La Commissione europea ha deciso di rinviare la presentazione del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Lo hanno annunciato martedì alti funzionari dell’Unione europea, rimandando la richiesta dell’amministrazione Trump di agire in modo realmente efficace per prosciugare le risorse finanziarie russe e costringere il Cremlino perlomeno al tavolo delle trattative.
Si prevedeva che la Commissione sottoponesse mercoledì agli inviati dei 27 Stati membri il nuovo pacchetto di misure restrittive, che avrebbero probabilmente riguardato banche russe, la «flotta ombra» di petroliere usata da Mosca per eludere le sanzioni e sistemi volti a scoraggiare altri Paesi dall’aggirare le restrizioni occidentali.
Due funzionari europei hanno confermato il ritardo, anticipato dal quotidiano Politico, senza però illustrarne i motivi né indicare quando verranno varate le nuove misure.
Andriy Yermak, capo di Gabinetto del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha sollecitato l’Ue ad agire con prontezza. «Il diciannovesimo pacchetto di sanzioni Ue va adottato senza indugi» ha scritto su X.
Gli Stati Uniti hanno intensificato la pressione sull’Europa affinché contribuisca in modo fattivo alla conclusione della guerra russa in Ucraina. Il presidente americano Donald Trump ha detto chiaramente all’Ue che la cosa da fare in questo momento è colpire con dazi punitivi India e Cina, principali acquirenti di greggio russo, e contemporaneamente smettere di importare petrolio e gas dalla Russia.
Un portavoce della Commissione europea ha riferito ai giornalisti che «le discussioni sono in corso per definire un pacchetto solido». L’Europa ha già in programma di interrompere gli acquisti di petrolio e gas russo entro il primo gennaio 2028, un obiettivo che considera persino ambizioso e che nel frattempo dovrebbe prevenire picchi nei prezzi energetici o carenze di approvvigionamento nei Paesi membri. Ma altri due anni e mezzo di guerra non sono affatto pochi, considerando che il conflitto è in corso già da tre anni e mezzo, per cui Washington sollecita un’accelerazione da parte di alcune nazioni europee che – diversamente dall’Italia – sono ancora pesantemente dipendenti dalle importazioni di idrocarburi dalla Russia.
Rispetto ai dazi, il ministro del Tesoro statunitense Scott Bessent ha precisato che l’amministrazione Trump non ne applicherà di ulteriori a quelli già in essere (peraltro molto pesanti) su Cina e India, finché le nazioni europee non inizieranno anche loro a imporre dazi punitivi. Ma è improbabile che Bruxelles “osi” imporre dazi punitivi per motivi politici, perché l’Ue distingue tra dazi e sanzioni, imponendo i primi solo dopo un’indagine che ne giustifichi la legittimità ai sensi delle norme comunitarie sul commercio. E questo a prescindere dalla carneficina in atto in Ucraina.
Quella del presidente degli Stati Uniti «è una proposta spinosa» ha dichiarato un diplomatico europeo a Reuters. «Anche se le sue richieste sono volutamente esagerate – lamenta il funzionario di Bruxelles – ci costringono comunque a confrontarci con esse in qualche misura, per evitare che scarichi la colpa sull’Ue», ha spiegato all’agenzia di stampa il funzionario europeo, al quale si deve dare atto di essersi espresso con “sincerità”: per Bruxelles il problema, evidentemente, non è come svincolarsi dalla schiavitù energetica russa né, tantomeno, trovare un modo per coordinarsi con l’America per costringere Putin a fermare la carneficina che sta insanguinando il cuore dell’Europa da anni. Il problema di Bruxelles sembra essere strettamente politico, ovvero: su chi poter far ricadere «la colpa» del fallimento delle trattative di pace. Nel frattempo, gli ucraini (ma anche i soldati russi) continuano a morire.