Il cancro delle reti criminali nordcoreane in Africa

di redazione eti/darren taylor
18 Agosto 2025 12:56 Aggiornato: 18 Agosto 2025 12:56

I diplomatici nordcoreani in Africa gestiscono reti criminali che commettono reati come traffico di stupefacenti e armi, contrabbando di oro e diamanti, e perfino traffico di sigarette e di fauna selvatica, secondo fonti di Epoch Times Usa. Ma l’obiettivo non è (solo) l’arricchimento personale: il denaro “guadagnato” in Africa viene inviato a Pyongyang per tenere in piedi il regime del dittatore nordcoreano Kim Jong Un. Ma la maggior parte dei governi africani fa ben poco per fermare questi racket, e alcuni perfino li favoriscono.

La Repubblica popolare democratica di Corea è descritta da Human Rights Watch come «uno dei Paesi più repressivi al mondo»: una brutale tirannide in cui il potere è mantenuto a suon di arresti arbitrari, torture, esecuzioni, sparizioni forzate e lavoro coatto. La dittatura comunista nordcoreana (analogamente a quella vicina cinese) nega le libertà fondamentali, tra cui quelle di espressione e di religione, vieta le proteste e i giornali indipendenti dal regime, il libero associazionismo dei cittadini e (ironicamente) i sindacati, e impedisce perfino ai cittadini di viaggiare all’estero.

Tornando al racket africano, negli ultimi anni, funzionari diplomatici nordcoreani sono stati condannati per reati come il bracconaggio di rinoceronti, e vi sono prove consistenti del coinvolgimento di Pyongyang perfino nel traffico di droga e armi in Africa, ma molti governi del continente «chiudono un occhio», dice a Epoch Times Usa Chad Thomas, investigatore privato sudafricano che ha seguito diversi casi riguardanti funzionari nordcoreani: negli uffici della maggior parte dei rappresentanti nordcoreani in Africa «sono i gangster a comandare».
«Le reti criminali nordcoreane nel continente risalgono agli anni Sessanta, quando i comunisti appoggiavano tutte le rivoluzioni anticoloniali; il fatto relativamente nuovo è che le organizzazioni criminali abbiano stabilito delle basi nelle ambasciate nordcoreane. I funzionari diplomatici – spiega l’investigatore – sono di fatto dei boss. E agiscono in modo sfacciato. Molti politici africani sanno cosa sta accadendo, ma evidentemente alcuni sono complici». Gli uffici di diversi rappresentanti diplomatici della Repubblica coreana in Africa, tra cui quelli in Botswana, Mozambico, Sudafrica, Tanzania e Zimbabwe, non hanno risposto alle richieste di commento entro i tempi di pubblicazione. Solo quelli dello Zimbabwe e del Sudafrica hanno replicato: il portavoce dello Zimbabwe, Nick Mangwana, ha detto a Et Usa che il presidente Emmerson Mnangagwa «non tollererebbe mai che attività criminali fossero gestite da missioni diplomatiche». Il portavoce del presidente sudafricano Vincent Magwenya ha dichiarato: «i nostri problemi con i funzionari nordcoreani in Sudafrica appartengono al passato. Abbiamo detto loro che se commettono dei reati verranno puniti a norma legge come chiunque altro».

Tycho van der Hoog, professore di studi sulla sicurezza internazionale presso l’Accademia della Difesa olandese ha detto a Et Usa: «Molti ex rivoluzionari africani, come quelli dell’African National Congress in Sudafrica, dello Swapo in Namibia e dello Zanu-pf in Zimbabwe, hanno forti legami con Pyongyang e buoni rapporti con i funzionari nordcoreani». La ricerca di Van der Hoog sulla storia nordcoreana è iniziata nel 2017 a Windhoek, la capitale della Namibia nell’Africa meridionale. «La città era piena di monumenti e musei che sono repliche di quelli di Pyongyang, quasi stalinisti nel design. Questo si vede in tutta l’Africa, e specialmente nell’Africa meridionale, in Paesi come Angola, Zimbabwe, Botswana e Mozambico; a Windhoek, per esempio, l’Heroes Acre corrisponde a un memoriale di Pyongyang. I monumenti commemorano la lotta per l’indipendenza dal colonialismo e dal dominio della minoranza bianca. Servono anche a legittimare l’autorità del regime attuale. Paesi in cui la gente vive in povertà, spendono milioni di dollari per importare monumenti e statue dalla Corea del Nord, violando le sanzioni internazionali e fornendo valuta pregiata al regime di Kim».
Nel suo libro Comrades Beyond the Cold War: North Korea and the Liberation of Southern Africa, il professor Van der Hoog descrive in dettaglio come i progetti di costruzione nordcoreani in Africa offrano copertura per l’esportazione illegale di armi verso il continente: «Le estese reti criminali che la Corea del Nord ha creato nel corso dei decenni sono ancorate alle missioni diplomatiche e agli uffici commerciali delle imprese che vendono monumenti e armi, e contrabbandano una vasta gamma di beni e prodotti illeciti, inclusi stupefacenti e oro. Il denaro che fluisce dall’Africa permette a Kim di rimanere al potere, di finanziare progetti nucleari e anche di sviluppare missili balistici».

Secondo Chad Thomas, alcuni funzionari nordcoreani che gestiscono reti criminali in Africa sono stati arrestati, ma «non ne conosco uno che sia stato imprigionato – osserva – vengono deportati. E quando questi operatori scompaiono, sono semplicemente sostituiti da altri e si ricomincia». Nel 2017, il Global Initiative Against Transnational Organized Crime ha pubblicato un rapporto che documenta le attività criminali nordcoreane in Africa. Il capo investigatore, Julian Rademeyer, ha presentato prove del coinvolgimento di funzionari nordcoreani in reati, tra cui il traffico di corni di rinoceronte, avorio, oro, e il contrabbando di armi e munizioni illegali. Durante la sua indagine, in cui ha parlato con funzionari governativi africani, diplomatici e disertori nordcoreani, ha ricevuto la conferma che le ambasciate di Pyongyang in diversi stati africani «sono strettamente connesse a una complessa rete di attività illecite volte a rafforzare il regime di Kim Jong-un e ad arricchire diplomatici a corto di denaro». Rademeyer ha citato un disertore nordcoreano che gestiva una società di copertura per Pyongyang a Pechino, il quale ha detto: «I diplomatici arrivavano dall’Africa portando corni di rinoceronte, avorio e pepite d’oro»; in un caso, nel maggio 2015, un “consigliere politico” nordcoreano presso l’ambasciata a Pretoria, è stato fermato nella capitale mozambicana Maputo, dopo che la polizia l’aveva trovato in possesso di corni di rinoceronte e di 100 mila dollari in contanti. La polizia ha poi rilasciato il funzionario nordcoreano (che era in viaggio verso Pretoria) dietro pagamento di una cauzione di 30 mila dollari.

Secondo le testimonianze raccolte, Pyongyang attualmente «cambia i funzionari regolarmente» evidentemente per evitare loro di finire incriminati e per depistare le forze dell’ordine, e i rapporti tra la Corea del Nord e i Paesi africani sono spesso basati su una reciproca sopravvivenza: la dittatura nordcoreana ha bisogno di soldi, e a causa delle sanzioni il modo migliore per ottenerli è attraverso il crimine. Allo stesso tempo, gli ex cosiddetti “movimenti di liberazione”  africani a volte truccano le elezioni perché sono così impopolari che è l’unico modo di restare al potere, e i finanziamenti nordcoreani sono la linfa vitale dei loro partiti.


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