Il ruolo del cervello nella gestione del dolore cronico

di Redazione ETI/Zena le Roux
4 Settembre 2025 9:46 Aggiornato: 4 Settembre 2025 9:46

Il dolore cronico rappresenta una delle sfide più complesse della medicina contemporanea, spesso resistente a trattamenti convenzionali come farmaci, esami diagnostici o interventi chirurgici. Questi approcci, infatti, tendono a lasciare i pazienti intrappolati in un ciclo di sofferenza senza offrire soluzioni durature. Negli ultimi 20 anni, le neuroscienze hanno rivoluzionato la comprensione del dolore, rivelando che non si tratta semplicemente di una risposta a un danno fisico, ma di un fenomeno complesso orchestrato dal cervello, influenzato da fattori come il sistema nervoso, quello immunitario, lo stile di vita e le esperienze personali. Adottando un approccio integrato e centrato sulla persona, che considera l’individuo nella sua interezza, si ottengono risultati più promettenti rispetto alle terapie tradizionali, con una visione più completa e un miglioramento tangibile della qualità della vita.

La tendenza del sistema sanitario a ricercare una causa strutturale, come un danno visibile a organi o tessuti, si è spesso rivelata limitante. Questo approccio può innescare un circolo vizioso di esami diagnostici, interventi chirurgici e trattamenti inefficaci. In realtà, molte persone senza sintomi presentano anomalie strutturali: il 67% degli individui asintomatici mostra problemi all’anca, il 75% degli anziani senza dolore ha ernie discali e fino al 43% delle persone sopra i 40 anni evidenzia segni di osteoartrite. Sorprendentemente, interventi chirurgici simulati — privi di riparazioni effettive — hanno prodotto benefici simili a quelli reali, evidenziando come le aspettative del cervello influenzino profondamente la percezione del dolore. Questo dimostra che il dolore non è solo una sensazione fisica, ma una decisione del cervello, che valuta la necessità di protezione in base a esperienze passate e al contesto.

Il cervello, infatti, integra segnali interni ed esterni per modulare il dolore. Internamente, riceve input dagli organi e dall’intestino attraverso il microbiota e il nervo vago, mentre esternamente elabora informazioni da tatto, vista e olfatto, confrontandole con memorie pregresse. Il sistema immunitario contribuisce rilasciando sostanze pro-infiammatorie in risposta a minacce percepite, causando talvolta neuro infiammazione di basso grado. Questo intreccio tra sistemi nervoso, immunitario ed endocrino forma un meccanismo unificato che monitora e si adatta all’ambiente, interno ed esterno, in cui viviamo. Quando il cervello interpreta uno stimolo come una minaccia, può amplificare il dolore, anche in assenza di danni fisici evidenti.

Affrontare il dolore cronico richiede, dunque, un approccio multimodale che superi la mera somministrazione di farmaci. Gli esperti sottolineano che i farmaci, come antinfiammatori non steroidei o oppioidi, risultano efficaci solo in circa un terzo dei pazienti. Questi trattamenti, inoltre, comportano rischi significativi, tra cui dipendenza, alterazioni dell’umore, squilibri ormonali e ipersensibilità al dolore. Le sperimentazioni cliniche, spesso condotte su pazienti privi di comorbilità come depressione o diabete, tendono a sovrastimare l’efficacia dei farmaci e a sottovalutarne i rischi nella realtà clinica quotidiana.

Il dolore si manifesta in tre forme principali, ciascuna con caratteristiche e risposte terapeutiche distinte. Il dolore nocicettivo, legato a infiammazioni o lesioni — come fratture o artrite — risponde meglio ai farmaci, che bloccano i segnali chimici nel sito del problema. Il dolore neuropatico, derivante da danni ai nervi — come nella sclerosi multipla o nella neuropatia diabetica — richiede trattamenti più complessi, come la stimolazione del midollo spinale o infusioni intravenose. Più sfuggente è il dolore nociplastico, tipico di condizioni come fibromialgia o lombalgia senza cause strutturali, che risulta poco responsivo ai farmaci a causa di un sistema nervoso ipersensibile. Per questo tipo di dolore, gli approcci tradizionali si rivelano spesso inadeguati, spingendo verso soluzioni più olistiche.

Un elemento chiave per gestire il dolore cronico è l’attenzione allo stile di vita. L’alimentazione, ad esempio, gioca un ruolo cruciale: cibi ultraprocessati, zuccheri e carboidrati raffinati alimentano l’infiammazione, mentre una dieta ricca di alimenti naturali, proteine di qualità e grassi sani la contrasta, riducendo i segnali di dolore. Allo stesso modo, un sonno rigenerante è fondamentale: la sua mancanza intensifica la sofferenza, ma pratiche come routine regolari o l’esposizione alla luce naturale possono migliorarne la qualità. L’attività fisica, come yoga o esercizi di forza, si è dimostrata efficace per la lombalgia cronica, offrendo benefici comparabili alla fisioterapia. Tecniche di rilassamento, come la respirazione diaframmatica o la meditazione, contribuiscono a calmare il sistema nervoso, alleviando tensione e disagio.

Un aspetto altrettanto rilevante è la cura informata sul trauma. Esperienze traumatiche vissute prima dei 18 anni possono alterare il sistema nervoso e immunitario, rendendo il corpo più reattivo a minacce percepite. Secondo gli esperti il dolore cronico è spesso radicato in emozioni non elaborate, più che in danni fisici, e la guarigione richiede un lavoro per processare queste emozioni in sicurezza. Tecniche come il tapping, che consiste in lievi tocchi su punti specifici del corpo per ridurre lo stress, la terapia del suono o il supporto al nervo vago possono aiutare a ristabilire un senso di sicurezza, riducendo l’ipersensibilità del sistema nervoso.

L’approccio più promettente per il dolore cronico è un piano personalizzato, basato sulla medicina dello stile di vita, che integra diverse strategie. Questo può includere una pratica mattutina di esercizi per favorire il movimento, un uso mirato e limitato dei farmaci per gestire i sintomi acuti, tecniche di rilassamento per ridurre lo stress, una dieta antinfiammatoria per sostenere il sistema immunitario, la riduzione dell’alcol dopo le 18, l’evitare il caffè nelle sei-otto ore precedenti il riposo, l’obiettivo di sei-otto ore di sonno notturno e l’adozione di strategie quotidiane per gestire l’ansia e la tensione.

Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.


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