Mediobanca: gruppi energetici pubblici italiani al vertice delle top 20

di Agenzia Nova
13 Novembre 2025 14:01 Aggiornato: 13 Novembre 2025 14:01

La graduatoria riferita all’esercizio 2024 delle principali aziende industriali e di servizi italiane conferma la supremazia dei grandi gruppi energetici a controllo pubblico. Le prime venti posizioni vedono la presenza di nove imprese pubbliche, cinque private italiane e sei a capitale estero, con una netta prevalenza del settore energetico-petrolifero, che conta nove aziende nella Top 20. È quanto emerge dalla Sessantesima edizione del volume Le principali società italiane realizzato dall’Area studi di Mediobanca. Lo studio analizza i bilanci relativi all’esercizio 2024 di 2.828 aziende, suddivise in base al settore in cui operano. Nel dettaglio: 2.311 società industriali e di servizi, 29 di leasing, 34 di factoring e credito al consumo, 359 banche e 95 assicurazioni. In sintesi, la leadership ha sempre interessato gli stessi pochi grandi gruppi: Fiat-Ifi-Exor sono state al vertice in 23 edizioni, Agip-Eni in 22, Iri in nove ed Enel in sei. Quattro protagonisti che hanno guidato l’economia italiana, segnando il passaggio dall’auto all’energia, dalle partecipazioni statali alla transizione guidata dalle grandi utility nazionali.

Eni si conferma leader con un fatturato di 88,8 miliardi di euro, seguita da Enel (73,9 miliardi) e Gse (51,9 miliardi). I dati del primo semestre 2025 mostrano un riavvicinamento tra Eni (41,3 miliardi) ed Enel (39,7 miliardi). Nonostante il calo generale dei ricavi, il comparto energetico mantiene una posizione dominante. Tra le aziende manifatturiere, Stellantis Europe si posiziona quarta con 21,3 miliardi, seguita da Leonardo (17,8 miliardi) e Prysmian (17 miliardi). In forte crescita Ferrovie dello Stato e Saipem (+4 posizioni ognuna), rispettivamente al settimo e ottavo posto. Telecom Italia è la prima azienda del comparto dei servizi (nona), mentre Edison chiude la Top 10. Le aziende pubbliche rappresentano quasi l’80 per cento delle vendite e circa il 90 per cento del margine operativo netto della Top 10, con un valore aggiunto per dipendente di 221mila euro, contro i 138mila euro delle imprese private. La presenza manifatturiera nelle prime dieci posizioni è limitata al 17,1 per cento del fatturato e al 6,6 per cento del margine operativo, ma con un peso del 33,3 per cento in termini di dipendenti.

La somma dei fatturati dei gruppi manifatturieri della Top 10 non arriva al 65 per cento del giro d’affari di Eni. Nel 1965, tra le prime dieci aziende, la manifattura rappresentava quasi il 50 per cento delle vendite, mentre il comparto pubblico, attivo anche attraverso enti speciali, si attestava al 32 per cento. Nelle posizioni dalla 11 alla 20 si distinguono ancora aziende energetico-petrolifere come Hera, A2a, Italiana Petroli, Saras e Kuwait Petroleum Italia, accanto a realtà come Poste Italiane, Webuild, Parmalat, Edizione e Superit (Esselunga). In questa fascia, la manifattura pesa solo per il 10 per cento delle vendite (con una sola azienda: Parmalat) e la presenza pubblica scende al 33 per cento del fatturato, pur mantenendo un ruolo rilevante in termini di redditività (risultato netto 71 per cento) e apporto occupazionale (51 per cento). Complessivamente, sono 1.519 le aziende in graduatoria, di cui 282 con un fatturato superiore al miliardo di euro. Queste ultime generano 1.060 miliardi di euro di ricavi (-1,5 per cento sul 2023), impiegano oltre due milioni di persone (+3 per cento). Registrano inoltre un Ebit Margin del 7,6 per cento, con un rapporto risultato netto/fatturato del quattro per cento e un debt equity ratio del 90,4 per cento.


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