La questione Tomahawk e il bluff di Putin

di Giovanni Donato/Andrew Thornebrooke
17 Ottobre 2025 11:18 Aggiornato: 18 Ottobre 2025 8:23

Putin ha minacciato l’Europa col seguente messaggio: se date i Tomahawk a Kiev la pagherete molto cara. Ma quanto sono credibili la minacce del Cremlino? Perché i missili Tomahawk, in mano all’Ucraina, sarebbero così pericolosi per la Russia?

I missili di fabbricazione statunitense Tomahawk hanno assunto un ruolo di primo piano come “incentivo” a trascinare Vladimir Putin al tavolo delle trattative. Putin ha risposto all’eventualità che i Tomahawk vengano forniti all’Ucraina ostentando da un lato una noncuranza al limite della spocchia, dall’altro un nuovo livello di aggressività verbale, che fanno supporre che il Cremlino sia seriamente preoccupato del fatto che Zelensky possa presto ricevere questi micidiali missili. Ma perché Putin ha tanta paura dei Tomahawk?

Il Tomahawk è un missile da crociera a medio raggio e velocità subsonica, progettato per colpire obiettivi strategici nemici a grande distanza. È impiegato, in particolare, per neutralizzare postazioni difensive fortificate come i sistemi di difesa antiaerea, consentendo così l’avanzata delle operazioni militari su più larga scala.

Il Tomahawk è entrato in servizio nel 1983 ed è stato utilizzato per la prima volta in combattimento nel 1991 durante l’operazione Desert Storm nel corso della prima Guerra del Golfo contro l’Iraq di Saddam Hussein.
I dati forniti dal costruttore attestano che i Tomahawk sono stati impiegati in quasi tutti i teatri bellici statunitensi successivi, compresi gli attacchi contro l’Iran nel 2025. In totale, questo sistema d’arma è stato protagonista di oltre 2.300 impieghi operativi. E il fatto che questi missili siano in servizio da ben quarantadue anni non deve trarre in inganno: tutti i sistemi d’arma, i velivoli e le unità navali vengono costantemente aggiornati allo stato dell’arte della tecnologia esistente (perlomeno nelle forze armate statunitensi).

Il missile Tomahawk, quindi, è un’arma devastante. Progettata per volare a bassa quota, mantenendo alte velocità subsoniche, dotata di sistema Gps avanzato che consente la riprogrammazione dell’obiettivo dopo il lancio.
Secondo fonti della Us Navy (i Tomahawk possono essere lanciati sia da terra che da unità navali, sommergibili inclusi) le varianti più moderne sono in grado anche di sorvolare la zona designata, impiegando una telecamera di bordo per stimare i danni inflitti e reagire a situazioni in rapido mutamento.

Il Tomahawk è stato concepito sia per trasportare ordigni convenzionali che testate nucleari. Tuttavia, la funzione nucleare è stata progressivamente abbandonata dopo la stipula del Trattato sugli euromissili con la Russia/Unione Sovietica nel 1988. Gli Stati Uniti hanno ritirato i Tomahawk nucleari nel 1992 e, nel quadro della revisione della dottrina nucleare del 2010 (quando alla Casa Bianca c’era Obama), hanno dismesso tutte le varianti terrestri, mentre quelle navali sono state ritirate nel 2013. Ma Donald Trump è uscito da quel trattato nel 2018, denunciando il mancato rispetto degli accordi da parte russa, riaffermando così la possibilità per gli Stati Uniti di riavviare eventualmente tali programmi.

Questa premessa storica è particolarmente rilevante per l’Ucraina: con la dismissione dei Tomahawk terrestri, di fatto la quasi totalità degli esemplari oggi esistenti può essere lanciata solo da piattaforme navali, rendendo improponibile il loro impiego da parte di Kiev, che non dispone dei mezzi navali necessari. L’Ucraina, infatti, non dispone né di sommergibili né di navi di superficie compatibili con i lanciatori verticali Mk41, che sono necessari per poter sparare i Tomahawk in configurazione marina.

Ma nel 2023 l’esercito statunitense ha sperimentato una nuova versione terrestre del Tomahawk, successivamente dispiegata nelle Filippine nel 2025. Questo nuovo sistema di lancio, denominato Typhon, rappresenterebbe probabilmente l’unica soluzione realmente utilizzabile dall’Ucraina, anche se la sua recente introduzione solleva dubbi sulla disponibilità di unità e riserve sufficienti per un’eventuale cessione.
Secondo i dati di bilancio del Pentagono e le analisi dei centri studi americani, infatti, la produzione annua di Tomahawk negli ultimi anni si è attestata tra 55 e 90 esemplari, con una pianificazione di 57 nuove unità solo per il 2026. Gli stessi report sottolineano che la produzione di questi missili ha tempi di lavorazione complessi: per i modelli di ultima generazione occorrono almeno due anni dalla pianificazione all’ingresso effettivo in servizio, anche in caso di investimenti straordinari nell’industria. Il ripristino di scorte significative per poter coprire sia le esigenze prioritarie interne sia eventuali trasferimenti all’estero richiederebbe pertanto diversi anni di produzione sostenuta, non meno di tre o quattro secondo le stime più caute.​
Quanto al sistema di lancio terrestre Typhon, attualmente esistono solo pochissime batterie operative, in corso di schieramento tra area indo-pacifica e Europa, e non è previsto un significativo ampliamento della flotta prima del 2027; inoltre, ogni batteria richiede mesi di addestramento per gli artiglieri, senza contare che le commesse devono essere autorizzate e finanziate con largo anticipo dal Parlamento.

Tornando alla guerra in Ucraina, a essere cruciale per Kiev è la capacità del Tomahawk di colpire direttamente il territorio russo “dove fa più male”: il sistema, a seconda delle versioni e del carico impiegato, può infatti raggiungere bersagli compresi tra circa 1.250 e 2.400 chilometri, mentre i missili balistici a corto raggio Atacms, forniti all’Ucraina dall’amministrazione Biden nel 2024, hanno una portata massima di circa 300 chilometri.

Dunque, qualora l’amministrazione Trump decidesse di fornire alcuni esemplari del sistema missilistico Typhon/Tomahawk e di eliminare le attuali restrizioni sull’impiego delle armi statunitensi da parte dell’Ucraina, Kiev sarebbe in grado di minacciare qualsiasi obiettivo nell’intera Russia occidentale, compresi Mosca e San Pietroburgo.

Zelensky si è impegnato a impiegare tali sistemi esclusivamente contro obiettivi militari rilevanti, ma parole e fatti non sempre coincidono. Un simile scenario, comunque, rafforzerebbe notevolmente la posizione negoziale dell’Ucraina in vista di un cessate il fuoco, ma sarebbe anche interpretabile da parte russa come un’escalation della guerra. Da qui le minacce di Putin agli Stati Uniti e all’Europa. Minacce che lasciano il tempo che trovano: considerato il fiasco della “operazione lampo” di tre anni e mezzo in Ucraina, il milione e 200 mila soldati russi morti e feriti, e l’economia ormai in ginocchio, è altamente improbabile (per non dire impossibile) che la Russia sia in grado di aprire un nuovo fronte, anche solo con una qualunque delle nazioni Nato; per non parlare di combatterle tutte insieme, visto che attaccare una nazione del Patto Atlantico equivale a attaccarle tutte. Sarebbe la fine della Russia.

Escludendo quindi l’arsenale nucleare – a cui però, al di là delle chiacchiere, molto difficilmente Putin oserebbe mettere mano – una reazione “punitiva” del Cremlino contro la Nato, in rappresaglia alla fornitura di Tomahawk a Kiev, sarebbe alquanto inverosimile: l’onda d’urto della Nato sarebbe tale da spazzare via l’intero Cremlino. Una volta per tutte.

 


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