Il trapianto di capelli è spesso visto come la soluzione definitiva per contrastare la perdita di capelli, con l’aspettativa di risultati rapidi e permanenti. Ma questo intervento è più complesso di quanto molti immaginino: non genera nuovi capelli, ma trasferisce follicoli sani da zone folte del cuoio capelluto, come la nuca, ad aree diradate o calve, con una riserva limitata di unità disponibili.
La tecnica nasce in Giappone negli anni Trenta. Nel 1939, il dermatologo Shoji Okuda mette a punto un metodo per trattare pazienti con ustioni o lesioni al cuoio capelluto, prelevando manualmente piccoli lembi di cute con follicoli piliferi e trapiantandoli in zone calve. Scopre che innesti più piccoli, contenenti un solo follicolo, garantiscono un risultato esteticamente più naturale. Ma lo scoppio della Seconda guerra mondiale ne limita la diffusione in Occidente.
Nel 1952, il dermatologo newyorkese Norman Orentreich realizza il primo trapianto moderno, estraendo sezioni di cuoio capelluto di quattro millimetri di diametro. Questi innesti, noti come “tappi di capelli”, producono ciuffi innaturali, simili a quelli delle bambole, ma diventano l’opzione principale per chi soffre di calvizie avanzata. Orentreich intuisce che i capelli della nuca e dei lati del capo, più resistenti alla caduta, sono ideali per il trapianto, segnando una svolta nella pratica occidentale. Negli anni, le tecniche si sono affinate, offrendo esiti sempre più naturali. Ma scegliere il trapianto richiede un’attenta valutazione.
Due approcci dominano il settore. La trapiantazione di unità follicolari, o tecnica a striscia, consiste nella rimozione chirurgica di una porzione di cuoio capelluto dalla nuca, sezionata in innesti da uno a quattro capelli. Una singola striscia può produrre tra mille e millecinquecento innesti, poi impiantati in minuscole incisioni nelle aree calve. La sutura lascia una cicatrice lineare, visibile con capelli molto corti. L’estrazione di unità follicolari, invece, prevede il prelievo di singoli follicoli con strumenti di precisione da un’area più ampia, generando cicatrici minuscole e sparse, quasi impercettibili anche con tagli corti. Entrambi i metodi richiedono grande perizia per ottenere un aspetto naturale. La tecnica a strisce è ideale per chi necessita di trapiantare grandi quantità di capelli, fino a 10 mila innesti in più interventi, rispetto ai 5-6 mila dell’estrazione. La scelta dipende dalle necessità: la trapiantazione si adatta a chi richiede più capelli, mentre l’estrazione è preferita da chi porta capelli corti.
Non tutti sono idonei. Chi inizia a perdere capelli a 20 anni affronta spesso un diradamento rapido, richiedendo trattamenti farmacologici per stabilizzare la caduta per almeno uno o due anni. Se la perdita persiste, i trapianti ripetuti non sono sostenibili, data la quantità limitata di follicoli. La qualità dei follicoli donatori è cruciale: una nuca priva di follicoli sani compromette i risultati. La storia familiare è determinante: una calvizie grave in parenti stretti, come padre o nonno, suggerisce un’evoluzione simile, rendendo il paziente meno adatto. I candidati ideali presentano una perdita moderata e una buona riserva di follicoli sani.
Intervenire troppo tardi, in fasi avanzate di calvizie, riduce l’efficacia del trapianto. In questi casi, né interventi chirurgici né trattamenti medici risultano utili. La gestione precoce della perdita è essenziale. Per chi soffre di patologie autoimmuni, come l’alopecia areata, il trapianto è sconsigliato se la malattia è attiva. Occorre attendere almeno due anni senza riacutizzazioni, ma il rischio di recidive permane, poiché l’intervento può stimolare il sistema immunitario.
Anche dopo un trapianto riuscito, chi soffre di alopecia androgenetica deve continuare i trattamenti farmacologici a lungo termine per proteggere i capelli non trapiantati, vulnerabili al diidrotestosterone. Senza farmaci, la caduta dei capelli nativi può creare spazi visibili. Con terapie come la finasteride, i risultati durano circa 10 anni. Un paziente operato a 30 anni potrebbe richiedere un secondo intervento a 40 anni e un terzo, probabilmente l’ultimo, verso i 45. I chirurghi più esperti evitano di utilizzare troppi innesti al primo intervento, preservando opzioni future.
La competenza di chi opera è cruciale. Nella tecnica a strisce, un medico abilitato rimuove e sutura la striscia di cuoio capelluto, mentre tecnici, non sempre medici, gestiscono l’impianto degli innesti. Nell’estrazione, i tecnici possono eseguire l’intero processo. È consigliabile affidarsi a medici specializzati. Il settore è scarsamente regolamentato, e alcuni piani di trattamento sono elaborati da personale privo di credenziali mediche. Titoli o appartenenze a organizzazioni non sempre garantiscono competenza: alcune richiedono solo iscrizione e pagamento. I tricologi, esperti in cura del cuoio capelluto, non sono medici e non possono diagnosticare né prescrivere farmaci.
Le immagini prima e dopo mostrano trasformazioni sorprendenti, ma spesso non specificano se derivano da un unico intervento o da più operazioni. Trapianti di 5 mila innesti in una sola sessione sono complessi e richiedono cliniche altamente specializzate. Interventi più contenuti, con circa 2 mila e 500 innesti, garantiscono risultati più controllabili e naturali.
Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.




