Il destino di Gaza resta appeso a un filo

di Giovanni Donato
8 Ottobre 2025 17:43 Aggiornato: 8 Ottobre 2025 18:22

Nessuno prevede un’intesa immediata dai negoziati di Sharm el Sheik, considerato il muro contro muro fra Israele e Hamas sulla questione della resa incondizionata che il piano americano prevede per l’organizzazione terroristica che da diversi anni controlla la Striscia di Gaza.

Hamas ha tuttavia dichiarato martedì di essere pronta a raggiungere un accordo per porre fine alla guerra sulla base del piano di Donald Trump, pur mantenendo ferme alcune richieste, mentre il primo ministro del Qatar e alti mediatori statunitensi si recavano in Egitto per partecipare ai negoziati indiretti tra l’organizzazione terroristica palestinese e Israele. Oggi, mercoledì 8, Hamas ha consegnato le liste degli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi da scambiare.

Secondo Reuters, il primo ministro del Qatar, sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, figura chiave nella mediazione, parteciperà ai negoziati di mercoledì «con l’obiettivo di spingere avanti il piano di cessate il fuoco a Gaza e l’accordo per la liberazione degli ostaggi».
Ieri, il dirigente di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato all’emittente egiziana Al Qahera News, che la sua organizzazione è intenzionata a «impegnarsi in negoziati seri e responsabili», precisando che Hamas è pronta a un’intesa ma che chiede una «garanzia» di una pace definitiva.

Ma anche qualora a Sharm el Sheik si giungesse a un’intesa, restano da chiarire i nodi su chi governerà Gaza e chi si farà carico della ricostruzione. Sia il presidente degli Stati Uniti che il primo ministro israeliano hanno categoricamente escluso ogni ruolo di Hamas, e si aspettano che l’organizzazione terroristica si arrenda e consegni tutte le armi. Uno scenario che sembra al momento irrealistico, considerato che Hamas, ha diffuso un comunicato in cui ribadisce una «posizione di resistenza con tutti i mezzi» e afferma che «nessuno ha il diritto» di far rinunciare alle armi il popolo palestinese.

Benjamin Netanyahu non ha commentato lo stato delle trattative, ma su X ha scritto: «Questi sono giorni decisivi. Noi continueremo a perseguire tutti gli obiettivi della guerra: il ritorno di tutti gli ostaggi, la distruzione del potere di Hamas e la certezza che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele».

Nell’ambito dell’enorme sforzo di mediazione, anche il capo dell’intelligence turca, Ibrahim Kalin, si unirà ai colloqui oggi. Israele considera questo un significativo aumento della pressione su Hamas. Kalin è il funzionario turco di più alto rango che dialoga con alti funzionari israeliani. La Turchia dovrebbe svolgere un ruolo centrale nella ricostruzione della Striscia e nell’invio di aiuti umanitari a Gaza, in coordinamento con Israele.
Il presidente turco Erdogan ha detto che Trump ha chiesto alla Turchia «di convincere Hamas» ad accettare l’accordo, ma Erdogan ribatte che piuttosto è necessario esercitare pressioni su Israele, che definisce «il principale ostacolo alla pace». Ciononostante, a Gerusalemme l’idea è che, se Hamas dovesse creare difficoltà ai colloqui, la Turchia e il Qatar potrebbero aumentare la pressione sull’organizzazione terroristica, persino fino al punto  di espellerne i dirigenti attualmente basati a Doha e Istanbul.

I colloqui a Sharm el-Sheikh si concentrano sulla definizione dei meccanismi e dei dettagli per l’attuazione della prima fase del piano Trump, che prevede tre questioni principali: istituire un meccanismo per il rilascio degli ostaggi israeliani in cambio del rilascio dei terroristi palestinesi; stabilire accordi per un cessate il fuoco e un ritiro graduale dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza; garantire il flusso di aiuti umanitari ai residenti della Striscia di Gaza.
Fonti politiche israeliane sentite da Epoch credono che, se non si faranno progressi in questa direzione, gli Stati Uniti potrebbero presentare una proposta di compromesso almeno per la prima fase del rilascio degli ostaggi, e imporla “di forza”. Secondo una fonte egiziana di alto livello, citata dal quotidiano saudita Asharq Al-Awsat, il completamento della prima fase dell’accordo sul piano di pace potrebbe essere deciso prima di venerdì, se continuerà il clima positivo che prevale attualmente nei negoziati. Secondo la stessa fonte, «si può dire che sia già stato raggiunto un accordo sull’agenda per lo scambio di prigionieri e detenuti, e si sta continuando il coordinamento sulla mappa dei ritiri da Gaza City, Khan Yunis e Deir al-Balah, che si prevede si estenderanno anche a altre aree».
Come questo giornale ha riportato nei giorni scorsi, Hamas sta spingendo sulla liberazione dei terroristi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane – chiaramente facendo leva sul ricatto del rilascio degli israeliani che tiene da due anni in ostaggio – per ottenere una vittoria politica interna. Ma per ora non è affatto scontato che le richieste dell’organizzazione jihadista saranno accolte, soprattutto alla luce della immanente presenza americana.

Nel frattempo il ministro degli Esteri americano Marco Rubio sarà giovedì 9 a un vertice a Parigi – a cui parteciperanno i rappresentanti di Italia, Germania e Regno Unito per l’Europa, e Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Qatar per il Medio Oriente – per discutere la transizione di Gaza nel periodo successivo al conflitto.

Il quadro, insomma, è estremamente difficile da decifrare: mentre la pace è ancora lontana e dai negoziati si alternano messaggi altalenanti tra il cauto ottimismo e il disilluso realismo, in parallelo, Occidente e mondo arabo tengono già un vertice per decidere il dopoguerra a Gaza.

 


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