I ministri delle Finanze dei G7, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Giappone, Italia e Canada, hanno tenuto una videoconferenza il 12 settembre per discutere la proposta statunitense di imporre «dazi significativi» su Cina e India a causa dei loro acquisti di petrolio russo in barba alle sanzioni internazionali.
I ministri si sono anche confrontati su ulteriori sanzioni contro la Russia e su un possibile aumento dei dazi nei confronti dei Paesi che «favoriscono» la guerra russa contro l’Ucraina, come indicato in una dichiarazione rilasciata dal ministro statunitense Scott Bessent e dal rappresentante commerciale statunitense Jamieson Greer. Prosegue quindi l’azione trainante degli Stati Uniti nel cercare di fermare la guerra in Ucraina usando l’arma finanziaria ed evitando l’entrata in guerra diretta della Nato in Ucraina, cosa che causerebbe l’inizio della Terza guerra mondiale.
All’inizio della scorsa settimana, l’amministrazione Trump aveva esortato l’Unione Europea a imporre dazi fino al 100 per cento su Cina e India, prima di estendere l’invito agli alleati del G7 e della Nato. Poi, ieri, è arrivato l’appello di Donald Trump alla Nato, che ha pubblicato sui social di essere pronto a imporre «sanzioni pesanti» sulla Russia non appena tutti i paesi Nato acconsentiranno a fare lo stesso e, soprattutto, a interrompere gli acquisti di petrolio da Mosca. L’amministrazione Trump ha da tempo iniziato a muoversi in tal senso, imponendo un dazio aggiuntivo del 25 per cento sulle merci importate dall’India, portando i dazi “punitivi” totali sulle merci indiane al 50 per cento, pagando fra l’altro il prezzo di uno strappo nei i rapporti tra Stati Uniti e India, che ora diplomatici e rappresentanti commerciali di entrambi i Paesi stanno cercando di ricucire.
Il presidente americano ha rinviato l’aumento dei dazi sulle merci cinesi per gli acquisti di petrolio russo da parte della Cina, poiché il regime cinese sta utilizzando terre rare e magneti – di cui gli Stati Uniti in questo momento hanno particolare carenza – come leva nelle negoziazioni. Ma questo “bonus” per Pechino potrebbe essere destinato a esaurirsi abbastanza presto: all’interno dell’amministrazione Trump è in atto una vera e propria mobilitazione per l’approvvigionamento e la produzione interna di terre rare (dal miliardo di dollari investiti dal governo federale nella produzione interna, all’accordo con l’Ucraina per l’importazione).
La maggior parte dei paesi del G7 sono anche membri della Nato e hanno quindi l’obbligo di allineare le loro azioni in materia di sicurezza e geopolitica nel confronto con la Russia. Ma alcuni membri dell’Europa orientale, come Ungheria, Turchia e Slovacchia continuano a comprare petrolio russo, per motivi pratici ma anche politici. Se la maggior parte dei membri Nato cooperasse, “affamando” la Russia, secondo gli analisti si taglierebbe una delle principali fonti di entrate della Russia, esercitando una pressione sostanziale su Mosca.
In questo senso, l’appello di Trump rappresenta un segnale importante di orientamento politico. E anche un chiaro messaggio politico: chi non collabora alle sanzioni è complice della Russia, complice della carneficina causata da Vladimir Putin.
I Paesi del G7 e dell’Ue potrebbero appoggiare a parole l’azione degli Stati Uniti per fermare la guerra in Ucraina, ma resta incerto se alle parole seguiranno davvero i fatti, per via dei legami, commerciali innanzitutto, che diverse nazioni continuano a non voler recidere col regime comunista cinese. Che nella guerra in Ucraina, va ricordato, gioca un ruolo centrale (benché da dietro le quinte) nel tenere in piedi la disastrata economia russa.
Secondo gli analisti, gli Stati Uniti dovrebbero convincere almeno un altro alleato importante (oltre all’Italia, che in questo caso è stata la prima a azzerare le importazioni energetiche dalla Russia); se il Regno Unito o la Germania facessero altrettanto, la situazione potrebbe cambiare, confermano gli analisti. Putin ha intensificato i bombardamenti aerei sull’Ucraina, soprattutto dopo aver partecipato alla grande parata militare del regime comunista cinese a Pechino il 3 settembre, a confermare per l’ennesima volta che non ha alcuna intenzione di fermare la guerra. Trump ha già detto che sta per perdere la pazienza con Putin; ora serve solo che anche l’Europa arrivi al limite della propria “pazienza”. A quel punto si scatenerebbe una guerra mondiale commerciale, con Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese (più “regimi canaglia”, come si diceva un tempo, quali Iran e Corea del Nord) da una parte, e l’Occidente (e, tutt’altro che secondario, il Giappone) dall’altra. In mezzo, resterebbe l’ondivaga India.
All’inizio del mese, il primo ministro indiano Narendra Modi ha partecipato al summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai a Tianjin, in Cina, nel suo primo viaggio ufficiale in sette anni, in cui ha tenuto incontri bilaterali con Xi Jinping e Vladimir Putin; ma senza presenziare alla parata militare. La posizione dell’India è molto ambigua, e molto meno solida di quella di Russia e Corea del Nord, nazioni sono legate a doppio filo (per usare un eufemismo) al regime cinese. Per cui, è probabile che l’India reagisca a ulteriori pesanti sanzioni e/o dazi, ma tenderebbe sempre a gravitare, almeno in parte, nell’orbita cinese; ma alcuni esperti prevedono che l’India sceglierà alla fine di schierarsi con gli Stati Uniti, considerata la loro inimicizia strategica per il dominio regionale, che si manifesta nell’annoso conflitto sul confine fra Pechino e New Delhi.