Un recente studio evidenzia come farmaci di uso comune, come ibuprofene e paracetamolo, possano contribuire alla resistenza agli antibiotici, un fenomeno che minaccia la salute mondiale. La ricerca, pubblicata il 25 agosto sulla rivista Nature dall’Università dell’Australia Meridionale, mette in luce i rischi legati all’uso combinato di questi farmaci con antibiotici, in particolare tra gli anziani.
Nel 2019, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la resistenza antimicrobica ha causato direttamente 1 milione e 270 mila decessi, contribuendo a 4 milioni e 950 mila morti in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie registra annualmente oltre 2 milioni e 800 mila infezioni resistenti, con 35 mila decessi. In Italia, invece, l’Agenzia italiana del farmaco riporta circa 12 mila decessi annui legati a questo fenomeno. L’abuso di terapie antibiotiche, sia in ambito umano sia veterinario, ha favorito la proliferazione di ceppi batterici e fungini immuni ai farmaci, rendendo indispensabili trattamenti di seconda o terza linea. Questi, tuttavia, possono provocare gravi effetti collaterali, come insufficienza d’organo, e allungare i tempi di recupero.
I ricercatori australiani hanno esaminato l’interazione tra la ciprofloxacina, un antibiotico impiegato contro diverse infezioni batteriche, e nove farmaci non antibiotici di largo consumo, tra cui ibuprofene (principio attivo di diversi farmaci da banco come Moment e Brufen), paracetamolo (Tachipirina), diclofenac, furosemide, metformina, atorvastatina, tramadolo, temazepam e pseudoefedrina. I risultati dimostrano che i due analgesici comuni aumentano significativamente le mutazioni batteriche, favorendo un’elevata resistenza alla ciprofloxacina. In particolare, l’Escherichia coli sviluppa mutazioni più rapide quando esposto contemporaneamente a ciprofloxacina, ibuprofene e paracetamolo, rispetto alla sola ciprofloxacina. È emersa, inoltre, una maggiore resistenza ad altri antibiotici di classi diverse.
Queste evidenze risultano allarmanti nelle strutture residenziali per anziani, dove l’uso concomitante di farmaci per dolore, insonnia o ipertensione crea un terreno fertile per batteri resistenti. Gli autori dello studio, guidati dalla docente associata Rietie Venter, sottolineano l’urgenza di valutare i rischi delle politerapie, specie nei pazienti con trattamenti prolungati, e auspicano ulteriori indagini sul legame tra farmaci non antibiotici e resistenza batterica. Per arginare la diffusione di ceppi resistenti, le autorità sanitarie invitano a limitare l’uso di antibiotici ai casi imprescindibili.
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