Un numero crescente di aziende europee di moda e cosmetici, tra cui L’Oréal, sta valutando l’uso di una (poco nota) clausola doganale statunitense, la cosiddetta “first sale”, per ridurre l’impatto dei dazi al 15% imposti dal presidente Donald Trump. Per ammortizzare i costi dei dazi, alcune aziende di abbigliamento e beni di consumo stanno sfruttando la clausola first sale, che consente di calcolare i dazi sul valore del prodotto al momento dell’uscita dalla fabbrica (ovviamente nettamente inferiore al prezzo di vendita al dettaglio). «Fa parte delle possibilità che abbiamo» ha commentato l’amministratore delegato di L’Oréal, Nicolas Hieronimus. Anche altre aziende come Golden Goose, Moncler e Ferragamo hanno già indicato di voler adottare questa strategia.

Ma questa “furbata” dei grossi marchi della moda comporta anche dei rischi. Richiede infatti una documentazione dettagliata, un controllo rigoroso delle filiere produttive e strutture legali per gestire le transazioni. «Solo le aziende con risorse adeguate» possono permettersela, sia per i «costi di conformità sia per i rischi di errori nel bilancio», ha spiegato Michael T. Cone, avvocato statunitense esperto in dazi e commercio, sottolineando come un uso improprio può portare a grosse «sanzioni». I consulenti come Kpmg e Pwc hanno registrato nel 2025 un aumento delle richieste su come sfruttare questo metodo per alleggerire l’onere dei dazi di Trump. «Abbiamo ricevuto tre volte più richieste del solito», ha spiegato Ruth Guerra, partner di Kpmg a Parigi.
Per beneficiare di uno “sconto” sui dazi, l’azienda deve dimostrare che i prodotti diretti negli Usa hanno subito più transazioni: in genere, la merce viene venduta dalla fabbrica a un intermediario e poi a una società statunitense. Le transazioni devono avvenire tra entità chiaramente distinte e indipendenti. «Nel nostro caso, i dazi del 15% si tradurranno in un impatto del 3% sul prezzo al dettaglio negli Usa», ha dichiarato Silvio Campara, amministratore delegato di Golden Goose, sottolineando che gli Stati Uniti rappresentano ben il 35% dei ricavi dell’azienda.
Non esistono dati pubblici sulle merci importate applicando il metodo first sale, ma un’indagine del 2009 della Commissione internazionale del commercio degli Stati Uniti ha rilevato che l’8,5% degli importatori l’ha utilizzata in un anno, pari al 2,4% del valore totale delle importazioni Usa, di cui quasi la metà calzature e abbigliamento.