«I dazi al 30 per cento (ma anche le 20 o a meno) a carico delle importazioni provenienti dai Paesi dell’Unione europea rischiano di generare impatti pesantissimi sulle catene di approvvigionamento, danneggiando fortemente imprese, lavoratori e consumatori su entrambe le sponde dell’Atlantico. Del resto, la Bce aveva già stimato che, nell’ipotesi dei primi di aprile di dazi al 28 per cento e con risposta reciproca europea, la crescita dell’area euro sarebbe diminuita di mezzo punto percentuale nel 2025, dello 0,7 per cento nel 2026 e dell’1,1 per cento nel 2027».
È allarmato e preoccupato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, tanto più di fronte alle ultime dichiarazioni di Donald Trump. «Siamo la quarta economia esportatrice nel mondo e, nel 2024, il nostro export verso gli Usa ha superato i 64 miliardi e 500 milioni di euro: un po’ più del 10 per cento del totale. Gli effetti dei dazi inciderebbero particolarmente su agroalimentare, farmaceutica e meccanica, settori con domanda più esposta alle variazioni di prezzo. Una recente analisi di Banca d’Italia mette in evidenza, però, che il 43 per cento delle nostre esportazioni verso gli Stati Uniti è costituito da prodotti di elevata qualità, maggiormente resistenti rispetto alle variazioni dei prezzi. In più, le filiere potrebbero contenere l’impatto dei dazi, anche se attraverso riduzioni dei margini», prosegue.