«Il cielo stava crollando». Ricordi di chi è cresciuto sotto la persecuzione in Cina

Jiang Lianjiao è stata una persona ‘fuori dagli schemi’ fin dalla nascita.

In base alla politica del figlio unico che vigeva in Cina non sarebbe dovuta nascere, in quanto quartogenita della sua famiglia. Perciò è stata nascosta in casa di sua nonna da quando aveva un mese di vita. Per sfuggire ai sospetti delle autorità, ha chiamato i suoi genitori «zia e zio» fino all’età di 7 anni. Inoltre, i suoi genitori hanno speso tutti i loro risparmi – un grosso sacco di monete – per corrompere i funzionari locali in modo che lei potesse vivere a casa con loro.

Dopo essersi riunita ai suoi genitori all’età di 7 anni, ha iniziato a praticare con loro una disciplina spirituale chiamata Falun Gong. Ogni giorno, circa 30 persone si riunivano con Lianjiao e la sua famiglia nel cortile del loro condominio per praticare insieme gli esercizi meditativi. Lianjiao, sua sorella e i suoi genitori si recavano in barca nella città natale del padre, nel vicino comune di Wufeng, per insegnare la meditazione agli abitanti degli villaggio. Lei e sua sorella erano sempre in prima fila durante la meditazione.

La praticante del Falun Gong Jiang Lianjiao (in bassso a destra) con sua sorella, nella sua città natale nella provincia dello Hubei, in Cina. (Fornita a The Epoch Times)

Tuttavia, quella vita felice e spensierata è finita da un giorno all’altro. Il 20 luglio 1999 Lianjiao, che allora aveva 8 anni, si è ritrovata con la sua famiglia nel mezzo della campagna nazionale contro il Falun Gong. Alcuni praticanti che lavoravano per lo Stato erano al corrente dei piani per arrestare i praticanti, ma nonostante questo, decine di persone si sono presentate comunque nel cortile dei Jiang per fare gli esercizi, imperterrite. Poco dopo sono arrivate le auto della polizia e gli agenti hanno portato tutti alla stazione di polizia locale. Suo padre è stato trattenuto per un mese.

La persecuzione è stata lanciata dall’allora leader del Partito comunista Jiang Zemin (nessuna parentela con la famiglia Jiang in questione), che considerava l’enorme popolarità del Falun Gong una minaccia per il dominio ideologico del Partito.

Alla fine degli anni Novanta, fino a 100 milioni di persone in Cina praticavano il Falun Gong, attratti dai suoi  insegnamenti morali incentrati sui principi fondamentali di ‘Verità, Compassione e Tolleranza’ e dalla sua serie di 5 esercizi di meditazione. Negli ultimi due decenni, Minghui.org, un sito dedicato a documentare la persecuzione in Cina, ha identificato più di 4.500 praticanti morti sotto tortura. Ma considerando i grandi sforzi delle autorità per censurare qualsiasi informazione sull’argomento, è verosimile che il numero reale dei morti sia molto più alto.

Casa trasformata in prigione

Il brusco cambiamento non è stato semplice da comprendere per la giovane Lianjiao e per la sua famiglia, né per milioni di altri praticanti del Falun Gong in tutto il Paese che praticavano questa disciplina per i suoi benefici curativi e di rilassamento, e che da un momento all’altro hanno dovuto affrontare il rischio di essere arrestati per la loro fede.

Nel 2000, i sei membri della famiglia Jiang, insieme con altri 100 praticanti locali, si sono recati a Pechino per appellarsi alla decisione del Partito Comunista Cinese di reprimere la loro fede. Poco dopo aver srotolato uno striscione in piazza Tienanmen con scritto «La Falun Dafa è buona», la polizia ha immobilizzato la madre e l’ha presa a calci difronte alla piccola Lianjiao, che tremava di paura. Sono poi stati trascinati nei furgoni della polizia: la sorella maggiore di 16 anni e stata tirata dentro dalle treccine dei capelli, mentre un agente di polizia con un manganello ha colpito la piccola Lianjiao sulla testa, facendola svenire.

In seguito a quest’appello, il padre è stato condannato a tre anni di prigione, mentre la madre a due. Anche la sorella sedicenne è stata trattenuta per un mese. Lianjiao, il fratello maggiore e la sorella minore sono stati lasciati soli in casa a badare a se stessi. Il più grande di loro aveva appena 12 anni all’epoca. Temendo che scappassero, l’amministratore del palazzo li chiudeva abitualmente in casa, aprendo la porta solo la mattina per accompagnarli a scuola.

La città natale di Jiang Lianjiao, Shiyan City nella provincia dell’Hubei, Cina, nel 2011. (Fornito a The Epoch Times)

Durante quel periodo, Lianjiao e fratelli avevano spesso difficoltà a procurarsi cibo a sufficienza. Per sfuggire ai morsi della fame, Lianjiao si riempiva la pancia di acqua o mangiava piante selvatiche nei campi vicini.

La famiglia si è lentamente riunita dopo che la sorella maggiore e la madre sono state rilasciate dalla detenzione. Nel 2003, la madre e la sorella maggiore hanno visto il padre per la prima volta dopo tre anni. L’uomo, che doveva scontare ancora un mese e che un tempo godeva di ottima salute, ora era emaciato e doveva essere accompagnato da sei persone. Gli mancavano i denti, le sue gambe erano state rese inutilizzabili a causa delle ripetute torture (doveva reggersi quindi con le stampelle) e aveva dimenticato come parlare a causa del prolungato isolamento. Le torture da lui subite avevano lo scopo di «trasformarlo» (un termine usato dalle autorità comuniste) per costringerlo a rinunciare alla sua fede. Era uno spettacolo pietoso e devastante per la famiglia, che si era affidata a lui come capofamiglia. Lianjiao ha ricordato che sembrava come se «il cielo stesse cadendo».

Jiang Liyu, la sorella minore di Lianjiao, arrestata nel 2017 per aver appeso degli adesivi con messaggi a sostegno della pratica, è ancora reclusa.

Prima della persecuzione, suo padre era uno dei migliori chirurghi dell’ospedale locale di Shiyan, nella provincia dell’Hubei e sua madre lavorava come funzionario amministrativo. Dopo il loro rilascio, l’ospedale ha ridotto la loro paga a 250 yuan (circa 31 euro) al mese, meno di un quarto dei guadagni dei loro colleghi: lui è stato degradato alle pulizie dei gabinetti, e lei costretta a lavare a mano le lenzuola dei pazienti.

Per risparmiare, in estate la famiglia spegneva i ventilatori nonostante il caldo soffocante; i bambini tessevano tende di bambù che vendevano a 1,1 yuan (0,14 euro) l’una. Compravano solo il cibo più economico possibile: riso contaminato da feci di topo e verdure che stavano marcendo.

Una ragnatela di bugie

Negli ultimi 20 anni, il regime ha trasmesso la sua falsa propaganda attraverso i canali controllati dallo Stato, nel tentativo di diffamare la pratica e i suoi aderenti. L’evento più infame è stata una finta auto-immolazione di praticanti del Falun Gong inscenata dalle autorità del regime alla vigilia del Capodanno lunare del 2001. Questo incidente ha contribuito a portare l’opinione pubblica cinese contro il Falun Gong.

Annita Bao in una foto scattata nel 2017. (Fornita a The Epoch Times)

La trentenne Annita Bao, una designer di gioielli di New York e praticante del Falun Gong che è fuggita dalla Cina nel 2016, ricorda che nella sua città natale di Wuhan, la capitale dell’Hubei, tutti gli studenti della sua scuola elementare sono stati costretti a scrivere i loro nomi su un enorme striscione che denunciava la pratica: «Era una scenata», racconta, per dare l’impressione che l’intera popolazione di Wuhan avesse voltato le spalle ai praticanti del Falun Gong.

Inoltre, con la scusa di «prendersi cura del suo rendimento accademico», i funzionari del comitato di quartiere andavano spesso a casa sua a controllarla e a chiederle se stesse ancora praticando. Se la famiglia si rifiutava di abbandonare la pratica, essi minacciavano di fare un annuncio pubblico alla scuola di Bao per umiliarla. Perché la polizia non sapesse che erano in casa, per anni la famiglia di Bao ha tenuto le luci spente nel soggiorno.

Lü Zhongyang, invece, ora laureato all’Università di Buffalo, ha raccontato che gli studenti della sua scuola elementare in Cina erano costretti a guardare e ascoltare video e trasmissioni diffamatorie. Una propaganda simile è stata diffusa nei libri di testo scolastici nel corso degli anni.

L’aria era «desolante», ricorda Lü, «come se la vita potesse cadere a pezzi in qualsiasi momento». Suo padre, un editore di giornali di Pechino, ha trascorso circa quattro anni in prigione per aver scritto su delle banconote dei messaggi di sensibilizzazione sulla persecuzione.

Quando i genitori di Lianjiao sono stati arrestati per la prima volta, l’emittente della loro città natale, la Shiyan Radio and Television Station, ha cercato lei e i suoi fratelli, dicendo che voleva filmarli, per mostrare ai loro genitori che stavano bene.

Lianjiao racconta che, solo dopo che un vicino si è imbattuto nel segmento in televisione e ne ha parlato con lei, i fratelli si sono resi conto di essere stati ingannati: i video facevano parte di un programma di propaganda per descrivere quanto «ostinati» fossero i loro genitori nel praticare il Falun Gong, e affermava che lo Stato si stava prendendo cura dei bambini. «Come possono fare questo: creare delle dicerie mentendo? Questa è una tattica disumana – commenta Lianjiao – Non solo hanno perseguitato [i miei genitori, ndr], ma anche fatto di tutto per ingannare il pubblico … È stato molto spudorato».

Un evento di formazione dei caratteri che ha coinvolto 5.000 praticanti del Falun Gong a Wuhan, Cina, nel 1998. I caratteri cinesi, creati da formazioni di persone, sono quelli di «Verità, Compassione e Tolleranza», i principi fondamentali del Falun Gong. Annita Bao ha partecipato all’evento quando era una bambina (Minghui.org)

Agrodolce

Se la paura era un tema ricorrente per questi praticanti che sono cresciuti all’ombra della persecuzione, oggi si sforzano di non lasciare che la paura li definisca.

Lianjiao, il cui bisnonno era stato portato alla follia dalle persecuzioni durante la Rivoluzione Culturale per la sua fede nel Taoismo, ha giurato: «Le avversità non schiacceranno il mio spirito». La serie di persecuzioni che la sua famiglia ha vissuto per generazioni, le ha permesso di vedere il vero volto del regime e l’ha motivata a raccontare a più persone le persecuzioni in corso in Cina.

Ha dovuto allontanarsi dalla Cina e ora ritiene che «i danni inflitti dal Partito comunista cinese non riguardano solo una generazione… né solo un tipo di persone». Sottomettersi alle tattiche di terrore del regime non farebbe altro che incoraggiare le autorità ad agire in modo più incontrollato: solo quando si conosce la vera situazione si può emergere più forti, spiega Lianjiao.

Un disegno di Annita Bao dopo la liberazione dei suoi genitori nel 2018, che secondo lei trasmette la speranza che la famiglia possa vivere una vita più spensierata. (Fornito a The Epoch Times)

Come lei, Annita Bao, che ha iniziato a praticare quando aveva sette anni, ha spiegato che la sua esperienza passata le ha dato un «senso dimissione» che si riflette anche nel suo approccio alla progettazione di gioielli e che si traduce in una ricerca della perfezione senza enfatizzare i benefici materiali.

«Più il [Partito, ndr] pensa che siamo deboli, più abbiamo bisogno di dimostrare che si sbagliano». Annita ha preso infatti le sfide come opportunità per elevare il suo carattere: «Ride bene chi ride ultimo», afferma.

 

Articolo in inglese: ‘The Sky Was Falling’: Memories of Growing Up Under Religious Persecution in China

 
Articoli correlati