Dimagrimento localizzato, mito o realtà?

Quando si parla di dimagrimento localizzato molte persone storcono il naso e non credono che sia possibile; pensano che sarebbe troppo bello e comodo allenare gli addominali o i glutei e notare un dimagrimento apprezzabile in quella zona, per cui semplicemente non considerano questo argomento. Eppure, nel mondo del fitness e del bodybuilding svariate persone nel corso degli anni hanno fornito testimonianze positive su questo fenomeno.

Per comprendere se il dimagrimento localizzato è realmente possibile e se esistono dei metodi per ottenerlo, Epoch Times ha intervistato Massimo Spattini, medico specializzato in scienze dell’alimentazione e medicina dello sport, con certificazione in medicina anti-aging dell’American Academy Anti-Aging Medicine (A4M). Spattini vanta anche il titolo di campione italiano di Bodybuilding (IFBB).

Dottor Spattini, innanzitutto che cos’è il dimagrimento localizzato?

«Per dimagrimento localizzato normalmente si intende la possibilità di poter dimagrire in zone specifiche del corpo, soprattutto tramite l’esercizio fisico. Normalmente è un approccio che viene proposto nell’ambito delle palestre: poter allenare determinati distretti corporei e riuscire a ottenere un dimagrimento in zone dove è presente del tessuto adiposo adiacente alle aree muscolari allenate. Questo normalmente si intende per dimagrimento localizzato».

Esistono delle evidenze scientifiche a supporto del dimagrimento localizzato?

«Fino a poco tempo fa non esistevano particolari evidenze scientifiche e la posizione della scienza e degli autori concordava sul fatto che in realtà il dimagrimento localizzato fosse solo un’utopia, un concetto da marketing ma non realizzabile. Questo era dovuto a un presupposto fisiologico: non esiste una diretta comunicazione tra il muscolo e il tessuto adiposo sovrastante. In altre parole, un muscolo che lavora utilizza come substrato energetico il glucosio o gli acidi grassi, che sono all’interno del muscolo sotto forma rispettivamente di glicogeno o trigliceridi intramuscolari; oppure lavora utilizzando quelli che gli arrivano tramite il flusso sanguigno, che trasporta appunto glucosio e acidi grassi che poi verranno bruciati dal muscolo a scopo energetico. Pertanto, il muscolo non preleva il grasso dal tessuto adiposo sovrastante a scopo energetico, proprio perché non esiste una comunicazione, una soluzione di continuità tale per cui il muscolo possa attingere dal grasso sovrastante. Pertanto, basandosi su questo concetto fisiologico, la maggior parte degli autori sosteneva che il dimagrimento localizzato non fosse possibile.

«Viceversa, nel mondo delle palestre e anche del bodybuilding, alcuni autorevoli rappresentanti – tra questi posso citare quello più conosciuto da tutti e cioè Arnold Schwarzenegger – sostenevano che il dimagrimento localizzato fosse possibile. Arnold diceva di non conoscere le ragioni scientifiche per il quale il dimagrimento localizzato potesse funzionare, o perché non avrebbe dovuto funzionare come dicevano gli scienziati, ma sosteneva che quando in alcune occasioni si era trovato in ritardo nella definizione muscolare a livello addominale durante la preparazione di un gara di body-building, aumentando la quantità e la frequenza di allenamento a livello addominale aveva ottenuto un maggiore dimagrimento specifico in quella zona. Arnold sosteneva che per lui il dimagrimento localizzato funzionava.
Inoltre, facendo semplicemente delle osservazioni alla portata di tutti, è abbastanza tipico osservare questo fenomeno in certi mestieri. Facciamo l’esempio dei muratori: alcuni presentano un’alta percentuale di grasso perché magari mangiano male, basti pensare al piatto di pasta o un panino con il fiasco di vino, e quindi hanno la pancia. Però, proprio perché usano le braccia 8-10 ore al giorno, presentano al livello di spalle e braccia una muscolatura evidente e asciutta, con tanto di vascolarizzazione poiché c’è poco grasso in quelle zone. L’individuo equivalente a parità di età, di peso e anche di percentuale di grasso corporeo totale, ma che svolge invece un’attività sedentaria – come un impiegato di banca – a livello di spalle e braccia presenta una quantità di grasso molto più alta».

A questo proposito, a volte si vedono persone di una certa età che hanno un passato di ciclisti, anche amatoriale, che presentano una buona gamba, con una buona definizione muscolare a livello del quadricipite e del polpaccio, e che magari hanno la pancetta…

«Esatto. Lavorando con sportivi e atleti, mi viene in mente proprio questo esempio. Il ciclista amatoriale, che magari non cura l’alimentazione e ha un po’ di pancia, presenta però gambe muscolose e spesso molto asciutte, con poco grasso. Quindi anche al livello della semplice osservazione e del buon senso, è abbastanza intuitivo capire che esiste una correlazione. Ma non era mai stata evidenziata in maniera specifica da degli studi accreditati scientificamente. Uno dei primi studi – pubblicato dall’American Journal of Phisiology, apparso su Pubmed nel 2006 e condotto dall’Università di Copenaghen in Danimarca – ha evidenziato che paragonando il consumo di grassi nella gamba dei soggetti dello studio durante l’esercizio di estensione della gamba (leg extension) rispetto alla controlaterale a riposo, si è osservato che nel tessuto adiposo della gamba che faceva questo esercizio era aumentata la lipolisi, ossia il rilascio di grasso dalle cellule del tessuto adiposo sottocutaneo sovrastanti il muscolo della gamba allenata e un aumento del flusso sanguigno. Questa è stata quindi una dimostrazione che si verifica una maggiore lipolisi nell’area target.

«La ragione per la quale avviene questo fenomeno è da imputare soprattutto allo stimolo circolatorio indotto dall’allenamento, che causa un aumento dell’apporto di ormoni lipolitici come l’adrenalina e le catecolamine, che appunto aumentano la mobilizzazione del grasso. Pertanto, aumentando la circolazione in quella zona attraverso l’allenamento, arrivano maggiormente questi ormoni lipolitici che favoriscono il consumo del grasso (il dimagrimento localizzato è anche dovuto a un effetto termico causato dall’allenamento che aumenta la vasodilatazione nel tessuto adiposo).

«Ma il dimagrimento localizzato non avviene solo per questo motivo, poiché bisogna anche considerare che l’accumulo distrettuale del grasso è anche regolato e indirizzato da determinate prevalenze ormonali e anche dalla presenza di certi recettori per l’adrenalina, che sono presenti nel tessuto adiposo. Faccio un esempio: nella donna c’è una maggiore presenza di ormoni estrogeni, che sono gli ormoni caretteristici femminili. Gli estrogeni inducono, soprattutto nella parte inferiore del corpo come glutei e cosce, una maggiore presenza di recettori di tipo alfa 2 per l’adrenalina, invece dei recettori beta. I recettori beta, una volta stimolati promuovono la lipolisi, cioè il dimagrimento; i recettori alfa 2, sono quelli che la bloccano».

Facciamo solo un piccolo passo indietro. Che cos’è la lipolisi?

«Lisi significa bruciare, mentre lipo grasso. Quindi bruciare i grassi. È un processo che avviene a livello della cellula adiposa, dove è presente al suo interno il grasso. L’adrenalina stimola i recettori su queste cellule e promuove la lipolisi; questo grasso all’interno della cellula viene quindi sciolto e liberato sotto forma di acidi grassi. In seguito questi acidi grassi andranno in circolo nel sangue per poi essere utilizzati a scopo energetico».

Quali sono le tecniche alimentari e allenanti per ottenere un dimagrimento localizzato?

«Le tecniche allenanti sono fondamentalmente basate sull’utilizzo di circuiti allenanti che possono essere eseguiti anche a casa o all’aria aperta e non solo in palestra. Per fare un esempio, se parliamo di dimagrimento localizzato agli addominali, un circuit training prevederà esercizi che coinvolgano gli addominali e questi esercizi possono essere svolti dappertutto, come a casa, in un prato oppure in palestra. Se parliamo invece di gambe, si possono fare per esempio gli affondi, la corsa, i piegamenti sulle gambe.
Però, nel caso del dimagrimento localizzato si lavora secondo una logica che favorisce la circolazione ed evita un’eccessiva produzione di acido lattico, cosa che avverrebbe se si insiste in maniera eccessiva sempre sulla stessa zona corporea. Per questo motivo lo spinning non va bene per dimagrire nelle gambe: si sta infatti parlando di un lavoro alle gambe che dura un’ora, che probabilmente va anche oltre alla zona aerobica e produce acido lattico. Inoltre, questo lavoro è fatto in una posizione sfavorevole dal punto di vista gravitazionale, con il sangue che sta nella parte inferiore del corpo e fa fatica a tornare su e addirittura il busto piegato in avanti, con un angolo tra busto e coscia che tende a comprimere la vena iliaca; quando aumenta l’angolo in una vena, si verifica una riduzione del flusso circolatorio e quindi ritorniamo al problema di cui ho parlato prima, ossia la facilitazione dell’accumulo di grasso a causa della scarsa circolazione.

«Invece, è bene fare dei circuit training dove viene allenata l’area target – per esempio un esercizio per gli addominali o un esercizio per i glutei in base alla propria area target – ma alternati con degli esercizi su aree muscolari distanti, in modo che il sangue sia costretto a circolare. Quindi un esercizio per gli addominali e uno per i bicipiti, a cui può seguire per esempio un esercizio per la parte inferiore come può essere la cyclette e poi di nuovo addominali e tricipiti, e poi magari addominali e un esercizio per le spalle. In questo modo, il muscolo sottostante l’area in cui si vuole dimagrire è quello allenato più frequentemente in termini di ripetizioni e numero di esercizi, ma si alternano esercizi che riguardano aree muscolari distanti per far circolare il sangue. Questo perché l’eventuale acido lattico prodotto nell’area target viene spostato attraverso la circolazione, evitando quindi fenomeni di intossicazione, di acidosi, che favoriscono un ristagno venoso e di conseguenza un possibile rallentamento circolatorio e alla fine accumulo di grasso.

«Ci tengo a ricordare che se si ricerca il dimagrimento localizzato, dal momento che il problema principale è di natura circolatoria, non si deve ricercare la produzione di acido lattico. Questo anche per il fatto che il grasso si può bruciare solo con il metabolismo aerobico. I metabolismi energetici del corpo umano sono tre. Il primo è quello anaerobico alattacido, che utilizza il creatinfosfato e l’atp già presenti nei muscoli: è tipico degli impegni di forza ed esplosivi, come il sollevamento pesi e i 100 metri, dove lo sforzo non dura più di dieci secondi. Il secondo è il metabolismo anaerobico lattacido che utilizza il glucosio a scopo energetico (prima diventa piruvato e poi si trasforma in acido lattico); è tipico per esempio del bodybuilding, cioè sforzi di 30-60 secondi e produce molto acido lattico. E infine il meccanismo aerobico, che è un sistema energetico che può usare il glucosio o gli acidi grassi. Gli acidi grassi vengono usati quando l’intensità è più bassa, per cui se si vuole bruciare grasso bisogna fare esercizi di tipo aerobico a un’intensità più bassa. Per questo la circolazione è importante; tramite essa si porta più ossigeno in periferia e il metabolismo aerobico, come dice il nome stesso, può funzionare solo in presenza di ossigeno. Quindi se c’è un problema circolatorio e non arriva abbastanza ossigeno, non funziona bene neanche il metabolismo aerobico e non si bruciano i grassi.

«Viceversa, per quanto riguarda il dimagrimento sistemico il discorso è diverso perché la produzione di acido lattico, tipica per esempio del bodybuilding, stimola il gh (l’ormone della crescita) che ha un notevole effetto lipolitico. Anche l’allenamento di bodybuilding ad alta intensità aiuta a bruciare i grassi, ma li brucia in maniera generica. Se invece si punta a un dimagrimento localizzato si deve agire di più sul fattore circolatorio».

Tornando a prima, quando parlavamo di circuit training, immagino che l’esercizio della zona target debba durare più di 45 secondi

«Possibilmente sì. Si parla di serie di esercizi composte da 25-30 ripetizioni per superare i 45 secondi di esecuzione. Considerando che una ripetizione tendenzialmente richiede due secondi – una per salire (fase positiva) e una per scendere (fase negativa) – con 30 ripetizioni si entra nella fase aerobica».

In questo caso, parlando sempre di addominali come zona target, finito l’esercizio per questa zona si esegue subito un altro esercizio per gruppo muscolare?

«Sì senza pausa, per promuovere la circolazione. Poi, finiti per esempio i tricipiti si ripassa subito agli addominali, di nuovo senza pausa».

Secondo lei 30 minuti di cyclette possono essere un buon allenamento per il dimagrimento localizzato alle gambe?

«Direi che non è la soluzione ottimale per quanto ci siamo detti prima. A ogni modo, se si fa un po’ di cyclette a bassa intensità, si promuove comunque la circolazione nelle gambe e anche in presenza di un problema circolatorio in quella zona è efficace».

Conviene quindi sempre alternare le zone muscolari da allenare

«Sì, perché comunque se una persona fa cyclette per tanti minuti e aumenta l’intensità, probabilmente c’è una minima produzione di acido lattico all’interno delle gambe; se questa persona ha un problema circolatorio, ritorniamo al discorso dell’intossicazione di cui ho parlato prima. Comunque  tengo a precisare che i metabolismi energetici, che vengono differenziati in modo così schematico, non rispecchiano il reale funzionamento del corpo umano. Mi spiego meglio: il metabolismo aerobico si considera tale quando si verifica una bassa produzione di acido lattico, ma non è vero che non viene prodotto per niente; piuttosto è una produzione di acido lattico così bassa che non comporta problemi per il metabolismo aerobico. Ma in una persona che ha dei problemi circolatori, quel poco di produzione di acido lattico può dare fastidio, mentre a una persona che invece non ha problemi circolatori, una cyclette protratta nel tempo favorisce il dimagrimento localizzato. Difatti da quando tutte le mattine faccio cyclette a bassa intensità e ritmo costante rispetto ad anni orsono in cui non la facevo, ho le gambe molto più magre.

«A questo proposito, mi viene in mente il cosiddetto interval-training che viene promosso come metodologia per dimagrire; sono degli allenamenti in cui si fanno per esempio scatti, alternati a fasi di riposo. È vero che come si dice stimola di più il metabolismo a parità di tempo di allenamento, ma per il dimagrimento localizzato non va bene a causa della produzione di acido lattico e la contrazione muscolare è troppo intensa, e quindi blocca un po’ la circolazione».

 

Quali possono le tecniche alimentari in grado di coadiuvare il dimagrimento localizzato?

«Ovviamente le tecniche alimentari possono aiutare ad aumentare il risultato. Per esempio, in funzione dell’allenamento, abbiamo detto che con l’attività aerobica si possono usare i grassi o gli zuccheri a scopo energetico. La scelta dell’organismo nell’usare i grassi o gli zuccheri è dovuta a vari fattori. Il primo è dovuto all’intensità dell’esercizio: più è intenso, più l’organismo tende a usare i carboidrati a scopo energetico. È per questo motivo che l’attività aerobica, se finalizzata al dimagrimento, non deve essere particolarmente intensa; deve corrispondere al 50-60 per cento della frequenza cardiaca massimale». [la frequenza cardiaca massimale può essere calcolata sottraendo la propria età al numero 220, ndr]

Una camminata può essere utile?

«Una camminata tipo ‘turistico’ d’altro canto può non essere sufficientemente intensa: per promuovere il dimagrimento deve essere effettuata a passo veloce, portare ad una leggera sensazione di affanno che renda difficile poter parlare agevolmente con un eventuale compagno di passeggiata.

«Un altro fattore per il quale l’organismo preferisce utilizzare più grassi rispetto ai carboidrati durante lo sforzo aerobico è la capacità di allenamento; migliore è l’allenamento e maggiore sarà l’utilizzazione dei grassi a scopo energetico. Un altro fattore è la disponibilità del substrato; se prima di fare attività fisica si mangiano carboidrati come dolci, pasta, pane, frutta eccetera, la glicemia sarà più alta e l’organismo tenderà a usare gli zuccheri a scopo energetico. Questo è anche dovuto al fatto che in presenza di glicemia più alta, l’organismo rilascia insulina che blocca la lipolisi. Se invece si fa attività aerobica a digiuno, per esempio al mattino a stomaco vuoto oppure in un altro momento della giornata a distanza di tre ore da un pasto o avendo consumato prima solo proteine e grassi – che non alzano la glicemia – in questa situazione l’organismo utilizzerà soprattutto i grassi a scopo energetico».

Quindi la parola chiave è il controllo della glicemia.

«Sì. Poi esiste il discorso della modulazione ormonale. Prima ho detto che gli ormoni indirizzano l’accumulo del grasso e quindi modulandoli – grazie all’allenamento e anche a un certo tipo di alimentazione, il concetto della mia Cronormorfodieta – si riesce a ottimizzare il dimagrimento localizzato. Per esempio, ho accennato prima che gli accumuli di grasso si possono distinguere in due biotipi principali, riconosciuti anche dalla medicina tradizionale: l’obesità androide e ginoide. Nella seconda, il grasso si accumula nella parte inferiore del corpo ed è più tipica nelle donne. Invece quella androide, più tipica nell’uomo, vede l’accumularsi di grasso a livello addominale, come pancia e grasso viscerale. Il grasso nella parte inferiore del corpo è legato a una prevalenza di estrogeni e tendenzialmente anche a un deficit di ormone tiroideo; in questo caso si verifica un aumento del livello di estrogeni, gli ormoni sessuali femminili. L’estrogeno tende infatti ad aumentare una proteina legante gli ormoni tiroidei, diminuendo quindi il loro effetto anche a livello di accumulo di grasso nella parte inferiore del corpo. Invece l’individuo androide, più tipico nei maschi, tende ad avere maggiori livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, che fa accumulare il grasso a livello viscerale.

«Utilizzando dei concetti di alimentazione secondo cui determinati macronutrienti – carboidrati e proteine – possono modulare la produzione di certi ormoni (che a loro volta sono secreti in maniera circadiana, ossia con un particolare ritmo della durata di un giorno), possiamo regolarne la produzione attraverso l’alimentazione. Per esempio, nel caso dell’ormone tiroideo l’individuo ginoide è tendenzialmente carente e questo causa dell’eccesso di estrogeni. Questo ormone è stimolato soprattutto al mattino e dall’assunzione di carboidrati; si può considerare la ‘valvola del metabolismo’, l’ormone più importante che regola il metabolismo e sappiamo che quando si soffre di ipotiroidismo si ingrassa. Questo ormone è una valvola abbastanza sensibile all’alimentazione e in tempi rapidi; se infatti al mattino una persona non mangia, l’ormone tiroideo si abbassa subito per consumare meno calorie e preservare l’organismo: un meccanismo di conservazione. Quindi, per stimolare l’ormone tiroideo è molto importante fare una buona colazione, con la presenza di carboidrati poiché lo stimolano. È questa la ragione per la quale chi fa diete prive di carboidrati e iperproteiche, sperimenta un rapido dimagrimento ma dopo un po’ non più; anzi, una volta dismesse, nella maggior parte dei casi le persone ingrassano più di prima poiché hanno abbassato la produzione dell’ormone tiroideo, che abbassa quindi il metabolismo. Per cui dopo, quando riprendono a mangiare come prima, ingrassano, quando invece prima con lo stesso quantitativo calorico riuscivano a mantenere il peso. Per cui gli individui ginoidi, che presentano questo problema di tiroide, bruciano poco i grassi poiché tendono ad avere un metabolismo lento; io li chiamo ipolipolitici. Per queste persone è meglio fare una colazione più ricca in carboidrati e alla sera una cena quasi proteica. Questo perché le proteine stimolano la secrezione dell’ormone della crescita e, come ho detto prima, questo ormone brucia i grassi».

In questo caso, i ginoidi quali genere di carboidrati dovrebbero scegliere?

«La scelta dei carboidrati è sempre preferibile che sia fatta sui carboidrati complessi, oppure se vogliamo meglio definirli a basso indice glicemico. Per cui sì a cereali integrali e no a zuccheri semplici come i dolci o il pane bianco».

E la frutta?

«Sì ma con moderazione, scegliendo quella meno zuccherina come la mela. Per i soggetti ginoidi sono ottimi i frutti di bosco poiché sono ricchi di flavonoidi e polifenoli che favoriscono la circolazione sanguigna. Sappiamo come i mirtilli aiutino in questo senso».

Per quanto riguarda la banana, il melone e l’uva è meglio starci attenti?

«Per la banana e l’uva vale appunto il concetto di non esagerare, avendo essi un indice glicemico alto. Il melone, sebbene abbia un alto indice glicemico, ha un cosiddetto carico glicemico basso. Quindi è anche importante la quantità di carboidrati, non solo l’indice glicemico. Per esempio, in una fetta di cocomero ci sono 4 grammi di zuccheri, anche se è ad alto indice glicemico.

«Tornando a prima, per quanto riguarda la costituzione androide, che io chiamo iperlipogentico (ossia che costruisce molto i grassi), il discorso è differente: se sta a dieta dimagrisce, non ha problemi di tiroide, ma fa fatica a stare a dieta ed è il classico mangiatore. È un individuo caratterizzato da un asse ormonale sbilanciato verso le surrenali, produce quindi molta adrenalina e cortisolo, che sono ormoni che alzano la glicemia (difatti è più predisposto al diabete). Quando si alza la glicemia, si stimola la produzione di insulina che fa accumulare il grasso soprattutto a livello viscerale. Il cortisolo è un ormone che ha un ritmo circadiano, che è tendenzialmente più alto al mattino; questo è normale, perché l’uomo cacciatore quando si svegliava nella grotta, non aveva il frigo e doveva andare alla ricerca del cibo e quindi aveva bisogno di energia. Questa energia la forniva il cortisolo, prodotto maggiormente all’alba; ha un effetto iperglicemizzante ma lo fa  trasformando i muscoli in zucchero, per cui è catabolico. Poi, quando l’uomo primitivo ritornava alla sera e mangiava, ricostruiva il muscolo che si era ‘autocannibalizzato’. Diciamo quindi che il ‘cacciatore’ – ed erano gli uomini prevalentemente – tende ad avere il cortisolo più alto. Difatti, la ragione per la quale l’uomo è più predisposto ad avere le malattie cardiovascolari rispetto alla donna è la maggiore produzione di cortisolo (comunque dopo la menopausa la donna ha la stessa insorgenza di malattie cardiovascolari poiché non produce più gli estrogeni che modulano la produzione di cortisolo e a quel punto aumentano in proporzione gli ormoni androgeni e anche il cortisolo). I soggetti androidi, che magari sono già soggetti iperattivi di natura e si ‘nutrono’ di stress, come i manager, sono quelli che non fanno colazione e prendono solo un caffè zuccherato, (il caffè tra l’altro stimola il cortisolo). Saltano la colazione perché non ne sentono l’esigenza, in quanto hanno già la glicemia alta e quindi predisposti al diabete. Se queste persone assumono molti carboidrati a colazione, come per esempio i corn-flakes con succo d’arancia o le fette biscottate con marmellata, assumono una bomba di zuccheri e la glicemia va alle stelle, con stimolazione dell’insulina e ingrassano. Se poi alla sera assumono solo proteine con l’intento di dimagrire, dal momento che esse stimolano l’adrenalina e anche un po’ il cortisolo, questa persona che è già stressata, agitata e nervosa, di conseguenza produce ancora più cortisolo e si innesca un circolo vizioso. Succede magari che poi di notte non riesce a dormire e si alza di notte per mangiarsi, per esempio, un vasetto di nutella con i biscotti.
Se invece un soggetto androide mangia a colazione e a pranzo un minor quantitativo di carboidrati e a basso indice glicemico, come per esempio l’avena e le verdure in aggiunta a proteine e grassi giusti come olio d’oliva e frutta secca, e assume fino al 70 per cento di tutti i carboidrati a fine della giornata a cena, questi carboidrati stimolano l’ormone della serotonina, che ha un effetto rilassante, abbassa il livello di cortisolo e stimola la produzione di melatonina. In questo caso dorme meglio, migliora l’insulino-resistenza grazie alla diminuzione di cortisolo e all’aumento di serotonina. Di conseguenza diminuisce la produzione di insulina e quindi dimagrisce di più, oltre a seguire con maggiore facilità questo regime alimentare che ha una migliore ‘compliance’».

 

Tutto questo succede contrariamente alla convinzione comune secondo cui i carboidrati vadano assunti nella prima parte della giornata, mentre le proteine alla sera.

«Questo forse valeva quando l’uomo era prevalentemente dedito a lavori pesanti in agricoltura, lavori pesanti nelle fabbriche e quindi i carboidrati servivano per lavorare 10-12 ore al giorno; ora la maggior parte dei lavori sono sedentari e stressanti. Questa idea è ancora buona per i soggetti ginoidi, ma per quelli androidi è il contrario. Io lo dico da tanto tempo (dal 1997), ma non lo dico soltanto io. Nel 2012 è uscito uno studio condotto su dei poliziotti israeliani obesi, divisi in due gruppi in cui entrambi seguivano una dieta ipocalorica da 1300 calorie. Un gruppo assumeva carboidrati, ripartiti equamente tra colazione, pranzo e cena. Nell’altro gruppo, a cena sono stati dati il 70 per cento di tutti i carboidrati della giornata. Questo gruppo ha perso più peso e grasso viscerale, diminuendo la circonferenza addominale, l’insulina, i valori dei marker infiammatori, e ha migliorato i parametri del colesterolo totale, quello buono e i trigliceridi. C’è stato insomma un significativo miglioramento di tutti i parametri legati all’obesità».

L’obeso rientra spesso nell’iperlipogenetico?

«Sì soprattutto l’uomo, ma spesso anche la donna dopo la menopausa poiché in quel periodo diminuiscono gli estrogeni e aumentano in proporzione gli androgeni e quindi il cortisolo. Il concetto della cronodieta non è nuovo. Esiste uno studio, in cui un gruppo veniva alimentato con 2000 calorie tutte al mattino e l’altro gruppo con le stesse calorie, ma tutte alla sera. Quelli che avevano assunto 2000 calorie al mattino erano dimagriti, quelli che le avevano prese la sera erano ingrassati. Stiamo comunque parlando di individui che non avevano problemi, erano normopeso. Per quanto riguarda invece gli obesi, che molto probabilmente appartengono alla categoria dell’ipercorticosurrenalico ossia l’iperlipogenetico, esiste anche uno studio piuttosto vecchio che nessuno era stato in grado di spiegare. A due gruppi di individui obesi maschi allettati erano state date 600 calorie (erano a letto e l’alimentazione era addirittura parenterale, tramite sondino naso-gastrico); il primo gruppo assumeva tre pasti al giorno, nell’altro le calorie venivano assunte tutte la sera. Il senso comune suggerisce che fosse dimagrito di più il primo gruppo, ma non è stato così; è probabile che la ragione fosse dovuta al meccanismo di cui ho parlato prima.

«Oggi noto che il problema maggiore è lo stress, a causa dei ritmi lavorativi, della tecnologia, delle richieste, delle aspettative e della crisi attuale e costituisce la base della maggior parte delle patologie. La maggior parte delle persone ha il cortisolo alle stelle e quando c’è questo problema, la dieta in cui si assumono maggiori carboidrati alla sera funziona meglio. Ho parlato di queste cose al Congresso mondiale di Medicina anti-aging a dicembre 2015, argomenti che adesso stanno prendendo in considerazione anche in America, dopo questo studio sui poliziotti e dopo l’uscita del mio libro in inglese The COM diet & spot reduction – CHRONOHORMORPHO DIET. Quindi anche in America sta prendendo piede questo concetto.

«Ma questo vale anche per gli atleti. Spesso hanno infatti la maggior resa fisiologica alla sera, quindi gli allenamenti più pesanti sono in quel momento della giornata, poiché l’organismo ha un temperatura corporea superiore e una situazione ormonale migliore. Per cui il pasto più importante, essendo quello post-allenamento, diventa la cena».

Nel suo libro La dieta Com e il dimagrimento localizzato ha parlato anche di altre due costituzioni: l’ipomisto e l’ipermisto

«I misti sono quelli che accumulano grasso in maniera omogenea. L’ipermisto non ha problematiche legate agli ormoni sessuali, quindi a testosterone ed estrogeni. È l’individuo che tendenzialmente è in forma, non ha problemi di grasso, ha un buon metabolismo, mangia cibo spazzatura e non ingrassa più di tanto. Ma nel tempo, a causa dell’abuso del suo metabolismo, arriva a danneggiare il metabolismo della tiroide, che funziona meno bene ed è sovraffaticata da un eccesso di carboidrati: il soggetto tende quindi a ingrassare. In questo caso conviene far riposare la tiroide con una dieta che non presenti troppi carboidrati, ma un equilibrio tra grassi e proteine in tutti i pasti. Questo consente di mantenere una glicemia costante, uno stimolo tiroideo costante; in questo modo l’individuo riesce a recuperare la sua funzionalità tiroidea e quindi a dimagrire.

«L’ipomisto è raro, circa un 5 per cento dei soggetti, ed è una persona che presenta un’ipofunzionalità dell’ipofisi, una ghiandola che produce ormoni quali il TSH (l’ormone ipofisario che stimola la tiroide), l’LH (l’ormone che stimola le gonadi a produrre nell’uomo il testosterone e nella donna gli estrogeni) e l’ormone della crescita. Questi individui presentano una scarsa produzione di tutti gli ormoni, perciò tendono ad avere uno scarso sviluppo, un fisico da bambino. Il suo accumulo di grasso presenta una consistenza flaccida generalizzata e anche lui tende da giovane a non ingrassare più di tanto. Poi però, a causa di questi suoi bassi livelli ormonali, nel tempo può ingrassare e l’approccio è quello di una dieta dove in questo caso vengono ridotti i carboidrati un po’ in tutti i pasti, soprattutto alla sera per stimolare l’ormone della crescita. L’ipomisto è l’individuo che segue un’alimentazione un po’ più restrittiva a livello di carboidrati. La colazione e la cena sono più proteiche, mentre il pranzo sarà equilibrato come l’ipermisto».

Per le donne con la cellulite, cosa può fare il dimagrimento localizzato?

«Bisogna vedere in che stadio si trova la cellulite. Se è a un primo stadio dove fondamentalmente c’è poco più di un edema, tutti gli approcci di allenamento visti prima e anche di dieta senz’altro possono aiutare. Se la cellulite è a uno stadio più avanzato e quindi c’è già una liposcelerosi con una degenerazione del tessuto adiposo che è sclerotizzato, con tessuto connettivo alterato, la risposta all’attività fisica e alla dieta è scarsa. Quindi bisognerebbe prevenire la cellulite tramite il corretto esercizio fisico, l’alimentazione, la modulazione ormonale, evitando quindi degli eccessi di estrogeni che a volte vengono indotti anche farmacologicamente dall’uso della pillola anticoncezionale e dal consumo di alimenti ricchi di estrogeni sintetici; in questo caso occorrerebbe mangiare alimenti biologici per evitare l’assunzione di questi estrogeni presenti nell’ambiente. La cellulite, quando è arrivata a un certo stadio deve essere aggredita con presidi di tipo medico, come la mesoterapia, l’elettrolipolisi, la cavitazione e la liposuzione».

Esistono infine particolari rischi per la salute nel dimagrimento localizzato?

«Assolutamente no. Il dimagrimento localizzato, nella misura in cui è ottenuto tramite un riequilibrio ormonale, un approccio dietologico moderatamente ipocalorico e tramite un’attività fisica strutturata e ben organizzata, non può che produrre benefici, senza effetti collaterali».

Intervista rivista per brevità e chiarezza.

 
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