Capire il passato per determinare il futuro

di Redazione ETI/Jeff Minick
5 Novembre 2025 7:38 Aggiornato: 5 Novembre 2025 9:56

Nell’introduzione all’opera in undici volumi La storia della civiltà, il filosofo e storico statunitense Will Durant (1885-1981) ha scritto: «La civiltà non è qualcosa di innato o imperituro; deve essere acquisita ex novo da ogni generazione, e qualsiasi grave interruzione nel suo svolgimento o nella sua trasmissione può determinarne la fine. L’uomo si distingue dalla bestia solo per l’istruzione, che può essere definita come lo strumento di trasmissione della civiltà».

L’accademico e storico Wilfred M. McClay lancia un avvertimento simile in modo più diretto in Terra di speranza: un invito alla grande storia americana: «Una cultura senza memoria sarà necessariamente barbara e facilmente soggetta alla tirannia, anche se tecnologicamente avanzata».

Come la maggior parte degli storici, Durant e McClay riconoscono la necessità cruciale di questo passaggio di testimone da una generazione all’altra. Inoltre, pur riconoscendo che questa consegna possa avvenire sia attraverso l’insegnamento dei genitori, la lingua e i costumi, la letteratura, l’arte e la musica, entrambi probabilmente affermano anche la supremazia di Clio, la musa della Storia, come “capitano” della cultura e custode principale delle nostre biblioteche, dei musei e delle arti liberali.

Charles Meynier, Clio, musa della Storia, 1800. Cleveland Museum of Art. Pubblico dominio.

Di conseguenza, il modo in cui analizziamo e interpretiamo sia i tesori che le minuzie della Storia, quella gigantesca soffitta, è fondamentale per la sopravvivenza di una civiltà. La Storia, con le sue guerre e le voci di guerra, può diventare essa stessa un campo di battaglia, proprio come succede oggi.

IL CAMPO DI BATTAGLIA DELLA STORIA

Nel 2019, il New York Times Magazine ha lanciato il Progetto 1619 per commemorare i 400 anni dall’inizio della schiavitù in America attraverso la colonia della Virginia. Il sito del progetto spiega chiaramente la finalità: «L’obiettivo è quello di ridefinire la storia del Paese ponendo le conseguenze della schiavitù e i contributi degli afroamericani al centro della nostra narrativa nazionale». In collaborazione con il Pulitzer Center, il Progetto 1619 ha quindi sviluppato un programma di studi e risorse volte a cambiare radicalmente l’insegnamento della Storia degli Stati Uniti, dalla scuola elementare all’università.

Donne, uomini e bambini davanti a una chiesa, probabilmente la Vernon African Methodist Episcopal Church, a Tulsa, Oklahoma, intorno al 1919. Il progetto 1776 Unites afferma che nel 1921 Tulsa divenne una famosa enclave imprenditoriale afroamericana. Collezione dello Smithsonian National Museum of African American History and Culture. Di pubblico dominio.

Questo tentativo di allontanare l’interpretazione della storia americana dai simboli portanti come la Dichiarazione di Indipendenza e la Costituzione ha suscitato reazioni immediate: storici di ogni orientamento politico hanno denunciato il progetto per la visione falsata della Storia, mentre altri lo hanno difeso e promosso. Tra gli oppositori c’è stato Robert Woodson, attivista nero e organizzatore di comunità che ha fondato il Progetto 1776 Unites, col quale rifiuta la natura divisiva delle iniziative del Progetto 1619 e la sua falsificazione della Storia, e intende piuttosto promuovere «i valori che un tempo ci univano e ci proteggevano dai nemici interni ed esterni».

Il quartiere Greenwood di Tulsa, in Oklahoma, era popolarmente conosciuto come la “Black Wall Street” americana. Era normale che i residenti, come Samuel ed Eunice Jackson (a sinistra) in questa fotografia del 1926, fossero “vestiti a festa” e possedessero automobili di lusso. Oggi si ricorda ben poco della ricchezza dei neri all’inizio del XX secolo. Collezione dello Smithsonian National Museum of African American History and Culture. Dominio pubblico

Più recentemente, il conflitto è divampato su un fronte diverso. Il 27 marzo 2025, Donald Trump ha emesso un ordine esecutivo che «impone la rimozione di quella che considera “ideologia impropria, divisiva o antiamericana” dalle strutture gestite dalla Smithsonian Institution». Il giornalista Aldgra Fredly ha scritto che il vicepresidente J.D. Vance, attualmente membro del Consiglio di amministrazione dello Smithsonian, “supervisionerà la rimozione di tale ideologia dai musei, dai centri di ricerca e dallo Zoo nazionale dell’Istituto”». Come scrive Fredly, lo stesso ordine conferisce al Segretario degli Interni Doug Burgum il potere di «ripristinare i parchi federali, i monumenti, i memoriali, le statue e i cartelli che sono stati “rimossi o modificati in modo improprio negli ultimi cinque anni per perpetuare una revisione falsata della Storia, o per minimizzare o denigrare in modo improprio determinati personaggi o eventi storici”». Queste e altre controversie interpretative sul significato del passato americano sollevano interrogativi quali: la Storia nei nostri musei e nelle nostre scuole può essere presentata in forma pura e oggettiva? Quali sono i rischi e i benefici della Storia revisionista? E il passato americano descritto nei musei, nei libri e nelle aule scolastiche dovrebbe mirare ad accrescere il patriottismo?

La risposta breve alla prima domanda sopra riportata è un no assoluto. Possiamo apprendere e diffondere fatti storici – le date della guerra ispano-americana, la costruzione di un carro Conestoga (mezzo di trasporto utilizzato nel XVIII secolo), il numero di soldati americani che hanno partecipato allo sbarco in Normandia – ma questi sono di per sé curiosità, piacevoli da conoscere ma con scarso valore reale nel darci una comprensione del patrimonio del nostro Paese. Quando gli investigatori, altrimenti noti come storici, iniziano a esaminare questi fatti, entra subito in gioco la soggettività umana.

Ma c’è una soluzione: gli storici, i curatori dei musei e gli insegnanti possono mettere consapevolmente da parte i loro pregiudizi e cercare di essere obiettivi. Possono guardare al passato con mente aperta, studiando a fondo ogni aspetto e caratteristica culturale integrando queste realtà nell’avvicinarsi ai personaggi e agli eventi storici. Si può indicare la schiavitù come una vergogna della nostra nazione, ma una visione equilibrata richiede di puntare l’attenzione anche – e soprattutto – sulle forze che hanno sradicato la schiavitù, che è una delle grandi vittorie della nostra nazione.

Un esempio di questa cecità storica è riscontrabile in questi ultimi anni, con la rimozione dalle piazze delle statue di Robert E. Lee – in un caso anche la demolizione – proprio per mancanza di obiettività, per mera ideologia e perché spesso detrattori storicamente ignoranti con opinioni politiche distorte hanno bollato Lee come un traditore dell’Unione che ha combattuto per la schiavitù. Pochi si sono fatti avanti per difendere le statue o la reputazione di Lee, eppure si tratta dello stesso uomo che personaggi come Franklin Roosevelt, Winston Churchill e Dwight Eisenhower hanno un tempo elogiato con entusiasmo.

Questo è un classico esempio di quello che in filosofia del tempo è definito presentismo, ovvero l’interpretazione e il giudizio del passato esclusivamente attraverso la lente del presente. Chi ha chiesto la rimozione delle statue e chi ha acconsentito poco sapevano della storia personale di Lee e nulla delle situazioni particolari del tempo. Questo fenomeno di iconoclastia è anche un ottimo esempio di revisionismo sfrenato.

Lo scenario peggiore del presentismo è il revisionismo estremo o, in alcuni casi, il tentativo di cancellare completamente il passato. La Rivoluzione Culturale scatenata dal Partito Comunista Cinese a metà degli anni ’60 è un chiaro esempio di cancellazione del passato per sostituirlo con un presente inventato ad hoc. Nel 1966, il regime cinese e i suoi servi, tra i quali molti giovani, dichiararono guerra ai Quattro Vecchi – vecchie idee, vecchia cultura, vecchie usanze e vecchie abitudini – nel tentativo di sradicare completamente la civiltà classica cinese. Questa violenta epurazione, iniziata col massacro di Pechino nell’agosto di quell’anno, ha causato in seguito lo sterminio di circa due milioni di persone.

Il maestro di cerimonie di Shen Yun, Leeshai Lemish, interviene durante una conferenza stampa per denunciare le attività di repressione transnazionale del Partito Comunista Cinese nei confronti della compagnia, tenutasi al Lincoln Center di New York City il 26 marzo 2025. Samira Bouaou/The Epoch Times

Nell’articolo Behind Beijing’s Blackmail (Dietro il ricatto di Pechino), Leeshai Lemish parla di come il Partito comunista cinese continui a perseguire tale distruzione attaccando e diffamando Shen Yun Performing Arts, una compagnia di danza contraria al comunismo. Fondata a New York, opera a livello internazionale e promuove i valori e la cultura tradizionali cinesi.

D’altra parte, un’adeguata rivalutazione fa parte di una necessaria e continua interpretazione storica: nuove conoscenze provenienti da archivi o nuovi metodi di interpretazione dei dati, possono gettare nuova luce sugli eventi passati, cambiandone il significato. Solo quando questo revisionismo diventa ideologico o ignora – magari deliberatamente – i fatti, o è slegato dalla realtà storica e dal buon senso, rappresenta un pericolo per la cultura e la civiltà.

PATRIOTTISMO

E per quanto riguarda il patriottismo: i nostri libri di Storia, i musei e le istituzioni educative dovrebbero contribuire a rafforzare l’orgoglio nazionale, o insegnare che l’amore per la patria è da considerare un tradimento? Nella recensione del libro Land of Hope di Wilfred McClay, l’illustre storico e insegnante Gordon S. Wood scrive: «Questa generosa ma non acritica storia della nostra nazione dovrebbe essere letta da ogni americano. Spiega e giustifica il giusto tipo di patriottismo». Con «giusto tipo di patriottismo», Wood si riferisce probabilmente non solo a Land of Hope in generale, ma anche all’epilogo, The Shape of American Patriotism (Forma del patriottismo americano). McClay scrive diffusamente su questo tema: dopo aver osservato che alcuni oggi considerano «il patriottismo un sentimento pericoloso», cosa che definisce “un grave malinteso”, esamina due diversi concetti di patriottismo americano. Nel primo rientrano quegli ideali universalizzanti applicabili “al benessere del mondo intero”, idea che il padre fondatore Alexander Hamilton espose in The Federalist n. 1. pubblicato nel 1787. Il secondo è quello che McClay definisce sentimenti peculiari, che accomunano elementi come Storia, tradizione, cultura e la terra stessa.

Prove di stampa della prima edizione dello spartito musicale di God Bless America, 1938, di Irving Berlin. Biblioteca del Congresso. Pubblico dominio.

McClay cita poi God Bless America di Irving Berlin mostrando come queste due idee spesso si fondano. Questa canzone popolare che evoca immagini toccanti: Terra che amo! e Mia dolce casa!, è stata composta da un ebreo nato nella Russia zarista, Berlin appunto, emigrato negli Stati Uniti dove ha vissuto in prima persona gli ideali universali della libertà americana. La canzone e l’uomo mostrano sia l’universalità degli ideali americani sia il sentimento di amore per la nazione che li ha realizzati.

Nella riflessione iniziale di Will Durant, notiamo che egli definiva l’istruzione come lo «strumento di trasmissione della civiltà». Se desideriamo che i nostri figli ereditino i valori americani e l’amore per il Paese, dobbiamo seguire l’esempio di chi ci ha preceduto e garantire che i giovani conoscano bene la Storia della nostra nazione. Dopo tutto, non potrebbero amare quello che non conoscono. Né possono amare il loro Paese se gli viene insegnato a sminuirne o ignorarne i successi, e a permettere che le macchie del passato ne annullino le bellezze. È qui che musei, storici, insegnanti e, alla fine, ognuno di noi, deve proporsi come conservatore e promotore di quel patrimonio e di quegli ideali di vita, libertà e ricerca della felicità che contraddistinguono ciascun americano.