L’Africa sta valutando l’introduzione di una valuta “non circolante” garantita dalle risorse strategiche del Continente Nero. Tecnicamente si tratterebbe di un’unità di conto – l’African Units of Account (Aua) – pensata per ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense e dai flussi di credito provenienti dall’estero, e per sfruttare strategicamente il patrimonio minerario africano. L’idea nasce da un piano della Banca africana di sviluppo e di Kpmg Sudafrica, col sostegno dell’Unione Africana e del Sudafrica. La valuta sarebbe ancorata a un paniere di materie prime come cobalto, litio, platino e rame, risorse di cui l’Africa possiede quasi un terzo delle riserve mondiali e che sono sempre più richieste per tecnologie avanzate, infrastrutture energetiche e sistemi di difesa.
A livello mondiale, l’Africa riveste un ruolo centrale nella produzione di questi minerali: il Sudafrica è tra i principali produttori mondiali di manganese e platino, lo Zimbabwe si distingue per la produzione di litio, mentre la Repubblica Democratica del Congo detiene una quota significativa, circa il 70%, della produzione mondiale di cobalto.
Secondo l’economista sudafricano Moeletsi Mbeki, una valuta ben strutturata e garantita da tali risorse rafforzerebbe la posizione dell’Africa nei mercati mondiali e consentirebbe di valorizzare internamente le materie prime, in un momento di instabilità causata da conflitti e tensioni commerciali. Secondo gli analisti, una moneta ancorata a tali materie prime potrebbe contribuire a ridurre la dipendenza dell’Africa dalle valute estere, in particolare dal dollaro statunitense, e limitare la necessità di ricorrere a prestiti da parte di Cina, Europa, Stati Uniti e istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale. Secondo il piano, le Aua verrebbero negoziate dunque sul mercato internazionale dei cambi, risultando meno soggette alle oscillazioni delle singole valute africane o del dollaro statunitense, e sarebbero pertanto più attrattive per gli investitori. Gli economisti ritengono infatti che il sostegno della valuta mediante riserve minerali possa ridurre il rischio percepito dai creditori, che vedranno questa valuta come più sicura e affidabile. Di conseguenza, percepiranno un rischio minore nel concedere prestiti con il possibile effetto di abbassare i tassi di interesse sui prestiti destinati a progetti di sviluppo, in particolare nel settore energetico africano.
La proposta avanzata dalla Banca Africana di Sviluppo insieme a Kpmg Sudafrica mira a sviluppare un sistema finanziario regionale più integrato e stabile. Il progetto prevede infatti che i principali Paesi produttori di questi minerali destinino una quota prestabilita di riserve certificate a sostegno dell’iniziativa, con l’obiettivo di favorire l’integrazione finanziaria, la cooperazione e il commercio transfrontaliero.
Sebbene alcuni rappresentanti dell’industria mineraria africana mostrino ottimismo sulle potenzialità di questa moneta, altri esprimono preoccupazioni rispetto al rischio che il regime cinese possa sfruttarla a proprio vantaggio, data la posizione dominante di Pechino nelle catene di approvvigionamento internazionali delle risorse strategiche. Oggi infatti meno del 5% dei minerali viene trasformato localmente, e gran parte dei profitti finisce nelle mani di attori esterni, in particolare della Cina. L’introduzione di una moneta comune ancorata a queste risorse potrebbe rappresentare un passo verso una maggiore autonomia economica e un incremento dei benefici locali oltre a fungere da leva per ridurre la dipendenza da aiuti e scambi commerciali occidentali e da investimenti e prestiti cinesi, favorendo un percorso di industrializzazione e rafforzamento politico.
Non mancano però posizioni critiche. L’ex ministro delle Finanze ugandese Ezra Suruma evidenzia come le risorse strategiche, a differenza dell’oro, siano soggette a una volatilità di prezzo elevata, mettendo in dubbio la stabilità di una valuta basata su di esse. Condizione, secondo l’economista, che richiede prima il raggiungimento di una maggiore stabilità nei mercati delle materie prime. Anche Frank Blackmore, capo economista di Kpmg Sudafrica, indica alcune difficoltà strutturali che potrebbero ostacolare l’implementazione della valuta, tra cui infrastrutture carenti, come energia elettrica e trasporti, nonché la scarsità di manodopera qualificata, fattori che limitano lo sfruttamento efficiente delle risorse minerarie africane. Mbeki propone di utilizzare inizialmente il paniere di minerali come garanzia per finanziare lo sviluppo industriale e incoraggiare un’estrazione e una lavorazione controllata localmente. Tuttavia, evidenzia anche un possibile freno rappresentato dalla Cina, che pur esprimendo sostegno allo sviluppo africano, potrebbe opporsi a iniziative in grado di ridurne l’influenza sul continente. Finché il regime cinese manterrà una posizione dominante nella catena di approvvigionamento delle risorse strategiche, la piena stabilità e autonomia della nuova valuta rimarranno incerte, con il rischio che il regime la usi a proprio vantaggio.