Il recente e misterioso arresto di Liu Jianchao, uno dei diplomatici di maggior rilievo del Partito comunista cinese, solleva interrogativi importanti sul clima interno e sulle dinamiche del potere nella Repubblica Popolare Cinese. Liu, considerato un potenziale successore al ministero degli Esteri, è stato sottoposto a interrogatorio dalle autorità al suo rientro a Pechino dopo una missione all’estero, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal. L’Ufficio per l’Informazione del Consiglio di Stato, che gestisce le comunicazioni per il governo cinese, e il Dipartimento per i Rapporti Internazionali del Pcc non hanno fornito commenti alla richiesta avanzata da Reuters.
Alla guida dell’organismo del Partito incaricato di curare i rapporti con i partiti politici esteri, Liu ha viaggiato in oltre 20 Paesi e incontrato funzionari di più di 160 nazioni dal suo insediamento nel 2022. L’intenso programma di incontri, tra cui quelli con l’ex ministro degli Esteri statunitense Antony Blinken a Washington, aveva alimentato le aspettative di una sua futura nomina a capo della diplomazia cinese.
Originario della provincia nordorientale di Jilin, Liu ha studiato inglese all’Università di Studi Esteri di Pechino e relazioni internazionali a Oxford, prima di iniziare la carriera come traduttore presso il ministero degli Esteri. Ha prestato servizio nella missione cinese a Londra e ha ricoperto incarichi da ambasciatore in Indonesia e nelle Filippine.
La vicenda di Liu assume particolare rilievo se inserita nel contesto delle epurazioni del regime e delle guerre di potere interne al Pcc. Il richiamo all’episodio nel 2023 di Qin Gang, ex ministro degli Esteri e protetto del capo del regime, il dittatore Xi Jinping, la cui uscita di scena è stata accompagnata da voci di scandalo, sottolinea come nessuno sia al sicuro nella dittatura comunista cinese. Nemmeno lo stesso Xi.