La Russia tiene prigionieri migliaia di bambini ucraini per sottoporli a addestramento militare, rieducazione forzata e impiego nella produzione di droni. A dirlo è un rapporto pubblicato il 16 settembre della facoltà di Sanità pubblica di Yale, che afferma di aver individuato più di 150 nuove strutture (per un totale di 210) rispetto a quanto emerso da una sua indagine simile condotta l’anno scorso. La ricerca, condotta dal Laboratorio di ricerca umanitaria di Yale, si è avvalsa di informazioni open source e immagini satellitari ad altissima risoluzione per identificare i luoghi di detenzione dei minori, tra cui campi estivi, centri termali, scuole per cadetti, strutture sanitarie, università, istituti scolastici, orfanotrofi, una base militare e un persino monastero. Siti disseminati su un territorio che si estende su oltre 5.600 chilometri dal Mar Nero all’Oceano Pacifico. E, sempre stando alla ricerca di Yale «il numero reale è probabilmente superiore, poiché vi sono molteplici siti ancora oggetto di indagine».
Le autorità ucraine accusano Mosca di aver deportato più di 19.500 minori in territorio russo e bielorusso, in violazione della Convenzione di Ginevra. Ma Yale ha stimato questa cifra in oltre 35 mila, denunciando come la Russia abbia creato un sistema «senza precedenti di rieducazione» di massa, che prevede «addestramento militare e strutture in grado di ospitare decine di migliaia di bambini ucraini per periodi prolungati».
I minori ucraini sono costretti in attività di addestramento militare in almeno 39 località, di cui almeno 34 individuate da quest’ultima ricerca di Yale. Ragazzi tra gli 8 e i 18 anni sono stati condotti in campi e in una base militare per subire una preparazione che prevede tecniche di combattimento e manovre, marce e addestramento formale, assemblaggio di droni e lezioni di storia militare, oltre a lezioni di tiro e lancio di granate, nozioni di medicina tattica e pilotaggio di droni.
In sintesi, la Russia è accusata di un crimine di guerra che probabilmente è secondo solo all’Olocausto degli ebrei della seconda guerra mondiale: costringere dei bambini prigionieri di guerra – una “categoria” che già di per sè fa orrore – a diventare soldati al servizio della nazione che ha invaso il loro Paese. Evidentemente, si tratta di bambini rapiti dalle famiglie, oppure di bambini rimasti orfani, ossia i cui genitori sono stati uccisi dall’esercito russo. Lo stesso esercito per il quale ora stanno venendo addestrati a combattere, e forse – appena possibile – anche contro l’Ucraina stessa, vista la penuria di reclute di cui soffre l’esercito russo. E, con ogni probabilità, si tratta di bambini che vengono sottoposti a una qualche forma di lavaggio del cervello, perché non si vede in quale altro modo una persona potrebbe essere convinta a diventare soldato dell’esercito invasore della propria nazione. Un livello di mostruosa aberrazione di fronte al quale si rimane senza parole.
Le conclusioni dell’ultimo rapporto di Yale confermano le accuse contenute nei mandati di arresto emessi nel 2023 dalla Corte penale internazionale all’Aia, nei confronti di Vladimir Putin e del suo commissario per i “diritti dei minori”, Maria Lvova-Belova, per il crimine di guerra di deportazione di bambini. All’epoca, il Cremlino, interpellato dall’agenzia statale Tass, aveva definito le accuse «oltraggiose e inaccettabili», definendo i mandati di cattura «nulli» poiché la Russia non riconosce la giurisdizione della Cpi.
A oggi, 1.605 bambini deportati sono fortunatamente tornati in Ucraina, secondo “Bring Kids Back Ua”, un piano d’azione strategico promosso dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che coordina gli sforzi per il rimpatrio dei minori deportati con la forza. La Russia in passato ha negato il reato di deportazione di bambini contro la loro volontà, sostenendo di aver evacuato delle persone su base volontaria, per sottrarle alla zona di guerra. «Se mi chiedete quanti bambini sono stati rapiti, vi rispondo con sincerità: nessuno», aveva dichiarato a suo tempo l’assistente presidenziale russo Vladimir Medinsky, citato dalla Tass. «I bambini sono stati salvati dai nostri soldati sotto i bombardamenti, a rischio della vita. Ora, i nostri operatori sociali si occupano di ricongiungerli alle famiglie», aveva aggiunto Medinsky. Al momento il Cremlino non ha rilasciato dichiarazioni in merito all’ultimo rapporto di Yale.