Il piano di pace in bilico e il conflitto interno a Hamas

di Artemio Romano/Yoni Ben-Menachem
1 Ottobre 2025 11:37 Aggiornato: 1 Ottobre 2025 16:52

Gli occhi del mondo intero restano puntati su Hamas, in attesa della sua risposta ufficiale al piano di pace per Gaza. Nel frattempo i militari israeliani continuano l’operazione Gideon Chariots II per prendere il totale controllo di Gaza City. Più di metà delle 72 ore concesse da Donald Trump sono passate e, a dispetto dell’iniziale chiusura dimostrata dalla dirigenza dell’organizzazione terroristica – e dall’Autorità Nazionale Palestinese – oggi, fonti israeliane di Epoch Israele affermano che a Gerusalemme si sta valutando con cautela la possibilità che Hamas risponda positivamente al piano americano, ponendo però condizioni diverse a proprio vantaggio, e sempre nel tentativo (ormai disperato) di guadagnare tempo.

Se Hamas darà risposta positiva, Israele invierà una delegazione a Doha per negoziare l’attuazione del piano americano. Ma, come ha ricordato ieri una fonte politica israeliana, resta il fatto che «il piano presentato dal presidente Trump non è negoziabile: o è “sì”, o è “no”». Ma d’altro canto, Hamas –  e soprattuto il Qatar, che si pone come mediatore – sostengono che il piano americano non sia altro che un punto di partenza per i negoziati. Questo “malinteso” di fondo potrebbe costare molto caro, non solo all’organizzazione terroristica ma anche e soprattuto al popolo palestinese, perché Benjamin Netanyahu e Trump sono stati chiari: se Hamas non accetta nei tempi dati la proposta, il risultato sarà l’annientamento di Hamas e la totale occupazione militare della Striscia di Gaza.

Dopo aver ricevuto il documento del piano americano, si sono tenuti incontri interni tra i dirigenti di Hamas all’estero. Il testo del piano è stato inoltre inoltrato alle altre fazioni palestinesi per la discussione. I mediatori hanno chiesto una risposta entro due giorni, ma Hamas sottolinea di non essere obbligata a farlo, sebbene vi sia un ampio consenso nel rispondere a qualsiasi proposta che garantisca una cessazione completa della guerra, la ricostruzione della Striscia di Gaza, la fine dell’assedio e il completo ritiro israeliano. Contemporaneamente, si sono svolti incontri a Doha con la partecipazione di Qatar, Egitto, Hamas e Turchia. Il portavoce del Ministero degli Esteri del Qatar, Majed al-Ansari, ha dichiarato ieri che «Hamas si è impegnata a esaminare la proposta in modo responsabile».

Secondo fonti di Hamas riportate dal quotidiano saudita Asharq Al-Awsat, ci sarebbe una situazione di confusione rispetto al piano, che hanno descritto come «difficile e umiliante», ma, dicono, Hamas lo affronterà «in modo del tutto positivo».
Dal punto di vista di Hamas, il piano include clausole a dir poco “problematiche”, tra cui la richiesta di totale azzeramento della capacità militare dell’organizzazione e di smilitarizzazione della Striscia. Un alto funzionario di Hamas ha dichiarato a Asharq Al-Awsat che «tutto quello che riguarda le armi e le questioni critiche, sarà discusso e deciso con il pieno consenso di tutte le fazioni della resistenza».

Fonti di Hamas hanno poi commentato che il piano «serve gli interessi israeliani e non soddisfa le richieste palestinesi, se non per dettagli marginali e parziali», e che il testo del piano prevede «clausole vaghe che non ne garantiscono l’effettiva attuazione e lasciano a Israele ampia discrezionalità nella Striscia di Gaza, soprattutto per quanto riguarda il ritiro». Non solo: le stesse fonti dicono che Hamas chiederà alcune modifiche, principalmente sul rilascio degli ostaggi israeliani ancora in vita e la restituzione dei cadaveri, e sostengono che l’ultimatum di 72 ore stabilito sia irrealistico, perché è necessario più tempo per tirare fuori i corpi da sotto le macerie e radunare gli ostaggi in luoghi sicuri.
Questa mattina, la Bbc ha citato un membro di spicco dell’organizzazione terroristica, che ha raffreddato gli animi dicendo che Hamas probabilmente respingerà la proposta, che considera la forza multinazionale una nuova forma di occupazione e che non rinuncerà mai alle armi. Dal mondo palestinese, insomma, arrivano messaggi in parte contraddittori ma in generale poco positivi rispetto al piano di pace proposto dagli Stati Uniti.

A spiegazione della contraddittorietà dei messaggi arrivati all’esterno, risulta che all’interno di Hamas stessa sia in corso un conflitto: fonti di Gaza hanno riferito al quotidiano A-Sharq Al-Awsat che personalità importanti nella Striscia di Gaza e persino i vertici dell’ala militare starebbero sollecitando una risposta positiva alla proposta per mettere fine alla guerra.
Tuttavia, altre fonti all’interno dell’organizzazione vedono il piano americano come una «trappola» concepita per servire i vantaggi personali di Donald Trump, il cui fine sarebbe restituire gli ostaggi a Israele e poi poter riprendere i combattimenti.

Ma, d’altra parte, Hamas sta subendo forti pressioni dalla piazza palestinese e dai leader locali affinché ponga fine alla guerra e alle sofferenze della popolazione. Ex alti funzionari di Hamas nella Striscia di Gaza, tra cui il sindaco di Khan Yunis, Alaa al-Batta, hanno pubblicamente chiesto l’immediata attuazione del piano di Trump, pur sottolineando che è una cosa da fare per forza, turandosi il naso.
Gli stessi ambienti palestinesi, propongono di istituire una delegazione negoziale mista, guidata dall’Autorità Nazionale Palestinese e sponsorizzata da Arabia Saudita, Egitto, Qatar e Turchia, per migliorare alcune clausole e ottenere chiare garanzie sui tempi del ritiro israeliano. E, in caso tutto questo non fosse possibile, chiedono a Hamas che si faccia da parte trasferendo il controllo della Striscia a un comitato arabo-islamico guidato da Arabia Saudita e Egitto.

In conclusione, ad Hamas sta mancando l’appoggio totale e incondizionato non solo del mondo arabo in generale, ma anche dei palestinesi. D’altra parte, se Hamas respingerà il piano americano, il Gabinetto di sicurezza israeliano ordinerà immediatamente ai militari l’escalation militare contro Hamas, che durerà fino al suo totale annientamento. Quante persone – da ambo le parti – moriranno ancora nel frattempo, è un’altra storia.


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