Cosa c’è dietro allo scandalo dell’abate Shaolin incriminato per malversazione

di Redazione ETI/Michael Zhuang
31 Luglio 2025 20:39 Aggiornato: 31 Luglio 2025 21:57

Shi Yongxin, abate del celebre Tempio Shaolin, culla leggendaria del kung fu e del buddismo zen, è stato recentemente incriminato con l’accusa di malversazione, secondo quanto annunciato dall’account ufficiale del monastero sui social media. Il monaco sessantenne è inoltre accusato di aver violato i precetti buddhisti, intrattenendo «relazioni inappropriate con diverse donne per un lungo periodo» e generando almeno un figlio illegittimo, secondo la nota ufficiale.
Secondo diverse fonti di Epoch Times Usa, il caso dell’abate buddista Shi non rappresenterebbe un caso isolato, ma sarebbe l’ultimo episodio della normale strategia del Partito comunista cinese volta a cooptare le istituzioni religiose per consolidare il proprio controllo politico. L’abate shaolin Shi quindi, non sarebbe tanto un monaco deviato, quanto piuttosto un agente selezionato dal regime: un finto “monaco” per missione politica, non per fede.

In un’intervista rilasciata a Epoch Times Usa, il dissidente cinese Cai Kefeng, ex presidente dell’Associazione degli scrittori cinesi all’estero, ha raccontato un episodio poco noto risalente agli anni Settanta, che rivela come il regime cinese abbia sistematicamente piazzato i propri uomini in posizioni di vertice all’interno delle istituzioni religiose. Nell’autunno del 1973, mentre si trovava a Guangzhou in convalescenza, Cai Kefeng ricevette la visita di un funzionario del Partito che gli proponeva un incarico singolare: il regime aveva bisogno di giovani istruiti disposti a fingersi monaci e preti in templi e chiese di tutta la Cina, per fare “pubbliche relazioni” con i visitatori stranieri: «Non dovrai fare lavori manuali – diceva il funzionario – il tuo compito sarà accogliere gli ospiti stranieri».

Il funzionario del Partito spiegò poi che, dopo la visita del presidente statunitense Richard Nixon in Cina, nel febbraio 1972, il Partito comunista si preparava a un afflusso di delegazioni straniere e intendeva collocare persone «colte e politicamente affidabili» negli spazi religiosi. L’offerta giungeva pochi anni dopo la devastante Rivoluzione Culturale, durante la quale le Guardie Rosse di Mao avevano annientato definitivamente quel che rimaneva della cultura tradizionale cinese, saccheggiato i templi e perseguitato i (veri) monaci. Una proposta tanto surreale quanto rivelatrice, quindi. Sempre secondo il racconto di Cai Kefeng, l’incarico prevedeva un salario molto più alto rispetto a quello dei laureati universitari dell’epoca, ma era spiazzante: era necessario radersi il capo, indossare la veste monacale, recitare scritture sacre e mangiare vegetariano all’interno del tempio. Tradizionalmente, infatti, i monaci buddhisti cinesi osservano il celibato (come gli ecclesiastici cattolici) e seguono una dieta strettamente vegetariana. Al di fuori dell’orario di lavoro, però, si poteva tornare a casa, mangiare carne e persino sposarsi; il tutto ovviamente in modo segreto.
Il giovane Cai Kefeng, però, declinò la seppur “allettante” offerta. Nonostante la promessa di denaro e stabilità, temeva che un cambiamento politico, come quelli già vissuti durante la Rivoluzione Culturale, avrebbe potuto bollarlo come superstizioso o politicamente inaffidabile. In seguito, Cai riuscì a fuggire dalla Cina chiedendo asilo politico negli Stati Uniti.

La storia personale di Cai Kefeng trova riscontro nelle osservazioni della commentatrice indipendente cinese Zhang Xiujie, che ha ricordato un episodio degli anni Ottanta, quando un giornalista visitò un importante tempio, reputato persino più celebre dello Shaolin, per intervistare l’abate. Gli fu detto che l’abate non c’era, ma poi lo trovò a ballare in una discoteca. Quando la giornalista lo avvicinò, il finto abate shaolin si scusò, si tolse la parrucca, indossò la veste monacale e concesse l’intervista in pieno abbigliamento religioso.
«Ecco perché una figura come Shi Yongxin può emergere da un luogo che dovrebbe essere sinonimo di purezza spirituale – commenta la giornalista – Quando la politica invade ogni ambito, specialmente quello religioso, cos’altro ci si può aspettare?».

Nato nel 1965, Shi Yongxin è entrato nel Tempio Shaolin a sedici anni, scalando rapidamente le gerarchie. A ventidue anni era già direttore del comitato di gestione del tempio, diventando in seguito il volto dell’espansione planetaria dello Shaolin. Ha ricoperto più mandati come delegato al Congresso nazionale del popolo (ossia il Parlamento-fantoccio della dittatura cinese) e ha coltivato stretti legami con le élite politiche e imprenditoriali del regime.
Per Cai Kefeng, un’ascesa così fulminea non è affatto casuale: Shi Yongxin incarna perfettamente il profilo del “monaco politico” che il regime ha creato mezzo secolo fa: giovane, istruito, leale al regime e capace di mediare tra interessi religiosi, politici e commerciali. Secondo Cai, persino le recenti accuse contro Shi, tra cui l’appropriazione indebita di fondi del tempio e le relazioni con diverse donne, non dovrebbero essere considerate solo come “errori” personali: «Dal punto di vista del Partito, la virtù personale è una questione trascurabile; al regime interessa solo il controllo. Il vero scandalo non è che lui abbia avuto delle relazioni con donne, ma che il sistema lo abbia prima prodotto e poi protetto per anni, finché non è più servito agli interessi del regime». Una persona simile, insomma, non avrebbe mai nemmeno dovuto poter entrare nel monastero Shaolin.

Sotto il regime comunista cinese, monaci buddhisti, preti taoisti e clero cristiano sono tutti soggetti all’approvazione, alla formazione e alla sorveglianza dello Stato-Partito. E i veri fedeli sono spesso costretti a praticare la propria fede in clandestinità, come insegna il caso del movimento delle “chiese sotterranee” cinesi. I leader religiosi nella dittatura cinese occupano spesso ranghi amministrativi equivalenti a quelli dei funzionari governativi e devono superare precisi controlli ideologici. Molti hanno il compito di accogliere delegazioni straniere, promuovere la propaganda del Partito e monitorare/spiare i fedeli locali. Niente a che vedere con la coltivazione spirituale: sono persone che «timbrano il cartellino» e lavorano al servizio del Partito.


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