La questione se la coscienza possa esistere indipendentemente dal cervello sfida le certezze della neuroscienza moderna. Tradizionalmente, si ritiene che il cervello, con circa un chilo e 400 grammi di tessuto e due miliardi di neuroni connessi da 500 trilioni di sinapsi, sia la fonte della consapevolezza umana. Ma casi clinici e nuove teorie scientifiche, in particolare legate alla fisica quantistica, indicano che la coscienza potrebbe non dipendere esclusivamente dalla struttura cerebrale, aprendo prospettive rivoluzionarie.
Un caso emblematico, documentato dalla rivista The Lancet, riguarda un uomo francese affetto da idrocefalo postnatale, diagnosticato a sei mesi. Questa condizione, caratterizzata da un eccesso di liquido cerebrospinale, aveva ridotto il tessuto cerebrale a un sottile strato, lasciando il cranio quasi interamente riempito di fluido. Lionel Feuillet, neurologo dell’Ospedale de la Timone a Marsiglia, ha constatato che il cervello del paziente era praticamente assente. Eppure l’uomo, padre di due figli e funzionario pubblico, conduceva una vita normale, senza difficoltà nel percepire, provare emozioni o svolgere attività cognitive.
Un altro studio significativo risale agli anni ’80, quando John Lorber, neurologo dell’Università di Sheffield, ha esaminato oltre 600 casi di bambini con idrocefalo. Tra i 60 con la forma più grave, accompagnata da atrofia cerebrale, la metà mostrava un quoziente intellettivo superiore a 100 e viveva normalmente. Un esempio straordinario era uno studente universitario, laureato con lode in matematica e con un quoziente intellettivo di 126, il cui cervello aveva uno spessore di appena un millimetro, contro i quattro centimetri e mezzo di un cervello medio. Questi casi, pubblicati su Science nel 1980, hanno spinto Lorber a chiedersi: «Il cervello è davvero necessario?».
Queste evidenze mettono in discussione l’assunto che la corteccia cerebrale e l’ippocampo, responsabili di sensi, movimento e memoria, siano indispensabili per la coscienza. Alcuni scienziati ipotizzano che strutture profonde del cervello, non facilmente rilevabili con scansioni tradizionali, possano svolgere ruoli cruciali. Patrick Wall, professore di anatomia all’University College di Londra, sottolineava nel 1981 che queste strutture, spesso trascurate, potrebbero essere fondamentali per molte funzioni attribuite esclusivamente alla corteccia. Norman Geschwind, neurologo affiliato ad Harvard, e David Bowsher, professore di neurofisiologia a Liverpool, concordavano nel ritenere queste strutture più rilevanti di quanto comunemente pensato.
A offrire una possibile spiegazione è la fisica quantistica. Stuart Hameroff, direttore del Centro per gli studi sulla coscienza dell’Università dell’Arizona, sostiene che i microtubuli, minuscole strutture tubolari presenti in tutte le cellule, inclusi i neuroni, siano centrali nella generazione della coscienza. Questi microtubuli, composti da proteine chiamate tubuline, abbondanti nel cervello, agiscono come antenne, elaborando informazioni e vibrazioni. Hameroff, insieme al fisico britannico Roger Penrose, premio Nobel, ipotizza che i microtubuli colleghino il mondo quantistico alla nostra consapevolezza, trasformando segnali quantistici in percezioni, pensieri ed emozioni. «Il cervello non è un semplice computer di neuroni, ma un’orchestra quantistica, con risonanze e armonie su diverse frequenze, simile alla musica», osserva Hameroff.
Questa teoria trova riscontro anche in organismi unicellulari come il paramecio, che mostrano comportamenti complessi – come nuotare, evitare ostacoli o apprendere – senza sinapsi o reti neurali. Secondo Hameroff, i microtubuli consentono a questi organismi e, con ogni probabilità, anche alle persone affette da forme gravi di idrocefalo, di mantenere capacità cognitive attraverso un adattamento della neuroplasticità. Uno studio pubblicato su Physical Review E indica che le vibrazioni delle molecole lipidiche nella guaina mielinica producono fotoni correlati a livello quantistico, favorendo la sincronizzazione dell’attività cerebrale. In parole semplici, queste vibrazioni generano segnali che aiutano il cervello a coordinarsi meglio.
Lo studio della coscienza, ancora oggetto di dibattito tra neuroscienziati e filosofi, continua a evolversi. Le scoperte in questo campo aprono nuove prospettive e spingono a riconsiderare il ruolo del cervello come unica sede della consapevolezza. Rimanere aperti e curiosi verso questi misteri è essenziale per comprendere la natura della mente umana.




