La teoria critica della razza è una dottrina anti-occidentale, ed è strettamente imparentata con la moderna giustizia sociale e con la teoria critica pura, che a sua volta deriva dal marxismo. Si tratta in effetti più di ideologie volte a conseguire specifici obiettivi che di teorie; queste dottrine rifiutano le idee su cui si è fondata la civiltà occidentale: la ragione, il metodo scientifico, il capitalismo, l’autonomia individuale, l’applicazione paritaria della legge. E condividono l’idea postmoderna che tutto il sapere sia costruito socialmente e che non esista una verità oggettiva.

Una volta limitate alla comunità accademica, dove si pensava che non potessero nuocere, queste ideologie si sono ora infiltrate nel governo, nella stampa, nelle scuole, nel mondo degli affari e nel sistema giuridico. Come ha scritto di recente Andrew Sullivan nella sua «Lettera d’addio» al New York Magazine, gran parte dei giornalisti della stampa mainstream sembra ritenere «che ogni scrittore non impegnato attivamente nella teoria critica in questioni di razza, genere, orientamento sessuale e identità di genere, stia danneggiando attivamente e fisicamente i suoi colleghi, semplicemente con la sua esistenza nello stesso spazio virtuale». Affermare che la teoria critica della razza non abbia senso non risolve nulla, perché ‘avere senso’ è un espressione ‘occidentale’ e ‘oppressiva’.

Il momento attuale può essere compreso solo attraverso la teoria critica della razza, in cui il concetto di razzismo è stato capovolto. In una società basata sull’individuo, dovrebbe essere considerato razzista il dare tanta importanza alla razza e trattare le persone in modo diverso a seconda del colore della loro pelle. Nella teoria critica della razza, il razzismo consiste invece nel contrario: si è razzisti se non si tiene conto della razza e non si riconosce quali gruppi razziali sono privilegiati e quali sono oppressi. Quello che oggi viene chiamato razzismo è il non trattare le persone di colore in modo preferenziale.

Di conseguenza, le università ora pubblicizzano posti di lavoro per i quali i bianchi non sono ammessi; il governo federale fornisce finanziamenti specifici per le organizzazioni guidate da neri; ai manifestanti è permesso bloccare le ferrovie per settimane senza conseguenze; persone vengono licenziate per aver negato che il Canada è sistematicamente razzista; e in una scuola di legge, ospitata nella Sir John A. Macdonald Hall, una petizione ha chiesto che il nome del primo ministro canadese venisse rimosso con la motivazione che era un uomo bianco razzista.

Ironia della sorte, la teoria critica della razza e le sue dottrine correlate sono in gran parte gli strumenti dei bianchi d’élite che chiedono il rispetto della loro visione del mondo, che insulta le persone di colore insistendo sul fatto che sono vittime, destinate al loro destino a causa del colore della loro pelle. Come afferma Thomas Chatterton Williams, uno scrittore americano con un padre nero e una madre bianca, nel suo libro Self Portrait in Black and White, Unlearning Race: l’antirazzismo «procede dalla premessa che la razza è reale […] allineandosi con le presunzioni tossiche del suprematismo bianco che insisterebbe allo stesso modo sulla fondamentalità della differenza razziale. [… ] Possiamo resistere al bigottismo e allo stesso tempo immaginare una società che ha superato le identità su cui si basa».

Il principio della responsabilità individuale mina l’agenda della teoria razziale critica e della giustizia sociale. Le persone che mancano di autodeterminazione hanno bisogno che la società sia razzista, omofoba e patriarcale, perché questo li solleva dalla responsabilità della propria vita e dà loro motivo d’indignazione e risentimento. In questo modo, la loro sorte nella vita può essere attribuita a squilibri strutturali di potere, al razzismo, al sessismo e alle ingiustizie del capitalismo. Se si ha successo, è perché si è privilegiati. Altrimenti, è perché si è oppressi.

In un periodo dove il politicamente corretto regna incontrastato, nonché di cancellazione culturale, rifiutarsi di dire ciò che viene richiesto è difficile, ma necessario. Aleksandr Solzhenitsyn, autore di Arcipelago gulag, ha scritto: «A chi non ha il coraggio di difendere la propria anima, non lasciate che sia orgoglioso delle sue opinioni ‘progressiste’, non lasciate che si vanti di essere un accademico o un artista del popolo, una figura di spicco o un generale; lasciate che dica a se stesso: Io sono nella mandria, un codardo. Per me è tutto uguale finché sono nutrito e al caldo».

Bisogna svegliarsi: rispettare le persone di ogni razza per quello che sono e non soccombere al gioco teorico della critica razziale. Il modo per vincere è non giocare.

 

Bruce Pardy è un professore di diritto presso la Queen’s University.

 

Articolo in inglese: In Critical Race Theory, White Self-Flagellation Is the Only Choice

 
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