Lunedì, il direttore dell’Intelligence nazionale statunitense, Tulsi Gabbard, ha annunciato che il governo britannico ha accettato di ritirare la richiesta ad Apple di garantire un accesso privilegiato ai dati degli utenti.
La Gabbard ha annunciato su X che l’accordo è giunto al termine di mesi di collaborazione con i partner britannici, insieme al presidente Trump e al vicepresidente JD Vance, allo scopo di salvaguardare i dati privati e le libertà civili degli americani. «Di conseguenza, il Regno Unito ha acconsentito a revocare l’obbligo imposto ad Apple di fornire un “accesso privilegiato” che avrebbe consentito di penetrare nei dati crittografati e protetti dei cittadini statunitensi, e violare le nostre libertà civili».
All’inizio di quest’anno erano emerse notizie secondo cui il governo britannico aveva notificato ad Apple un “avviso di capacità tecnica”, imponendo alla società di garantire l’accesso ai dati crittografati degli utenti in base all’Investigatory Powers Act del 2016. In risposta, Apple aveva sospeso la funzione di Advanced data protection per gli utenti nel Regno Unito, motivando la decisione con timori legati a possibili violazioni dei dati. Il produttore di iPhone aveva dichiarato in un post del 24 febbraio di non aver «mai creato un accesso privilegiato o una chiave maestra per nessuno dei nostri prodotti o servizi, e non lo faremo mai».
La funzione Advanced data protection garantisce una crittografia end-to-end per l’archiviazione su iCloud, impedendo a chiunque non sia il titolare dell’account – inclusi governi e hacker – di accedere a dati come foto, documenti e note. Senza questa funzione, alcuni tipi di dati su iCloud non godono più di una crittografia completa, rendendoli accessibili a terzi dotati di adeguata autorizzazione legale. «Apple resta impegnata a offrire ai propri utenti il massimo livello di sicurezza per i dati personali e confidiamo di poterlo fare anche in futuro nel Regno Unito», aveva affermato l’azienda in quell’occasione.
A maggio, il presidente della commissione Giustizia della Camera statunitense, Jim Jordan, e il presidente della commissione Affari esteri della Camera, Brian Mast, avevano inviato una lettera al ministro degli Esteri britannico, Yvette Cooper, esortandola ad autorizzare Apple a rivelare l’esistenza dell’ordine al ministero di Giustizia statunitense. L’obiettivo era consentire alle autorità statunitensi di verificare se tale provvedimento fosse conforme a un accordo bilaterale tra Usa e Regno Unito, previsto dal Cloud Act, che vieta di imporre alle aziende l’obbligo di decriptare i dati.
Secondo la lettera, le leggi britanniche vietano alle società statunitensi di divulgare o confermare l’esistenza di un simile ordine, e tale condotta costituisce un reato penale, anche se la divulgazione avviene nei confronti del governo del Paese di origine dell’azienda. I parlamentari statunitensi avevano detto che l’ordine britannico imposto ad Apple per creare un accesso privilegiato poteva comportare gravi conseguenze, poiché avrebbe potuto essere sfruttato da criminali informatici e regimi autoritari: «Queste vulnerabilità non riguardano solo gli utenti britannici, ma anche i cittadini americani e di tutto il mondo, data la natura mondiale dei servizi di Apple».