La Terza Guerra mondiale? «Ci siamo già dentro fino al collo»

Tra crisi economica, lamentele contro la politica e discussioni sull’immigrazione, in Italia non si respira sempre una bella aria, ma non si può dire che tiri aria di guerre mondiali. Tuttavia per il generale Fabio Mini un conflitto mondiale arriverà ed è già cominciato.

In un’intervista a Critica Scientifica, il generale Mini, che ha comandato missioni Nato e ricevuto varie medaglie nella sua carriera, sostiene che nel tempo presente non esistano davvero conflitti limitati a piccole aree, ma ogni conflitto finisce – tramite legami e interessi politici ed economici – per coinvolgere tutto il mondo. E lo possiamo facilmente vedere: che sia la crisi ucraina, la Siria o le dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale, anche se non scoppia un conflitto armato mondiale ci sono sempre numerosi Stati che prendono le parti di una delle fazioni.

«A cominciare dalla guerra fredda che i Paesi baltici hanno iniziato contro la Russia, dalla guerra ‘coperta’ degli americani contro la stessa Russia, dai pretesti russi contro l’Ucraina, alla Siria, allo Yemen e agli altri conflitti cosiddetti minori o ‘a bassa intensità’ tutto indica che non dobbiamo aspettare un altro conflitto totale: ci siamo già dentro fino al collo», afferma Mini.

Ma per il generale il teatro più probabile di esplosione di un conflitto è forse anche il più terribile: l’area asiatica. «Quello che succede in Asia con il pivot strategico sul Pacifico è forse il segno più evidente che la prospettiva di un’esplosione simile alla seconda guerra mondiale è più probabile in quel teatro […] Non è detto che avvenga in un tempo immediato, ma più la preparazione sarà lunga, più le risorse andranno alle armi e più le menti asiatiche e occidentali si orienteranno in quel senso».

Per Mini ogni conflitto mondiale porta a una situazione globale diversa anche nei valori dominanti. Il generale sostiene che la prossima ‘era’ potrebbe vedere un ritorno al colonialismo, per interesse sia dei nuovi coloni, che dei Paesi colonizzati, che rimpiangerebbero la schiavitù del periodo coloniale: una minore libertà che porta però a un maggior benessere. «Il cosiddetto ‘nuovo ordine’ potrebbe essere quello vecchio del modello coloniale e le forze armate si stanno sempre di più orientando verso il sistema degli ‘eserciti di polizia’ (constabulary forces). In molti Paesi dell’Africa si parla da tempo di ‘nostalgia’ del periodo coloniale o si accusano le potenze coloniali di averli abbandonati. La potenza e la schiavitù sono complementari». Il classico ‘si stava meglio quando si stava peggio’.

Il generale ritiene un atto di guerra anche ciò che è successo alla Grecia di recente. «La Grecia ha subito un’imposizione che piegando la volontà del governo e della stessa popolazione è senz’altro un atto di guerra», dice.

«Ma il vero scandalo della Grecia non è nell’imposizione subita, ma nell’apparente lassismo in cui è stata lasciata proprio dagli organismi internazionali che ne avrebbero dovuto controllare lo stato finanziario […] Solo qualche sprovveduto può pensare veramente che la Grecia abbia alterato i propri bilanci senza che né Unione europea, né Banca Centrale Europea, né Fondo Monetario, né Federal Reserve, né Banca Mondiale, né le prosperose e saccenti agenzie di rating se ne accorgessero. È molto più realistico pensare che al momento del passaggio all’Euro gli interessi politici della stessa Europa prevalessero su quelli finanziari e che gli interessi finanziari fossero quelli di far accumulare il massimo dei debiti a tutti i paesi membri più fragili. Abbiamo la memoria molto corta, ma ben prima del 2001 il dibattito sull’euro escludeva che molti Paesi della periferia europea e quelli di futuro accesso (Europa settentrionale e orientale) potessero rispettare i parametri imposti. Non è un caso se proprio i Paesi della periferia  siano stati prima indotti a indebitarsi e poi a fallire, o ad essere ‘salvati’ dalla padella per essere gettati nella brace. Irlanda, Gran Bretagna, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia sono stati gli esempi più evidenti di una manovra che non è stata né condotta né favorita dagli Stati, ma gestita da istituzioni che si dicono superstatali e comunque sono improntate al sistema privatistico degli interessi del cosiddetto ‘mercato’».

 
Articoli correlati