Le autorità iraniane hanno bloccato le pagine Instagram di diverse cantanti donne nella provincia settentrionale di Mazandaran, accusandole di diffondere «contenuti criminali». Lo riferisce il sito web d’informazione «Iran International», secondo cui gli account di Mandana Akbarzadeh, Azadeh Kebriya, Zeinab Berimani e Fatereh Hamidi sono stati oscurati e sostituiti da un messaggio che avverte: «Attività criminali degli utenti sono sotto monitoraggio». La misura si inserisce nella campagna di censura contro la visibilità delle artiste, in un Paese dove dal 1979 alle donne è vietato cantare o ballare in pubblico e dove è imposto l’obbligo del velo islamico. Nonostante i divieti, molte cantanti continuano a diffondere le proprie opere in rete o attraverso esibizioni private e clandestine. Negli ultimi anni, l’Iran ha intensificato il controllo sulle donne nel mondo artistico. Lo scorso anno, la cantante Zara Esmaeili è stata arrestata dopo che un video in cui interpretava «Back to Black» di Amy Winehouse era diventato virale. Da allora, molte artiste sono state arrestate o bandite dalle attività professionali, in particolare dopo le proteste per la morte di Mahsa Amini nel 2022, simbolo della lotta contro il velo obbligatorio.
Un video circolato sui social nei giorni scorsi, e rilanciato dai media italiani, mostra un concerto rock improvvisato per strada a Teheran, dove ragazzi e ragazze, senza velo, suonano «Seven Nation Army» dei White Stripes. L’esibizione, avvenuta secondo il giornalista Armin Arefi il 24 ottobre, non è stata ripresa dai media iraniani, nemmeno da quelli di opposizione. In parallelo, cresce la pressione delle autorità religiose. Il rappresentante della Guida suprema a Shahrekord, Abolhassan Fatemi, ha dichiarato che «lo sport accompagnato da musica e comportamenti inappropriati è dannoso», esortando i giovani a dedicarsi «allo studio, alla disciplina morale e allo sport secondo i valori islamici». Episodi di repressione dei costumi si moltiplicano anche nella vita quotidiana: nei giorni scorsi, un giovane di 26 anni è stato arrestato a Qom per aver indossato dei pantaloncini mentre pattinava. Dopo il fermo, un giudice lo ha condannato a riscrivere a mano un libro religioso intitolato «Trenta minuti nell’Aldilà». Il padre, avvocato, ha denunciato la polizia e la magistratura per abuso di potere, ricordando che nessuna legge iraniana criminalizza l’uso dei pantaloncini per gli uomini.




