Prelievo forzato organi in Cina, le Ong dei diritti umani tacciono

L’avvocato canadese per i diritti umani David Matas (candidato premio Nobel per la Pace 2010) è – insieme all’ex ministro degli Esteri canadese David Kilgour – co-autore di un’inchiesta indipendente sul prelievo forzato di organi perpetrato dal regime comunista cinese a partire dal 1999. L’inchiesta, pubblicata nel 2007, nel 2016 è stata aggiornata dagli autori con l’aggiunta della collaborazione del giornalista investigativo statunitense Ethan Gutmann (candiato al premio Nobel per la Pace 2017).
Epoch Times ha intervistato l’avvocato Matas su questo aggiornamento.

Che cos’è questo nuovo rapporto? Cosa c’è di nuovo e di significativo?

«Si tratta di un aggiornamento del lavoro che io ed Ethan Gutmann abbiamo fatto. Quello che mi ha spinto, e credo valga per tutti noi, è stato che le cose si stanno evolvendo, e che costantemente vengono fuori nuove informazioni riguardo a quanto abbiamo già trattato.

«Avevamo bisogno di un aggiornamento per far fronte agli attuali cambiamenti e per continuare ad approfondire le questioni che abbiamo già affrontato in precedenza.

«Stiamo facendo qualcosa di nuovo con questo aggiornamento, qualcosa che nessuno di noi aveva fatto nelle precedenti indagini. In passato, abbiamo preso il valore nominale delle cifre dei trapianti confermati dal governo cinese e abbiamo cercato di capire da dove venissero queste quantità; dato che i numeri erano così grandi, ponévano una domanda già da soli.

«Questa volta, siamo andati a cercare nei singoli ospedali di trapianto della Cina – e ce n’è circa un migliaio – e abbiamo provato a capirne di più, abbiamo cercato le loro pubblicazioni, newsletter, siti web, rapporti di ricerca e così via, per sapere cosa ogni ospedale stesse facendo in relazione ai trapianti. E quello che abbiamo ottenuto – sebbene non sia il quadro esatto – è un volume di trapianti di gran lunga superiore al totale ufficialmente dichiarato. È una nuova via di ricerca, che si aggiunge all’aggiornamento di quello che abbiamo già fatto».

Che conclusioni si possono trarre da questi risultati?

«La nostra posizione iniziale era che ci fossero un sacco di cose da tenere in considerazione riguardo al governo cinese, un gran numero di approvvigionamenti inspiegabili che attribuiamo al Falun Gong e in primo luogo ai prigionieri di coscienza.

«Ma questi numeri ancora più grandi, aumentano l’onere e la necessità di attribuire responsabilità al governo cinese. Direi che c’è un apice, e ovviamente un volume simile, un volume così sistematico che passa attraverso così tanti ospedali non può non sollevare domande, non solo riguardo alla provenienza ma anche alla complicità dello Stato e del Partito comunista in un programma nazionale creato apposta per uccidere i prigionieri di coscienza per i loro organi. Tutto questo fa diventare ancora più scura l’ombra della colpa.

Il fulcro dei risultati è costituito da una tavola delle quantità [di trapianti eseguiti, ndr] per ospedale, ma questo non è basato su una solida conoscenza del reale volume in quegli ospedali, piuttosto sulle stime del volume basate su casi campione, sui minimi imposti dallo Stato, sulle occupazioni dei letti e così via. In altre parole, queste grandi stime delle quantità sono basate su delle deduzioni. Alcuni potrebbero non essere soddisfatti di basarsi su delle inferenze, trattandosi di un argomento importante come questo. Che ne pensa?

«Naturalmente ci sono delle difficoltà, quando si ha a che fare con i dati cinesi, ma i dati sono lì, possiamo vederli, e non ho dubbi nel dire che quello che i nostri ricercatori hanno segnalato sia esatto.

«La domanda è: tutto quello che abbiamo prodotto è reale? Si scopre per esempio, che le quantità di trapianti confermati dal governo cinese, pari a 10 mila all’anno, non sono reali. E cosa succede allora ai dati di tutti ospedali che hanno in realtà prodotto un numero totale di interventi di gran lunga superiore? Sono più fiducioso sul veridicità dei dati ospedalieri piuttosto che su quelli totali, anche perché coincidono molto più spesso e perché spesso si effettua un controllo incrociato.

«Noi non prendiamo – proprio come abbiamo fatto con il governo cinese – una sola cifra di riferimento da una sola fonte. Stiamo ottenendo diverse collaborazioni e la conferma delle cifre arriva da diverse fonti rafforzando così la conclusione generale.

«Una delle domande che abbiamo affrontato riguardava proprio quelle grandi cifre pubblicate dagli ospedali: può essere una forma di vantaggio competitivo? Direi di no, perché prima di tutto, ce ne sono troppe che provengono da diversi ospedali. E in secondo luogo, non sono solo le cifre, ma anche la confluenza di diverse fonti – il numero di letti occupati, i rapporti di ricerca, i bollettini medici – a portarci alla stessa conclusione di ospedale in ospedale.

«Quindi, ho molta più fiducia in quello che stiamo facendo adesso, rispetto a quanto abbiamo fatto in passato analizzando solo le cifre del governo cinese. Ma alla fine, in realtà, non spetta a noi, intendo dire che non è nostro compito, dire al governo cinese da dove stia prendendo gli organi per i trapianti. È la sua responsabilità. Non è solo il mio punto di vista, ma è la prospettiva della politica internazionale e dei diritti umani, che fa sì che sia il governo cinese a rendere conto per il suo approvvigionamento degli organi. E da questo rapporto si può anche vedere di più di quanto abbiano fatto i nostri lavori precedenti».

Qual è la differenza?

«Prima di tutto, il loro approvvigionamento, così come tutto quello che producono, è sospetto o non autentico. Generalmente, per il governo cinese, le statistiche sono mezzi per fare politica. Cioè non vengono prodotte statistiche per riflettere di dei dati, ma piuttosto per farne un strumento politico. E l’obiettivo politico che hanno cercato di portare avanti, almeno inizialmente, era legato al dimostrare che sono tecnologicamente avanzati.

«Naturalmente il governo cinese ha ottenuto delle resistenze, perché la gente ha sollevato delle domande, tipo: da dove provengono questi numeri? Questo è diventato un problema, e il governo ha dovuto confermare i numeri che aveva dichiarato; dopo, hanno iniziato a fare gli approvvigionamenti.

«Quando abbiamo iniziato la nostra indagine, la risposta principale a quali fossero le fonti di approvvigionamento era: le donazioni. Dopo, il governo cinese ha cambiato versione e hanno parlato dei detenuti condannati a morte. Ma non ha prodotto dati riguardanti il numero delle condanne a morte, e ancora oggi non lo fa. Anche queste cifre in realtà sarebbero ovviamente disponibili, dal momento che la pena di morte è eseguita a livello nazionale.

«Naturalmente, anche l’approvvigionamento di organi da prigionieri condannati a morte è una violazione dell’etica internazionale. Quindi il governo cinese ha fatto un passo indietro rispetto alla posizione dichiarata in precedenza e ha riferito che le fonti per i trapianti provenissero per intero dalle donazioni. A posteriori, ha così istituito un sistema di donazione.

«Una delle novità del nuovo rapporto è che i nostri investigatori hanno chiamato moltissime cliniche che eseguono trapianti e hanno chiesto al personale medico quante persone stessero scegliendo di donare; molte di queste cliniche sono addirittura chiuse o nessuno sta scegliendo di donare i propri organi. Quindi, quella di cui parlano, non è assolutamente una fonte di approvvigionamento plausibile.

«Il governo cinese produce delle statistiche in cui è impossibile verificare in modo autonomo quello che sta accadendo. Solo per la questione sanitaria esiste qualche forma di verifica.

«Le risposte ufficiali della Cina sono duplici. Una è che creano cose; l’altra è che ne nascondono altre. Per cui ho impiegato circa 10 anni a studiare i dati ufficiali, e la mia esperienza è che ogni volta che citiamo qualcosa che è accessibile all’interno della Cina, subito dopo scompare. È quello che abbiamo visto accadere anche quando abbiamo fatto questa ricerca ospedale per ospedale. Dati che scompaiono mentre ci stiamo ancora lavorando sopra, oppure ho il sospetto che scompaiano una volta che questo rapporto verrà pubblicato.

«Quindi è un problema in termini di insabbiamento, se mi state chiedendo qual è la spiegazione, dal mio punto di vista, il governo cinese non ne ha alcuna, è tutto un raggiro».

Di questi risultati c’è stato qualcosa che l’ha sorpreso?

«Io vengo da una città di tre quarti di un milione di abitanti, e da un Paese di 32 milioni di persone. Sono semplicemente sorpreso dalla grandezza della Cina.

«Una delle cose che i nostri ricercatori hanno fatto è stata produrre immagini degli ospedali che stavano facendo questi trapianti. Il trapianto in Cina è un grande business ed è un settore relativamente recente. E non hanno fonti di approvvigionamento chiaramente dichiarate.

«Perché allora, il governo cinese sta investendo tutto questo denaro per costituire istituzioni per i trapianti quando non hanno fonti per i trapianti stessi? Non riguarda solo i trapianti d’organi di oggi, deve avere abbastanza fiducia nel poter continuare in futuro a costruire questa enorme istituzione di capitale, costruita su un’indefinita fornitura di organi.

«Da dove arrivano tutti questi organi? La mia risposta è che arriva da milioni di praticanti del Falun Gong che sono stati arrestati violandone i diritti e che poi sono scomparsi. Questi ospedali cinesi non forniscono davvero un’altra risposta plausibile».

Come sa che il materiale che ha visto riflette l’attività attuale in Cina, e non è soltanto propaganda, auto-promozione, o altro? E come sa che gli edifici sono stati davvero utilizzati per questo scopo, dato che un gran numero delle infrastrutture costruite in Cina potrebbero essere inutili, usate soltanto per ingrandire le cifre del PIL del governo locale?

«Un edificio di se per se non dice nulla. È per questo che stiamo facendo parecchi controlli incrociati.

«Queste strutture, pubblicizzano newsletter, hanno personale, e a questo personale sono riconducibili pubblicazioni e ricerche. Tantissime ricerche cinesi non sono pubblicata nelle riviste mediche, perché non si fondano su una ricerca etica. Per cui producono pubblicazioni vanagloriose che di fatto sono ricerca, ma non possono essere valutate; noi però possiamo accedere a questo materiale. Tutte queste persone sono laureate.

«Potrebbero anche costruire edifici vuoti, ma è improbabile che assumano personale per edifici vuoti per non far nulla tutto il tempo, e che si impegnino in produzioni di ricerche fasulle, fabbricate ad hoc. Ci sono così tanti fatti che insieme dimostrano che si tratta invece di un enorme e funzionante business.

«Inoltre, possiamo constatare nei piani quinquennali del governo comunista che questi ospedali sono in realtà una priorità per il Paese. È improbabile che il governo cinese li ponga come priorità e poi non faccia nulla con essi. Vi sono tanti fatti avvaloranti che portano alla stessa conclusione».

Guardando indietro a dieci anni fa, come definirebbe il progresso che si è fatto a livello di conoscenza?

«Questa è la quarta relazione su cui ho lavorato in questo campo. E anche Ethan Gutmann ne è fortemente coinvolto. Direi che c’è stato un crescente livello di interesse e consapevolezza.

Partendo da sinistra, l’avvocato internazionale di diritti umani David Matas, il Dr. Damon Noto dell’ass.ne Dottori contro l’espianto forzato di organi, e l’autore Ethan Gutmann parlano del prelievo forzato di organi dai prigionieri di coscienza e dai prigionieri politici in Cina durante un forum tenutosi presso ‘Library and Archives Canada’, lunedì 20 ottobre 2014 (Matthew Little / Epoch Times)

«Recentemente, ho ricevuto una email da una persona che ha letto The Slaugther [Il massacro, ndt] e che mi ha fatto alcune domande a riguardo. Mi succedono cose del genere ogni giorno.

«Il vantaggio di lavorare su un dossier così lungo è che sempre più persone ne vengono a conoscenza, e non scompaiono o non lo dimenticano. Per cui cresce il peso della consapevolezza e della pressione.

«Adesso abbiamo una risoluzione al Parlamento Europeo e un’altra al Congresso [degli Stati Uniti, ndt].

«Abbiamo visto che, dall’altro canto, il governo cinese sta cambiando il tono, il vocabolario, sta facendo di tutto per tentare di dire la cosa giusta senza invece fare la cosa giusta. Alcune persone, purtroppo, vengono ingannate da questo. È molto più difficile convincere le persone che non vogliono essere convinte quando i cinesi dicono quello che i loro interlocutori stranieri vogliono sentirsi dire».

Se tutto questo è vero, si tratta di uno dei peggiori crimini contro l’umanità del 21esimo secolo. Perché le principali organizzazioni dei diritti umani e le istituzioni dei trapianti non stanno facendo nulla a riguardo, o persino non ammettono che questo stia succedendo?

«Penso che le risposte di chi lavora nel campo delle organizzazioni dei diritti umanitari siano diverse.

«Chi lavora nel settore dei trapianti, non è abituato a trattare con i diritti umani. Voglio dire, conoscono i trapianti e potrebbero entrare facilmente nel vivo della questione. Un volta, ho indicato a questa comunità scientifica un sito web che pubblicizzava i trapianti in Cina – era il sito dell’Omar Health Care – e questo li ha spinti a scrivere una lettera a Xi Jinping e il sito internet è stato chiuso.

«Per quanto alcuni della Società dei trapianti fossero preoccupati, per loro il problema finiva così, quando in realtà non finiva affatto. Lo scorso mese sono stato a Roma a un convegno insieme a Delmonico [il dr. Francis L. Delmonico, ex presidente della Società dei Trapianti, ndt], il medico ha raccontato di quando è stato in Cina: diceva di aver incontrato altri dottori ed aver visitato alcuni ospedali, tutto sembrava a posto. Tutti dicevano cose corrette e quello a cui assisteva sembrava non avere alcuna anomalia.

«Così, durante quell’incontro, mi hanno chiesto: “Che cosa pensa debba fare il sistema di trapianti perché il cambiamento in Cina sia efficace?”. L’unico modo per poter avere un sistema di trapianti adeguato in Cina è avere un Paese soggetto allo Stato di diritto, a un sistema giudiziario indipendente, a media liberi e in cui si rispettino i diritti umani. Coloro i quali lavorano nel settore dei trapianti, non sono abituati ad affrontare situazioni del genere, per cui è molto di più di quello di cui si possono occupare.

«In generale, dato che mi occupo da parecchio tempo di diritti umani, posso affermare che ci sono due tipi di risposte che si ottengono da chi viola i diritti umani quando ci si confronta con loro in merito alle loro violazioni. Una è: Vai via, non sono affari tuoi. Questa è una questione interna. Parli di valori di altri Paesi”. Così, in un modo o nell’altro, queste persone ti ignorano. Questa è stata la prima reazione della Cina su questa questione quando abbiamo iniziato la nostra indagine.

«La seconda risposta, anche questa tipica per i trasgressori, è: “Avete ragione. Dateci tempo. Stiamo cercando di cambiare le cose. Non siamo ancora completamente evoluti. Diteci come fare. Aiutateci”. E questa è più o meno la risposta odierna. Il risultato comunque è lo stesso. Le violazioni dei diritti umani continuano. È soltanto il vocabolario ad essere cambiato.

«Ma chi lavora nel campo dei trapianti, viene facilmente ingannato da questo tipo di cambiamento nel vocabolario, perché non è abituato a trattare con questo genere di cose in mezzo a tutta una serie di Paesi e di violazioni in tema di diritti umanitari. Si imbattono in questo soltanto una volta, solo in questo contesto. Sapete, c’è un detto: se m’inganni una volta, la colpa è tua; se mi inganni due volte, la colpa è mia. I professionisti del trapianto, sono stati ingannati soltanto una volta, per cui è difficile per loro andare oltre.

«Credo che per le organizzazioni di diritti umanitari, la risposta sia diversa. Questo per loro è un problema costante. La scorsa settimana sono andato a un incontro di Amnesty International a Winnipeg, e un portavoce nel movimento, attivo a livello internazionale, ha detto una cosa che ho sentito dire moltissime volte da queste grandi organizzazioni: siamo preoccupati dell’efficacia, e per efficacia intendiamo ‘ottenere visibilità’, ‘ottenere finanziamenti’.

«Ho parlato con Amnesty International riguardo alla Cina e al Falun Gong. Loro sono preoccupati della pena di morte: esiste infatti un movimento proprio contro la pena di morte. Le accuse di pena di morte oggi sono in calo, la struttura è diversa: va dalle regioni alla Corte Suprema. Ma non possono avere un impatto sul Falun Gong o sui trapianti degli organi perché una volta che inizi a parlare con la Cina del Falun Gong, la conversazione è finita. Per cui stanno scendendo a un compromesso. Il loro atteggiamento è il seguente: andremo a trattare di un argomento per cui possiamo avere un dialogo – nel contesto cinese è la pena di morte – e staremo lontani dagli argomenti che fanno chiudere la conversazione.

«Mi sono allontanato da questo movimento perché penso che il primo obiettivo, in tema dei diritti umani, sia il punto di vista delle vittime, non dei perpetratori. Dove si mietono più vittime, è proprio il posto dove dovremmo essere più coinvolti.

«Amnesty ha un imperativo istituzionale: il fatto stesso per cui sono grandi significa che hanno una grande macchina che devono continuare a far funzionare. Andare continuamente contro il governo cinese per loro non sta funzionando, per cui adesso si sono mossi verso altre Paesi dove possono ottenere un certo risultato».

Lo stesso vale per Human Rights Watch?

«È stato un interessante fenomeno quello di Human Rights Watch, perché inizialmente hanno pubblicato un lungo rapporto proprio nel momento in cui la Cina diceva che tutti gli organi per i trapianti provenivano dalle donazioni.

«Amnesty International e Human Rights Watch sono due movimenti molto diversi fra loro, Amnesty International è un’organizzazione associativa mentre Human Rights Watch non lo è. HRW è più orientata alla ricerca e alla comunicazione. HRW ha pubblicato un grande rapporto sull’approvvigionamento degli organi per i trapianti che faceva riferimento a quelli che provenivano dalle condanne a morte quando la Cina diceva che gli approvvigionamenti invece arrivavano dalle donazioni. Credo fosse stato verso la fine degli anni ’80.

«Poi è uscito il nostro rapporto e per quanto mi riguarda, almeno a livello metodologico, il nostro è più forte perché loro hanno utilizzato delle fonti che noi non abbiamo usato, come le fonti secondarie che non erano state identificate. Parte del problema con HRW è che non sono così completi come Amnesty International, dato che tendono a muoversi e a scegliere degli argomenti orientati alla ricerca. Penso che loro si sentano come se avessero già affrontato l’argomento del trapianto di organi con la ricerca effettuata sulla pena di morte, per cui stanno adesso lavorando su altro. Probabilmente anche loro, come Amnesty, pensano che questa ricerca potrebbe impedire loro di essere efficaci con la Cina in altre aree di loro interesse».

Qual è la sua attuale comprensione sullo stato del prelievo di organi dai praticanti del Falun Gong in Cina? Secondo lei è ancora in corso?

«I numeri continuano [ad aumentare, ndt]. Il mistero sulle fonti di approvvigionamento continua. L’unica fonte ovvia che vedo sono i prigionieri di coscienza.

«Non sappiamo quante siano le pene di morte, ma, per quanto io possa dire, sono in diminuzione per via del passaggio di decisioni avvenuto dalle corti regionali alla Corte Suprema, e anche grazie alla diminuzione del numero di reati [punibili con la pena di morte, ndt].

«Parte del problema che stiamo affrontando è l’espansione dell’insabbiamento. Non è completamente legato a una pressione esterna. Una delle cose che il regime ha fatto in risposta alle preoccupazioni globali circa l’approvvigionamento degli organi è stata quella di creare un sistema di registrazione. C’erano circa un migliaio di ospedali che facevano trapianti prima ancora che impostassero questo sistema, poi hanno eliminato circa 164 degli ospedali registrati. Dicono che devi essere registrato per eseguire dei trapianti.

«Il trapianto è stato, ed è ancora oggi, un’enorme miniera d’oro per la Cina. È la prima fonte di guadagno per il sistema sanitario, da quanto ne so io. Il governo ha preso soldi dal sistema sanitario nel passaggio dal socialismo al capitalismo, e molti degli ospedali avevano bisogno di questi soldi per rimanere aperti. Gli ospedali sono entrati così nel business dei trapianti, e il governo, in parte come risposta alla pressione esterna, ha detto loro che avrebbe introdotto una sorta di regolamento per l’intero sistema. Così ha creato questo sistema di registrazione, ma gli altri circa 700 ospedali non hanno fermato i loro trapianti. Hanno solo cercato di nascondere i trapianti che stavano facendo, non soltanto dal mondo esterno, ma dalla stessa Pechino.

«Per quanto mi riguarda, questo fenomeno sta ancora avvenendo, ed è molto più difficile, quando è in atto una simile copertura massiva dei fatti, raccogliere i numeri di quello che sta succedendo. Sappiamo di questi ospedali che vantano numerosissimi trapianti ogni anno, sommandone anche solo una parte, ne otteniamo un numero già superiore al totale dichiarato dal governo. Ma non possiamo produrre dei risultati totali».

Su che cifre si aggira il dato sui trapianti che ha raccolto?

«Ci sono diverse stime basate su altrettante ipotesi. Ci basiamo su delle congetture d’insieme. Tutti questi letti dovrebbero essere utilizzati in base ad una rotazione degli approvvigionamenti, e così via. Questo è solo per dare un’idea di cosa è possibile oggi nel sistema cinese, con le infrastrutture attuali. Ma non è il numero reale».

Quindi si tratta di una supposizione, non avete un numero reale?

«Non stiamo cercando di fornire un numero o dire che dev’essere pari a certo numero.

«Credo che l’unica cosa che possiamo dire con certezza è che è di molto superiore ai 10 mila trapianti all’anno che il governo cinese ha dichiarato. I dati che abbiamo prodotto in passato, che anch’essi sono stime dei numeri di prigionieri di coscienza uccisi per i loro organi, cioè numeri che fanno capo ai praticanti del Falun Gong uccisi per i loro organi, sono troppi bassi.

«Ma non possiamo dire quali siano le cifre reali, perché ci sono troppe variabili.

«Prendiamo qualcosa di semplice come i letti. Ci sono un sacco di ospedali di cui conosciamo i numeri dei posti letto. Alcuni di questi ospedali hanno intere ali dedicate ai trapianti. E all’interno di queste unità di trapianto, ci sono unità di terapia intensiva. Per cui, se hai a che fare con letti di unità di trapianto di terapia intensiva, puoi probabilmente, con una certa portata, capire quanto spesso vi sia una rotazione degli approvvigionamenti [di organi, ndt], dato che i pazienti vengono tenuti in terapia intensiva per una arco di tempo relativamente prevedibile.

«Ma quando si tratta di altri posti letto, persino per quelli dedicati ai reparti di trapianto, c’è una variazione sostanziale: all’interno dell’ospedale quanto tempo prima preparano l’operazione, e quanto tempo dopo l’operazione tengono [la persona, ndt] ricoverato il paziente in ospedale. Per cui, non si può realmente risalire al volume dei trapianti partendo solo dal numero dei posti letto, anche se stanno operando a pieno regime, perché non si è in grado di stimare con esattezza la durata del ricovero. Ci troviamo di fronte a problemi simili».

Finora questo rapporto è quello che più di ogni altro riesce a mostrare, o suggerire, o almeno a lasciare aperta la possibilità, che il prelievo di organi potrebbe essere stato il principale strumento del Partito Comunista per eliminare il Falun Gong: ovvero nell’utilizzare i corpi dei praticanti del Falun Gong come parte di un programma di eradicazione centralizzato. Naturalmente, il rapporto non prova in modo diretto questo, e neanche lo sostiene. Pensa che questo sia quello che è realmente avvenuto? O ritiene che la spiegazione ‘imprenditoriale’ e ‘organica’ – per cui gli ospedali di tutto il Paese semplicemente attingevano dalle prigioni locali e dai campi di lavoro e utilizzavano qualsiasi [prigioniero, ndt] fosse disponibile – sia la più credibile?

«Direi che in generale i governi agiscono raramente per un solo motivo, coinvolgono più persone che agiscono sempre per motivi differenti. Alcune persone sono fortemente guidate dal denaro; altre seguono semplicemente quello che fanno gli altri, altri ancora ora sono invece vittime della propaganda perpetrata contro il Falun Gong. Posso affermarlo perché ho intervistato tanti praticanti del Falun Gong che sono usciti dalle prigioni in cui erano stati rinchiusi in Cina. Non è solo una questione di denaro, perché i praticanti del Falun Gong vengono trattai in maniera disumana. Non è neanche solo una questione politica, perché per queste persone, si tratta di tutto un insieme: della loro carriera, del reddito, delle famiglie, di qualsiasi cosa. Stanno chiudendo un occhio perché beneficiano da tutta questa orrenda situazione.

«Per molti di loro, si tratta di cecità intenzionale perché è utile ai loro interessi personali e politici. Molti dei funzionari con cui i professionisti dei trapianti stanno avendo a che fare, tra cui Huang Jiefu [ex ministro della Sanità, ndt], hanno detto poco o nulla sul Falun Gong, dicono solo di non sapere da dove vengano gli organi perché si occupano solo degli interventi, non delle estrazioni [degli organi, ndt].

«Quindi, non credo si debba scegliere una sola tra queste spiegazioni. Penso che sia una confluenza di spiegazioni che determinano questo risultato».

Cosa spera potrà cambiare dopo la pubblicazione di questo rapporto?

«Questo rapporto andrà ad aggiungersi al database di informazioni su quello che sta avvenendo in Cina. Spero si arriverà al momento in cui la Cina dovrà rendere conto di quello che ha fatto.

«La professione medica legata ai trapianti sta vacillando. I medici di questo settore hanno congressi bi-annuali e non stanno rifiutando quanto sostengono i media cinesi. Per quanto mi riguarda, questo è un grave problema. I media infatti non identificano le fonti e in molti, nel settore dei trapianti, vengono facilmente ingannati dalla propaganda cinese.

«Credo che la pressione degli altri medici sia importante, ed è stata efficace in passato, almeno per ottenere qualche scossone all’interno della Cina. Spero anche che la comunità medica nel settore dei trapianti mostri più spina dorsale riguardo a questo problema. E, naturalmente, sono contento di vedere quello che è accaduto al Parlamento Europeo e al Congresso degli Stati Uniti, e mi piacerebbe vedere accadere più spesso queste reazioni nelle diverse legislature di tutto il mondo.

«Penso anche che quanto accade nella comunità medica in campo di trapianti, interessa la comunità scientifica internazionale e nazionale. Se più comunità scientifiche nazionali prendessero una posizione ferma sul problema del prelievo di organi, questo potrebbe avere un forte impatto sulla professione. Ci sono anche altri provvedimenti che dovrebbero essere messi in pratica, come i controlli sull’immigrazione, o la selezione di quali articoli vadano pubblicati o meno, o ancora la regolamentazione della formazione dei professionisti dei trapianti in Cina. Si deve pensare ai diversi modi che potrebbero generare un cambiamento e provarli tutti. Speriamo che tutti questi sforzi diano forza a quello che stiamo facendo».

Se le persone avessero soltanto 30 minuti per guardare questo rapporto e valutare il problema, su cosa suggerirebbe di concentrare la lettura? Quali capitoli, e quali problemi?

«In una certa misura, la lunghezza della relazione era intenzionale. Ovviamente, avremmo potuto produrre un rapporto più breve, ma quello con cui abbiamo a che fare è l’insabbiamento e la negazione dalla Cina. Ed entrare semplicemente in un dibattito del tipo ‘lui ha detto, lei ha detto’, non ci avrebbe portato molto lontano perché sembrerebbe soltanto una sorta di lite, e sarebbe davvero difficile prendere una posizione.

«L’impressione che vorrei dare alle persone, con questo rapporto, è che le evidenze dal nostro lato dell’equazione sono schiaccianti. Se hanno dei dubbi, possono leggere, parola per parola, pagina per pagina, centinaia di pagine dopo altre centinaia. Ma se non vogliono farlo, allora non dovrebbero discutere con noi sul fatto che le prove non esistano».

State documentando dei crimini enormi, da capogiro. È preoccupato che la risposta del pubblico non sia proporzionata alla gravità di quello che ha documentato?

«Certo, voglio dire, è sempre vero che davanti a una massiccia violazione dei diritti c’è un tantissima gente a cui non interessa. Sono più preoccupati se il loro vicino di casa gli taglia il prato, piuttosto che di milioni di persone che all’estero vengono uccise. Per una certa misura questo fa parte della natura umana. Dobbiamo tenerne in conto».

«E per quanto riguarda l’élite, i professionisti dei diritti umani, i giornalisti, e così via? Anche loro potrebbero non leggere l’intero rapporto. Come potrebbe spiegare il rapporto in poche parole?

«Quello che stiamo dicendo è che c’è un enorme numero di trapianti che arriva da fonti inspiegabili, e che le evidenze puntano ai prigionieri di coscienza e in primo luogo ai praticanti del Falun Gong che vengono usati proprio come fonte.

«In poche parole è questo quello che stiamo sostenendo. Se hanno qualsiasi tipo di dubbio, ci sono un moltissime prove a sostenere questa tesi, certamente più numerose di quelle che potrebbero volere».


L’intervista è stata rivista per brevità e chiarezza
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Articolo in inglese: Interview With David Matas, Co-author of New China Organ Harvesting Report

 
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