L’impero di Giorgio Armani è un modello di gestione imprenditoriale

di redazione eti/Reuters
5 Settembre 2025 9:37 Aggiornato: 5 Settembre 2025 12:05

Giorgio Armani, il fondatore del marchio di moda forse più celebre al mondo, è scomparso giovedì all’età di 91 anni, lasciando pesanti interrogativi sul futuro di un’azienda la cui indipendenza era, per lui, un valore fondamentale. Unico azionista di maggioranza della società fondata negli anni ’70 con Sergio Galeotti, Armani ha mantenuto fino alla fine un controllo rigoroso sugli aspetti creativi e gestionali. Ma “Re Giorgio” non aveva figli – uno dei suoi più grandi rimpianti – e quindi non ci sono eredi diretti che possano acquisire direttamente l’azienda. Ma sua sorella Rosanna e i nipoti Silvana, Roberta e Andrea Camerana hanno sempre ricoperto ruoli fondamentali all’interno del gruppo.

Nel 2024 la holding Armani – la Giorgio Armani Spa – ha generato un fatturato di oltre 2 miliardi euro, pur registrando un calo dei profitti a causa della recessione generale nel settore del lusso, ma rimane molto «attraente» per l’esperto del settore Mario Ortelli, managing partner della società di consulenza Ortelli&Co citato da Reuters, «Armani attrae ancora» perché «è uno dei marchi più riconoscibili al mondo, con una visione stilistica chiara e unica». Negli anni, la maison ha ricevuto diverse proposte, come nel 2021 da John Elkann, erede della famiglia Agnelli, e da Gucci. Secondo diversi analisti del settore, Armani (comprensibilmente) diffidava dei rivali francesi, e ha sempre escluso accordi che avrebbero diluito il suo controllo dell’azienda o portato alla quotazione in Borsa. Per garantirsi continuità e indipendenza, Giorgio Armani aveva sempre collaborato con familiari fidati e colleghi di lunga data.
Nell’ultima intervista al Financial Times, Giorgio Armani aveva espresso il desiderio di una transizione graduale verso i suoi collaboratori più stretti e la famiglia: «I miei piani di successione prevedono un passaggio graduale delle responsabilità che ho sempre gestito a chi mi è più vicino, come Leo Dell’Orco, i membri della mia famiglia e l’intero team di lavoro».

Ma resta il dilemma: chi erediterà l’azienda? A breve ci sarà la lettura del testamento per designare il futuro erede. Già nel 2016 Armani aveva istituito una fondazione con l’obiettivo di «salvaguardare la governance» dell’azienda, emettendo dei principi per lui fondamentali. In un’intervista al Corriere della Sera, Armani aveva spiegato che lo scopo della Fondazione è appunto quello di evitare che gli eredi vendano o frammentino il gruppo. Attualmente, la Fondazione Armani detiene una quota simbolica dello 0,1% della società con sede a Milano, ma dopo la sua morte dovrebbe acquisire una partecipazione maggiore insieme agli altri eredi. Re Giorgio, insomma, aveva (giustamente) pensato a tutto. Aveva redatto degli statuti aziendali, che entrano automaticamente in vigore dopo la sua morte, e che definiscono i principi di governance per gli eredi. Gli statuti promuovono un approccio “cauto” alle acquisizioni e suddividono il capitale sociale in diverse categorie con diritti di voto e poteri distinti, anche se il documento non chiarisce esattamente come saranno distribuiti i blocchi di azioni. Inoltre, una quotazione in Borsa richiederebbe il sostegno della maggioranza dei dirigenti e potrebbe avvenire solo «dopo il quinto anno dall’entrata in vigore dello statuto».

A livello operativo, ora il gruppo dovrà riempire i ruoli di presidente e amministratore delegato, finora ricoperti da Giorgio Armani stesso: tra i possibili candidati figurano i nomi di veterani come Giuseppe Marsocci e Daniele Ballestrazzi. Ma per quanto riguarda il settore creativo, la questione potrebbe essere più complessa. La nipote Silvana ha collaborato con lo zio nella progettazione delle collezioni femminili, mentre Dell’Orco ha lavorato con lui su quelle maschili. «L’azienda avrà un unico direttore creativo? O ci saranno più figure creative o direttori per linee specifiche? Probabilmente Giorgio Armani ha delineato queste indicazioni nelle linee guida che la Fondazione implementerà a breve», ha commentato Ortelli.

Giorgio Armani aveva sempre ribadito la sua determinazione a sviluppare un’azienda di dimensioni relativamente contenute rispetto a colossi come Lvmh, Kering e Prada: «Ho scelto di investire in progetti di grande significato simbolico e pratico, fondamentali per il futuro dell’azienda». Questi investimenti, pari a 332 milioni di euro nel 2024 – quasi il doppio rispetto al 2023 – sono serviti (anche) a ristrutturare negozi come quello sulla Madison Avenue a New York, l’Emporio Armani a Milano e il nuovo Palazzo Armani a Parigi.
Le entrate maggiori del gruppo Armani arrivano dall’Europa: praticamente la metà, una quota ben più alta rispetto ad altri marchi di lusso, mentre Americhe e Asia-Pacifico contribuiscono ciascuna per circa un quinto. A fine 2024, il gruppo disponeva di 570 milioni di euro di liquidità netta, nonostante l’aumento degli investimenti. Re Giorgio, insomma, era tanto grande come stilista quanto come imprenditore.

 

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