Una delle cariche più alte del regime comunista cinese, citata da Central News Agency, ha dichiarato di recente che raggiungere la “riunificazione” con Taiwan attraverso mezzi pacifici sarebbe la via migliore per il popolo. Viene da pensare che – visti i guai che Xi Jinping sta avendo con le forze armate del Partito, delle quali ha ormai perso il dominio – il dittatore cinese stia ora addivenendo a più miti consigli e stia cercando di usare le buone, non essendo più tanto sicuro di poter usare le cattive per conquistare Taiwan.
Vendo al fatto, Wang Huning, membro del Comitato permanente del Politburo del Partito Comunista e responsabile per gli affari di Taiwan, ha parlato durante un evento a Pechino per celebrare l’ottantesimo anniversario della «restaurazione» dell’isola al dominio cinese. Il 25 ottobre 1945 rappresenta infatti una data storica cruciale per la propaganda del Partito comunista cinese riguardo a Taiwan, poiché segna la resa delle truppe giapponesi a Taipei e il conseguente ritorno formale dell’isola di Taiwan sotto la sovranità cinese dopo la Seconda guerra mondiale.
Quattro anni dopo, però, con la rivoluzione/colpo di Stato del Partito comunista cinese capeggiato da Mao Zedong, i rivoluzionari comunisti avrebbero preso il potere in Cina continentale, costringendo il legittimo capo dello Stato cinese, Chiang Kai Shek, a rifugiarsi proprio sull’isola di Taiwan. Chiang Kai Shek avrebbe poi proclamato Taiwan “Repubblica di Cina”, rendendola quindi l’unica “vera Cina”, a dispetto del fatto che Taiwan non abbia mai ottenuto un riconoscimento formale in tal senso (forse anche a causa del forte potere della dittatura comunista cinese in seno alle Nazioni Unite). Da allora, il Pcc – che, giova sottolinearlo, non è il “vero” governo cinese poiché esercita il potere in Cina in modo illegittimo e antidemocratico – non ha mai riconosciuto la sovranità nazionale di Taiwan, e ha sempre accampato il presunto “diritto” di appropriasene.
Tornando al parziale ammorbidimento espresso dalla dittatura cinese nei confronti di Taiwan, il regime di Pechino ha chiarito che, in ogni caso, non tollererà alcuna attività in promozione dell’indipendenza taiwanese, sebbene “terrebbe pienamente conto” delle attuali circostanze di Taiwan (probabilmente nello stesso modo in cui a suo tempo ha “tenuto conto” delle circostanze di Hong Kong, integrandola nel proprio sistema dittatoriale nel giro di una ventina d’anni). Tutto questo se mai il popolo di Taiwan dovesse votare a favore dell’annessione al regime del continente, naturalmente.
In merito, il Consiglio per gli Affari Continentali di Taiwan ha replicato che il Pcc non fa altro che ripetere la «stessa vecchia storia», e che il vero obiettivo del Partito è solo quello di «annettere» Taiwan. E «l’esperienza di Hong Kong ha anche dimostrato che il modello ‘un Paese, due sistemi’ equivale in ultima analisi al dominio autoritario del Partito Comunista Cinese» ha poi precisato il Consiglio. Aggiungendo che le cosiddette «prospettive di sviluppo» derivanti dall’altrettanto cosiddetta «unificazione» non interessano minimamente il popolo di Taiwan.
Non a caso, Taiwan non commemora la liberazione dai giapponesi, ma celebra invece l’anniversario della Battaglia di Guningtou del 1949, quando i comunisti fallirono il tentativo di invasione dell’isola di Kinmen, che resta ancora oggi territorio nazionale della Repubblica di Cina.




