«Hanno cercato di annientare la nostra famiglia», intervista esclusiva a Eric Trump

di Redazione ETI/Jan Jekielek
29 Settembre 2025 14:49 Aggiornato: 29 Settembre 2025 19:55

In un’intervista esclusiva rilasciata a Epoch Times Usa, il terzo figlio del presidente degli Stati Uniti, racconta il dietro le quinte di un decennio di attacchi incessanti mirati a distruggere la sua azienda e la sua famiglia, culminati nei due tentativi di assassinare suo padre. Anni di “guerra” racconta, che non hanno spaventato la famiglia Trump, tutt’altro: la ferocia e la violenza inaudita degli attacchi, hanno progressivamente reso i Trump sempre più determinati a battersi per il futuro degli Stati Uniti d’America.
Eric Trump è l’autore del libro di prossima pubblicazione: Under Siege: My Family’s Fight to Save Our Nation (Sotto assedio: la lotta della mia famiglia per salvare la nostra nazione).

La sua famiglia è da tempo sotto assedio, e lei ne parla nel suo nuovo libro. A livello personale, qual è stato il momento in cui avete capito che tutto era cambiato per sempre?

Non lo dimenticherò mai. Mio padre mi aveva affidato l’azienda quando era andato a Washington. Non mi ero reso conto che sarei stata io la persona priva di protezioni costituzionali. Il presidente degli Stati Uniti è tutelato dalla Costituzione. Io no. E sono diventato probabilmente la persona più citata in giudizio nella storia americana. Io ho ricevuto 112 citazioni in giudizio in un periodo brevissimo. E citazioni pesanti, provenienti dal Senato, dal Parlamento, dai procuratori generali più importanti del Paese, dai procuratori distrettuali. Volevano farci chiudere. Volevano vederci in bancarotta. Volevano mio padre in prigione. Volevano me in prigione. Volevano togliere il nome Trump da ogni edificio in giro per il mondo. Volevano distruggere i nostri rapporti personali: volevano spezzare i legami familiari fra me e i miei fratelli e distruggere il suo rapporto con Melania. Hanno perquisito le nostre case. Hanno cercato di metterlo in stato di accusa. Ci hanno bloccati su Twitter, Instagram e X. Hanno usato il ministero della Giustizia per fini politici, hanno spiato la sua campagna elettorale, hanno inventato la bufala della collusione con la Russia. Hanno inventato dossier infamanti. Lo hanno escluso dalle elezioni in Colorado e poi nel Maine. E poi, quante incriminazioni?… 91 Incriminazioni: nella contea di Fulton, nella contea di ultra-sinistra di New York, e a Washington. Poi gli hanno scattato la foto segnaletica, e poi hanno cercato di ucciderlo.

È questo che hanno fatto alla nostra famiglia: hanno cercato di annientarci. E hanno cercato di sopprimere il movimento Maga. E due settimane fa, avete visto cosa hanno fatto a Charlie Kirk, no? È stata la stessa cosa. Hanno voluto chiudergli la bocca per sempre. Ed è proprio di questo che parla Under Siege. Sono le migliaia di storie dietro le quinte sul come hanno cercato di distruggere la nostra famiglia e il più grande movimento politico nella storia americana.

In che modo tutto questo ha influenzato la famiglia?

A dire il vero, io credo che ci abbia resi duri come la roccia. Probabilmente mi ha reso insensibile. Ricordo la prima volta che ho ricevuto una citazione in giudizio, e mi ha quasi fatto male fisicamente. Ma alla decima, ho pensato: «ci risiamo», ormai avevo capito il gioco. Perché è tutto un gioco. Non è un gioco divertente, né piacevole, ma è un gioco. E a un certo punto lo prendi come proprio come tale. Ma è malvagio: dall’altra parte ci sono persone malate, persone che vogliono distruggere questo Paese, che vogliono annientare un uomo solo perché ha opinioni diverse. Prima hanno cercato di ridicolizzarlo e deriderlo. Ricordiamoci la cena dei corrispondenti della Casa Bianca. Poi hanno cercato di zittirlo, e lo hanno privato dei social media. Ma io dico: Boko Haram, l’ayatollah, i talebani, Hezbollah, tutti avevano un account su Twitter. Ma il 45esimo presidente degli Stati Uniti no! Non poteva avere un account nemmeno su Facebook! Scrivevano a mia moglie [l’influencer Lara Trump, ndr] dicendole: «Se parli di Donald Trump su YouTube, ti buttiamo fuori». E poi, quando non sono riusciti a piegarlo con la guerra legale, sono passati alla violenza fisica. È stata una battaglia folle, e l’abbiamo vinta contro ogni pronostico. Ed è proprio questo il cuore del libro Under Siege.

Può raccontare un episodio della fase più nera che avete attraversato?

Quando sedevo accanto a lui [Donald Trump, ndr] ogni giorno durante i processi a New York. Ricordo che si sono alzati e hanno letto 34 capi d’imputazione, che erano del tutto fasulli. Gli era proibito parlarne. Io ero l’unico a non esserlo, quindi ero sui gradini del tribunale ogni giorno, a gridare quanto l’intero processo fosse una farsa. E ricordo che, dopo le 34 condanne per reato grave, si è voltato e mi ha stretto la mano. Siamo usciti insieme, siamo saliti in macchina, e stavamo andando a un evento di raccolta fondi. Di giorno in tribunale, di notte a raccogliere fondi. E ricordo che, non appena saliti in auto, mi ha guardato e ha detto: «Non so come, ma vinceremo». E non parlava solo del procedimento giudiziario, ma delle elezioni in generale. Tutti i giornalisti in fondo all’aula gli davano zero probabilità. Ed è buffo, perché all’inizio della sua vita ha scritto L’arte di negoziare. Poi il suo secondo libro è stato L’arte del ritorno, che parlava della sua carriera negli affari negli anni Novanta, quando tutti lo davano per finito. Ed è un parallelo perfetto: questo è stato il ritorno. Nessuno avrebbe mai pensato che un uomo appena incriminato per 91 reati gravi – non perché avesse fatto nulla di male, ma unicamente per motivi politici – potesse alla fine diventare presidente. E non solo è diventato presidente, ha vinto tutti gli Stati in bilico e ha vinto il voto popolare; ogni Stato della nazione ha virato a destra. Abbiamo conquistato 11 contee in California che non erano mai state repubblicane. Miami Dade, che non era repubblicana da 37 anni, noi l’abbiamo vinta con l’11 per cento. Vogliamo parlare dell’arte del ritorno? Il titolo di quel libro è stato un grande presagio, quando era giovane, di dove ci trovavamo esattamente un anno fa.

A proposito dell’arte del ritorno, quando suo padre Donald si è alzato a Butler dopo essere stato ferito e ha detto «Combattete, combattete», qual è stata la sua esperienza di quell’episodio?

Io avevo ricevuto molte critiche, circa sei settimane prima di Butler, quando avevo detto: «non mi sorprenderebbe se cercassero di fargli del male». Avevano provato di tutto. Prima hanno cercato di ridicolizzarlo, «non ce la farà mai» dicevano ridendo di lui. Barack Obama che diceva che non era una persona seria. E questo da uno che era un organizzatore di comunità! Uno che non ha mai costruito nulla in vita sua, ma per piacere… E poi appunto hanno cercato di tappargli la bocca, e quando la guerra legale non ha funzionato, io ho detto: «il passo logico successivo è la violenza. Loro fanno sempre così: quando perdono il controllo della situazione passano alla violenza». E ci ho azzeccato. E prima ero stato bombardato, mi davano dell’allarmista…  Ma poi, sei settimane dopo, ecco Butler. E due mesi dopo, sapete cosa è successo sul campo da golf. E circa un anno dopo, ovviamente, quello che è accaduto al nostro buon amico Charlie Kirk. Sono tempi folli quelli in cui viviamo, e non avrei mai pensato che il Paese arrivasse a questo punto. Allo stesso tempo, posso dire che, in generale, la gente è stanca di giochini e sciocchezze, e li vede tutti. E credo che sia per questo che c’è stato un esodo di massa dal Partito democratico in questo Paese. Credo che sia per questo che, in quattro anni, ogni studente universitario in questa nazione, indottrinato da ogni insegnante e professore, educato con una Storia revisionista, sia passato saldamente dalla nostra parte. Il pendolo ha oscillato in modi che probabilmente la maggior parte delle persone nella maggior parte dei Paesi non può nemmeno comprendere. E io sono molto orgoglioso di aver giocato un ruolo importante in tutto questo.

Secondo lei, quello che è accaduto a Butler quanto ha influenzato le elezioni del 2024?

Ha avuto un impatto enorme. Quando ho visto la sua mano in aria, ho pensato: «Abbiamo appena vinto le elezioni». La gente non lo tollererà. La gente conosce la sinistra radicale per quello che è. La sinistra radicale non nasconde più chi è. Sappiamo esattamente chi sono. Sono quelli che chiamano te fascista e poi si appostano su un tetto vestiti di nero con un fucile da cecchino e sparano a uno che sta esercitando pacificamente il proprio diritto di parola. Per me, è questo a essere simile al fascismo, non la persona che parla dall’altra parte. I proiettili volano solo in una direzione: Steve Scalise, mio padre, Charlie Kirk… Quello che hanno quasi fatto a Kavanaugh [giudice della Corte Suprema intimidito e minacciato di morte, ndr] e tanti altri, no? Loro non vogliono tipi come me su quel palco. Loro, noi ci vogliono nel seminterrato. Vogliono che facciamo sostanzialmente quello che ha fatto Joe Biden nel 2020, quando non usciva dal suo seminterrato, non si faceva sentire. Noi non avremmo avuto speranza facendo così. Hillary Clinton ci ha superato di cinque a uno nella raccolta fondi nel 2016, no? Se noi non fossimo stati rumorosi e un po’ politicamente scorretti, e non avessimo parlato dal cuore e non fossimo saliti su ogni trattore con un megafono in ogni Stato in bilico, come abbiamo fatto, e parlato in ogni chiesa e ogni casa e ogni picnic possibile, noi non avremmo avuto nessuna possibilità. E loro lo sanno. E io credo che sia per questo che vogliono impedirti di uscire e partecipare a grandi raduni. Ed è esattamente quello che noi non possiamo permettere. Noi dobbiamo farci sentire più che mai proprio ora. Ripeto: io credo che la gente stia capendo esattamente cosa sia quel partito. Da qui il fatto che 50 Stati abbiano virato a destra, che noi abbiamo vinto il voto popolare e abbiamo vinto con grande distacco ogni Stato in bilico. Credo che la gente stia venendo saldamente dalla nostra parte proprio ora.

Dei due fratelli maggiori, lei sembra quello più riservato. Ma nel 2024 è sembrato molto attivo. Lei ha aspirazioni politiche per il futuro?

Io non sono uno che ha bisogno di stare sotto i riflettori. Ho gestito la nostra azienda per molto tempo e sono bravo in questo. Amo il lavoro. Amo il capitalismo. Amo gli hotel. Amo l’immobiliare. La politica mi piace, ma non è il mio primo amore. Francamente, io detesto metà delle persone in politica, perché credo che la maggior parte siano parassiti che non hanno mai combinato niente nella vita. Una persona che non ha mai pagato uno stipendio, scrive leggi che si applicano a ogni azienda e a ogni persona nel nostro Paese. Una persona che non sa nulla di sanità prende decisioni sulla vita di milioni di persone. Non quadra. Ci sono tutti questi ventenni che entrano in politica, ad esempio Joe Biden, e ci restano per 50 anni e poi diventano presidente, e poi ci si chiede perché non funzioni niente nel nostro Paese, quando questi non hanno mai visto una prospettiva esterna. Le loro intere vite sono dipese da soldi pubblici dati in cambio di voti «sì, no». Io detesto quel sistema. Sono tutt’altro che timido, ma so anche spegnere i riflettori. Spesso a me piace lavorare dietro le quinte e raggiungere l’obiettivo senza essere visto. Certo, quando devo accenderli, lo faccio. Come quando ho presentato mio padre alla convention repubblicana di fronte a centinaia di milioni di persone. Io so stare sul palco. Ma sono stato anche il primo a chiamarlo il giorno in cui abbiamo vinto, il 6 novembre: era mattina  presto e non avevamo dormito, e gli ho detto: «Sai, papà, io ti voglio bene da morire. Congratulazioni, abbiamo vinto il Super Bowl. È stato l’onore più grande della mia vita stare su quel palco. Ma ora io torno alla nostra azienda, io torno al lavoro. Il Paese è in ottime mani, e tu sai che l’azienda sarà in ottime mani. Tu fai quello che fai meglio, e io farò quello che faccio meglio». E in momenti come quello, sono felice di saper spegnere i riflettori e tornare nell’ombra.

Non per insistere, ma io glielo devo chiedere: in futuro lei prenderebbe in considerazione di candidarsi ugualmente?

Io non escludo nulla nella vita, e l’ambiente è meraviglioso. Sto vedendo mio padre fare cambiamenti enormi. Il reclutamento militare sotto Biden è stato il peggiore nella storia della nostra nazione. Un mese dopo sembrava che tutti facessero domanda, tutti volevano arruolarsi. Era tornato il patriottismo. Quindi, ci sono certe cose su cui puoi fare cambiamenti totali, se sei un vero leader e lo fai nel modo giusto. Lasciamo perdere tutti questi politici di carriera che dicono: «Vado a Washington e io farò la differenza». La maggior parte finisce preda del racket di Washington. Ma io non escludo nulla. Quello che posso dirle, è che lui [Donald Trump, ndr] ha dato grande importanza, a tutti noi. Eravamo importanti nel mondo degli affari, e anche nel reality show più importante, The Apprentice. Insomma, avevamo credibilità. E poi all’improvviso siamo entrati in politica, e io credo che abbiamo sviluppato una voce vera e una reale disinvoltura su quel palco, e anche una vera spina dorsale. Parliamoci chiaro: questa roba richiede una spina dorsale vera, mentre cercano di ucciderti letteralmente e figurativamente in ogni aspetto della tua anima e della tua azienda e della tua famiglia e del tuo matrimonio e di tutto il resto. Quindi io credo che ci abbia corazzati in modo unico. Credo che potrei farlo, entrare in politica. Ma la domanda è: lo vorrei? Noi abbiamo visto la parte migliore della politica, e abbiamo visto certamente la parte peggiore. Abbiamo visto decisamente la parte peggiore, peggio di quanto la maggior parte delle persone possa immaginare. Da qui il titolo del libro Sotto assedio, per raccontare tutte quelle storie.

Ma io non escludo mai nulla. Credo in questo Paese; amo il rosso, bianco e blu. Amo il nostro Primo emendamento. Amo la nostra Costituzione. Noi dobbiamo rimanere la superpotenza dominante del mondo. E c’è bisogno di brave persone: servono persone come Donald Trump, che mettano da parte tutto. Che mettano da parte la loro ricchezza, la loro fortuna, la loro famiglia e la loro azienda, per fare l’impensabile. Non ci sono molte persone coraggiose, per niente. Della folla dei “Fortune 500”, in pochissimi direbbero: «Sacrifico tutto per candidarmi contro 16 repubblicani che sono politici di carriera», al contrario di noi, che non ne sapevamo niente. E poi dover competere contro una come Hillary Clinton, che è parte di una delle grandi dinastie politiche dei tempi moderni, solo con la remota possibilità di vincere con un deficit finanziario di cinque a uno, autofinanziando l’intera campagna. Mi trovi lei un altro miliardario che accetterebbe questi termini. Nemmeno uno, vero? Questa gente scommette sulle probabilità. E credo che il buon senso diceva che le nostre probabilità non erano molto buone. Quanti altri miliardari avrebbero affrontato questo rischio? Da qui il motivo per cui hai Joe Biden come presidente, invece di uno come Warren Buffett.

Detto questo, devi avere grandi leader aziendali, persone che possano offrire cambiamenti trasformazionali, e mi piacerebbe vederne molti di più. E se le stelle si allineassero mai e la politica fosse la cosa giusta per me in un certo momento, penso che la prenderei in considerazione.

Lei dona parte dei proventi del libro a Turning Point, in memoria di Charlie Kirk…

È proprio questo il senso di «Under Siege»: esattamente quello che hanno fatto a Charlie. Voglio dire: Charlie sarebbe stato l’ultimo capitolo di quel libro, se il libro non fosse uscito tre giorni prima del suo assassinio. Loro vogliono che la nostra voce scompaia. La vogliono via da quel palco. E noi non possiamo permettere che accada. Turning Point è incredibilmente importante, e avere voci indipendenti è incredibilmente importante. Per questo do una percentuale dei proventi del libro a Turning Point: affinché la sua missione continui. E affinché non possano zittirci, come loro pensavano di poter fare. Pensavano di poter spegnere la sua voce con un proiettile da un dollaro. Ma si sbagliavano: non possono farlo. E per la legge delle conseguenze non intenzionali, ora sta accadendo esattamente l’opposto. Credo che la nostra voce sia più forte che mai, proprio ora.


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