La crisi dell’immobiliare in Cina sta distruggendo i risparmi delle famiglie

di redazione eti/Olivia Li
5 Agosto 2025 16:02 Aggiornato: 5 Agosto 2025 20:41

Il mercato immobiliare della Repubblica Popolare Cinese continua a mostrare segnali di grave debolezza, con vendite, investimenti e margini di profitto in costante calo. Nonostante i toni rassicuranti adottati dai mezzi d’informazione del regime, che continuano a parlare di «ripresa», i dati più recenti raccontano una realtà molto diversa: quella di un settore in forte affanno, con vendite in netto calo, investimenti in contrazione e bilanci aziendali in profondo rosso.
Secondo i dati pubblicati il 31 luglio dalla China Index Academy, nei primi sette mesi del 2025, i cento maggiori immobiliaristi del Paese hanno registrato vendite per 2,07 mila miliardi di yuan (pari a circa 285 miliardi di dollari), con una flessione del 13,3 per cento su base annua. Un arretramento che si è aggravato nel corso dell’anno, come dimostra il dato di luglio: –18,2 per cento rispetto allo stesso mese del 2024.  Anche le previsioni sulle performance finanziarie delle società quotate confermano un quadro critico: secondo una ricerca dell’E-house China R&D Institute, oltre il 60 per cento degli operatori prevede perdite per il primo semestre dell’anno.

Tra i casi più rilevanti figura Vanke, considerata a lungo un punto di riferimento del comparto, che stima perdite comprese tra 10 e 12 miliardi di yuan (1,39–1,67 miliardi di dollari), ben oltre quelle registrate nello stesso periodo dell’anno precedente. Secondo quanto riportato dagli organi di propaganda del regime, si tratterebbe della peggiore performance tra i grandi operatori del settore. Nonostante i soldi pubblici ricevuti – oltre 21 miliardi di yuan – e i profondi cambiamenti nella governance, il gruppo ha visto crollare le vendite contrattuali del 46 per cento su base annua nel primo semestre, passando da 127,3 a 69,1 miliardi di yuan. A pesare restano condizioni di liquidità molto tese, comuni a gran parte del settore.

Parallelamente, sui social cinesi, alcuni commentatori hanno fatto notare come il divario tra i prezzi delle nuove costruzioni e quelli del mercato dell’usato indichi possibili discrepanze nei dati. Secondo queste analisi, i prezzi effettivi delle transazioni relative alle case di seconda mano sarebbero infatti sensibilmente inferiori rispetto ai valori ufficiali, e quindi in grado di dare un’indicazione più realistica sulla domanda e sulla capacità di spesa delle famiglie. Più in generale, sembra che tutti gli indicatori – utili aziendali, prezzi degli immobili (nuovi e usati), volumi di vendita e investimenti fissi – mostrino un rallentamento generalizzato, in netto contrasto con il quadro ottimistico presentato dalle comunicazioni ufficiali.

In questo scenario, la dinamica dei prezzi rimane centrale anche per comprendere le conseguenze economiche e sociali del rallentamento in corso. Secondo l’economista Xiang Songzuo, la fase espansiva del mercato immobiliare cinese (cioè la bolla speculativa) era spinta da alta domanda abitativa e alti investimenti di tipo speculativo. Con il tracollo dei prezzi, molti immobili acquistati a scopo d’investimento hanno perso valore, riducendo drasticamente il proprio valore speculativo. E la domanda da parte degli acquirenti finali, da sola, non sembra in grado di sostenere il mercato, anche perché non è più alta come in passato; anzi: è in calo, sia per il fatto che il potere di acquisto della “classe media” cinese è in caduta libera, che a causa delle fosche aspettative per il futuro e, più in generale, del crollo della fiducia dei consumatori nel modello economico comunista cinese. Per cui il crollo dei prezzi degli immobili, secondo gli analisti, è inevitabile.
In una recente intervista rilasciata a una Testata cinese, Zhang Xiaojing, direttore dell’Istituto di Finanza dell’Accademia cinese delle scienze sociali, sottolinea  come siano soprattutto le famiglie del ceto medio e popolare a pagare il prezzo più alto della crisi (una dinamica che si vede invariabilmente ripetersi in tutto il pianeta, quando a imperare sono politiche economiche di matrice socialista). Per le famiglie della classe media, infatti, l’abitazione rappresenta tra il 60 e il 70 per cento del patrimonio complessivo, al contrario delle famiglie ricche, ovviamente meno esposte agli alti e bassi dell’economia. Insomma: in Cina, come in America, come in Italia, per chi possiede un’abitazione come principale forma di “risparmio”, il calo dei prezzi dell’immobiliare è un danno enorme, che si traduce in una immediata, e spesso irreparabile, perdita di ricchezza.


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