L’Europa è «impegnata in una lotta per il suo futuro» e non c’è più spazio per la «nostalgia» ha detto Ursula von der Leyen aprendo oggi il suo discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato davanti al Parlamento europeo a Strasburgo. La von der Leyen ha dipinto un quadro di instabilità internazionale, parlando di immagini «scioccanti» da Gaza e dei continui attacchi della Russia contro l’Ucraina. Ha sottolineato come i cittadini europei sentano l’impatto di queste crisi, dall’aumento del costo della vita alla sensazione di incertezza. Per rispondere a queste sfide, la presidente della Commissione ha esortato gli Stati membri a superare le divisioni e a dimostrare «coraggio, unità e senso di urgenza».
Oltre al tono deciso sulla sicurezza e la geopolitica, il discorso di Ursula von der Leyen ha toccato questioni economiche e sociali cruciali. Sul fronte economico, ha espresso preoccupazione per le nuove politiche protezionistiche (statunitensi in primis ma forse anche cinesi), ha ribadito la necessità di rafforzare il mercato unico come «porto sicuro» e ha promesso di presentare una tabella di marcia fino al 2028 per rimuovere le barriere interne ancora esistenti.
Un altro tema centrale è stato il rispetto dello Stato di Diritto, che la von der Leyen ha definito un «requisito imprescindibile per i fondi dell’Ue», promettendo di rafforzare ulteriormente il legame nel prossimo bilancio a lungo termine. Infine, ha proposto di superare il «quorum dell’unanimità» in settori cruciali come la politica estera, per consentire all’Unione di agire con maggiore rapidità ed efficacia, liberandosi dalla volontà degli Stati membri. Insomma: (ancora) meno potere agli Stati e (ancora) più potere a Bruxelles.
Affrontare uno per uno i temi specifici toccati dalla presidente della Commissione, richiederebbe troppo. E in un certo senso nemmeno è necessario. Perché il discorso dal tono kennediano di Ursula von der Leyen di oggi, di fatto è un vero e proprio manifesto per una “nuova Europa” indipendente: un progetto che esiste “a priori” da diversi decenni e che nella sostanza prescinde dalla situazione contingente, che al massimo può svolgere il ruolo di catalizzatore di un esperimento la cui esecuzione non è in discussione.
La von der Leyen a Strasburgo è apparsa grintosa al limite dell’aggressività: ha abbandonato le sfumature diplomatiche per parlare apertamente di «lotta» e della necessità di conquistare un posto in un «nuovo ordine mondiale basato sul potere». Questo radicale cambio di tono (non certo di idee) riflette la concezione che l’Unione Europea debba, tassativamente, essere sempre più unita e integrata, senza dipendere passivamente dagli alleati storici, per smettere di essere una comparsa e diventare invece un protagonista della scena internazionale.
Il successo di questa a dir poco ambiziosa visione è tutto da vedere: dipende dalla volontà degli Stati membri (e del Parlamento europeo) di recepire questo “appello all’unità”, dando esecuzione alla volontà di Bruxelles. E questo non è per nulla scontato: come è facile immaginare, il discorso ha suscitato sia applausi che contestazioni. L’unità chiesta a gran voce da una figura burocratica, oggettivamente priva ogni vera legittimazione da parte dei popoli europei, dà da pensare. Cercando di interpretare il pensiero della persona più potente d’Europa, si può immaginare che voglia un’Europa fusa in un’unica entità politica e militare, che però continui a essere composta da Stati nazionali dotati di una qualche parziale autonomia di tipo amministrativo/esecutivo.
E di questo, forse bisognerebbe chiedere ai popoli europei cosa ne pensino. Anche perché si tratterebbe di una cosa mai vista nella Storia. Perché questa visione di federazione europea, a quanto pare, non punta a creare una singola “nazione” europea in senso proprio, che implicherebbe una cultura, una lingua e un’identità uniche per tutti i cittadini. Essendo ormai chiaro a chiunque quanto tutte queste unicità siano impossibili da ottenere (persino con la forza), dal discorso di oggi non resta che dedurre che la von der Leyen e i federalisti europei non vogliano una nazione unica, appunto, ma una sorta di “entità” politica ibrida, che non sia né uno Stato nazionale classico né una semplice unione di Stati: un’Europa innovativa e creativa, insomma. Affinché un simile progetto, a dir poco rivoluzionario, possa avere una qualche possibilità di successo, però, sarebbe necessario che Bruxelles avesse il consenso dei diversi popoli europei. Un consenso che, nella realtà dei fatti, non sembra esistere.