Una piccola azienda centenaria che si occupa di riparazione pneumatici, con sede in una piccola città a nord di Amburgo, in Germania, si trova oggi a affrontare nuovi concorrenti: i pneumatici cinesi venduti a prezzi stracciati.
Le importazioni sono aumentate da quando il presidente statunitense Donald Trump ha imposto dazi sulla Cina, e l’azienda, che dal 1990 è l’unità tedesca del gruppo italiano Marangoni, afferma che l’Unione Europea deve intervenire per garantire una concorrenza leale. «Quando i pneumatici nuovi per autocarro provenienti dall’Asia arrivano a circa il 40% del prezzo di un pneumatico premium nuovo – e talvolta costano persino meno di uno ricostruito – è difficile» ha dichiarato l’amministratore delegato Clemens Zimmermann a Reuters. «A parità di condizioni, io non ho problemi a competere. Ma se una parte ha una grossa spada e l’altra un ridicolo temperino, non è una lotta leale» ha aggiunto Zimmermann, sottolineando la chiusura di stabilimenti di pneumatici in tutta la Germania quest’anno.
L’Ad della Marangoni Germania, insieme a altre figure di spicco dell’industria e dei Governi, guidati da Francia e Italia, chiede che l’Unione Europea utilizzi i propri ampi poteri per difendere le imprese e i posti di lavoro europei, ricorrendo a metodi più rapidi e pragmatici per affrontare le scorrettezze commerciali del regime comunista cinese.
A causa dell’arretrato accumulato nei vari dossier, che ha rallentato indagini Ue già di per sé lunghe, Bruxelles deve ancora capire come fare per arginare l’aumento delle importazioni cinesi. Le imprese europee ritengono che l’incremento indichi che le aziende cinesi stanno compensando i mercati statunitensi perduti vendendo a prezzi stracciati altrove, anche perché la domanda interna cinese è a dir poco debole. Quest’anno la Commissione Europea, ha aperto quindici indagini e imposto dazi definitivi su diciotto prodotti, in gran parte cinesi, dalla banda stagnata ai pavimenti in legno. Colpire settori di esportazione cinesi più grandi comporterebbe il rischio di ritorsioni da parte di Pechino, un’eventualità che L’Ue teme. La Germania, in particolare, ha esortato alla cautela poiché la sua economia (già indebolita per diversi altri fattori) dipende pesantemente dai suoi rapporti col Partito comunista cinese, anche a scapito delle industrie tedesche che non riescono più a competere.
La Commissione Europea ha riferito che una task force di sorveglianza sulle importazioni, lanciata in aprile, ha riscontrato un pericoloso aumento delle importazioni dalla Cina in dieci categorie, tra cui tessili, legname, prodotti chimici, metalli, macchinari e attrezzature di trasporto.
Le importazioni di auto ibride plug-in sono raddoppiate nella prima metà del 2025, con poco più della metà proveniente dalla Cina. Per i prodotti speciali a basso volume, dal legname laminato ai componenti per reattori nucleari, gli aumenti sono stati fino a dieci volte superiori.
Nel frattempo, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono diminuite del 27% su base annua a settembre, secondo i dati doganali cinesi. Le spedizioni verso l’Ue, invece, sono cresciute di poco più del 14%.
La moda fast fashion e gli articoli per la casa a basso costo fabbricati in Cina sono entrati in Europa a un ritmo più veloce, ordinati online tramite piattaforme come AliExpress di Alibaba, e Temu e Shein di PDD, con ingenti investimenti in Europa per aumentare le vendite da quando i dazi statunitensi sono entrati in vigore. Queste piattaforme online inviano prodotti dalle fabbriche in Cina direttamente alle case degli acquirenti, sfruttando l’esenzione da dazi dell’Ue per i pacchi di e-commerce di valore inferiore a centocinquanta euro.
Le esportazioni verso l’Ue hanno subito un’impennata da quando gli Stati Uniti, a maggio, hanno eliminato la loro politica del de minimis sui pacchi dalla Cina inferiori a ottocento dollari. Entro la fine di settembre, le esportazioni cinesi verso l’Ue di merci di basso valore ordinate online avevano già superato il totale del 2024, come mostrato dai dati doganali cinesi rilasciati lunedì.
Presso l’Aeroporto di Liegi in Belgio, un hub logistico per Alibaba, i volumi totali di cargo aereo sono aumentati del 23% nel periodo luglio-settembre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. «Uno dei principali motori è l’aumento dei flussi di e-commerce dalla Cina all’Europa» ha dichiarato Torsten Wefers, vicepresidente delle vendite e del marketing dell’aeroporto.
Il numero di utenti Ue delle app di Shein, Temu e AliExpress è aumentato quest’anno, secondo i documenti richiesti dalla normativa Ue, mentre Amazon Haul, l’imitazione di Temu lanciata da Amazon, ha iniziato questo mese a offrire i suoi prodotti a prezzi ultra-bassi in Francia, Italia e Spagna, dopo il lancio in Germania a giugno.
In occasione di un evento di lancio della Settimana della Moda di Milano a settembre, Carlo Capasa, Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, ha lanciato l’allarme: «Le esportazioni stanno diminuendo, le importazioni stanno aumentando, e qui dobbiamo prestare attenzione perché questa ondata di importazioni arriva dalla Cina e dai Paesi dell’Estremo Oriente» ha detto Capasa. «Stiamo assistendo a una vera e propria invasione di prodotti ultra fast fashion nei nostri mercati».
Le associazioni industriali, tra cui Eurocommerce, che rappresenta i rivenditori, e Euratex, che rappresenta i produttori tessili e di abbigliamento, hanno espresso preoccupazione per l’aumento delle importazioni a basso prezzo.
Il rivenditore di abbigliamento online tedesco Zalando ha assunto la posizione più “ovvia”: fare come fanno gli Stati Uniti. Zalando è infatti tra quelli che insistono affinché la Commissione Europea acceleri la rimozione della soglia de minimis di centocinquanta euro, attualmente prevista per marzo 2028, nell’ambito del lungo e polveroso piano di riforma doganale in corso.
Tra le richieste di intervento dei governi nazionali, un funzionario governativo italiano ha riferito a Reuters che Roma sta sostenendo l’introduzione di misure di salvaguardia per imporre limiti temporanei su alcune importazioni dalla Cina. La Francia ha spinto per l’applicazione di dazi e quote sui prodotti chimici e sulle automobili.
Ma qui, a potere e dovere agire a tutela dei consumatori e delle industrie del Vecchio Continente, è Bruxelles. La Commissione Europea deve ancora stabilire se esistano prove chiare di vendite a prezzi viziati da pratiche anticoncorrenziali, ad esempio a causa di sussidi statali. E a Bruxelles c’è chi “teme” il rischio di contromisure da parte della Cina e insiste sul fatto che la “soglia di prova” debba essere elevata. Una linea di pensiero singolare, considerando che la Repubblica Popolare Cinese è ormai il più conclamato caso di economia fondata sul dumping della storia del commercio internazionale. Cosa che anche l’Ue ormai ha riconosciuto (almeno implicitamente) penalizzando le importazioni di veicoli elettrici.
Altri osservano che la debolezza dello yuan rispetto all’euro – a 8,3 contro 7,5 all’inizio dell’anno – rende automaticamente più economiche le importazioni cinesi. Simon Evenett, professore di geopolitica e strategia presso l’Imd Business School, ha detto a Reuters che, a parte il caso dell’acciaio cinese, non esiste una «pistola fumante» di una sistematica deviazione delle esportazioni cinesi verso l’Europa a causa delle misure statunitensi, e che il cambiamento è stato più pronunciato verso i Paesi Asean e l’Africa.
La Commissione, in risposta a Reuters, ha dichiarato di essere alla ricerca di ulteriori dati da aziende, associazioni e Paesi per identificare i prodotti a rischio di picco di importazione in modo da poter adottare «azioni tempestive ed efficaci» per proteggere il mercato Ue.
Laurent Ruessmann, partner di RB Legal, ha detto a Reuters che in precedenza la Commissione avviava un’indagine in genere da sei a nove mesi dopo essere stata interpellata da un settore. Ora può volerci il doppio del tempo: «L’eccesso di capacità cinese sta crescendo e prodotto dopo prodotto si sta avvicinando. I fascicoli arrivano più velocemente, ma l’arretrato è in aumento».
Denis Redonnet, capo dell’applicazione delle norme commerciali dell’esecutivo Ue, ha dichiarato a Reuters al Parlamento Europeo il mese scorso che le misure commerciali dell’Ue sono “imperfette”, e che sono spesso imposte molto tempo dopo la manifestazione delle distorsioni del mercato e non affrontano la fonte del problema: l’eccesso di produzione cinese.
I sistemi di quote di importazione, piuttosto che i dazi anti-dumping o anti-sussidi, possono essere implementati più rapidamente. L’Ue ha annunciato piani per tagliare le quote di importazione e raddoppiare al 50% i dazi fuori-quota per l’acciaio e potrebbe imporre misure di salvaguardia per gli elementi leganti entro la fine dell’anno.
Dopo oltre vent’anni di far finta che “andrà tutto bene”, insomma, i nodi stanno venendo al pettine. Ormai è evidente come a pagare il prezzo dell’elevato tasso di burocratizzazione e del dirigismo che caratterizzano le istituzioni Ue siano i cittadini e le imprese dei singoli Stati. Mentre a Bruxelles un elefantiaco apparato burocratico non riesce a gestire con la dovuta rapidità qualche decina di dossier, negli Stati Uniti il governo prende decisioni immediatamente efficaci contro le scorrettezze commerciali sistematiche del regime comunista cinese. Scorrettezze che, tecnicamente, non è necessario dimostrare e che sono in ogni caso note ormai da anni.
L’inefficienza è tale che alcuni Stati Ue (che a loro volta non sono dei modelli di snellezza) stanno agendo unilateralmente: secondo fonti governative sentite da Reuters, l’Italia prevede di utilizzare un sistema Ue che impone ai produttori di coprire i costi di raccolta, smistamento e riciclo dei loro prodotti come una sorta di prelievo de facto sui prodotti fast fashion cinesi. Francia e Germania, hanno discusso possibili requisiti di contenuto locale e di trasferimento di tecnologia per alcuni investimenti cinesi.




