Dal 7 al 10 giugno, le due portaerei cinesi Liaoning e Shandong hanno operato congiuntamente oltre la Prima Catena di Isole, che nell’Oceano Pacifico rappresentano una cruciale linea di separazione tra la Cina da una parte e il Giappone, Taiwan, Filippine; una “seconda linea” analoga si estende da Ogasawara fino alle Isole Marianne e Palau. L’operazione, oltre sfidare politicamente/militarmente il Giappone, dimostra la nuova strategia navale del regime cinese: sacrificare due delle tre proprie portaerei “meno avanzate” (meglio sarebbe dire vetuste, obsolete e lontane anni luce da quelle statunitensi) come diversivo per ostacolare e rallentare un intervento degli Stati Uniti in caso di attacco a Taiwan, guadagnando tempo prezioso e ostacolando la rapidità dei rinforzi americani e alleati. La marina statunitense sarebbe in grado di contrastare questa strategia?
Il Partito comunista cinese ha anche una terza portaerei, la Fujian, di recente costruzione e basata sul modello e sulle tattiche operative di quelle americane. In caso di attacco del regime cinese a Taiwan, quindi, le due vecchie bagnarole verrebbero probabilmente schierate oltre la Prima Catena di Isole per attirare il fuoco delle forze statunitensi e alleate, allontanandole dal teatro principale, concedendo tempo per l’assalto anfibio su Taiwan. Le esercitazioni recenti indicano che la Marina cinese sta già testando questo scenario (o almeno questo vuole far credere).
La tattica richiama un episodio della Seconda Guerra Mondiale. Nell’ottobre 1944, durante la riconquista americana delle Filippine con lo sbarco nella Baia di Leyte, si combatté la più grande battaglia navale della storia: quella del Golfo di Leyte. In quell’occasione, il Giappone schierò quasi tutte le sue forze navali residue in un estremo e disperato tentativo di ribaltare le sorti del conflitto. Con una sola portaerei principale, tre leggere e due ibride, per un totale di 108 aerei, queste unità furono usate come diversivi per attirare le unità navali americane, lasciando lo spazio a corazzate e incrociatori giapponesi per colpire le forze da sbarco. Le marine statunitense e australiana disponevano allora di una forza terrificante: nove portaerei di squadra, otto leggere, 18 di scorta, quasi 1.500 aerei e oltre 2 mila navi di supporto, tra cui 179 corazzate, incrociatori e cacciatorpediniere. Il diversivo giapponese riuscì a distogliere le portaerei americane, ma il resto della flotta nipponica fallì. Il risultato fu una disfatta: il Giappone perse gran parte della propriaa potenza navale.
Oggi il regime cinese mostra di voler attuare una tattica simile: per competere con gli Stati Uniti nel Pacifico, deve per forza superare il “varco” naturale della Prima Catena di Isole stagliata davanti alle proprie coste, delimitata da Giappone, Taiwan e Filippine. Ma un assalto fallito a Taiwan potrebbe distruggere gran parte della flotta cinese, in mare o in porto. Per questo il Pcc è stato finora prudente: nonostante la Cina abbia la prima marina del mondo per “tonnellaggio”, la rapidità di intervento e la potenza di fuoco americane (per non parlare dell’esperienza di combattimento) sono ineguagliabili.
Potrebbe certo trattarsi di un “diversivo nel diversivo”: le esercitazioni sono eventi condotti alla luce del sole e facilmente visibili, per cui la vera strategia del Pcc potrebbe essere un’altra. O forse no. Sia come sia, il 27 maggio, alle 2 del mattino, secondo il ministero della Difesa giapponese, la Liaoning ha attraversato lo Stretto di Miyako, entrando nel Pacifico. Ha poi navigato verso sud, raggiungendo le acque a est di Luzon, nelle Filippine, un’area cruciale per bloccare il Canale di Bashi e permettere alla Us Navy la difesa di Taiwan.
Invece di restare a est di Taiwan, la Liaoning si è fermata per giorni nelle Filippine orientali, simulando una contesa per le zone di schieramento delle portaerei americane. In seguito, ha virato a nord-est verso le isole sud-orientali del Giappone. Alle 18 del 7 giugno, si trovava tra Iwo Jima e Minamitorishima, oltre la Seconda Catena di Isole. Se gli Stati Uniti schierassero un secondo gruppo di portaerei nel Mar delle Filippine, lo posizionerebbero probabilmente a sud-est di Okinawa per controllare lo Stretto di Miyako. Lo stesso giorno, la Shandong è apparsa a circa 550 chilometri a sud-est di Okinawa, come se stesse simulando una battaglia con un secondo gruppo di portaerei statunitense per il controllo dell’area. Nel frattempo, la Liaoning era a est di Iwo Jima. Da qui la deduzione che i movimenti coordinati delle due portaerei potrebbero essere una prova per dividere le forze americane, costringendole a combattere più fronti.
Casualmente (o forse no), la portaerei nucleare statunitense George Washington (appena ammodernata) aveva appena lasciato Yokosuka per il suo dispiegamento del 2025, navigando verso sud, inserendosi in questa simulazione cinese di un attacco a tenaglia contro una portaerei americana.
Il Partito comunista cinese sa bene come le sue portaerei più vecchie non possano minimamente competere con i gruppi di portaerei americani in uno scontro diretto. L’obiettivo più probabile sarebbe quindi spingere le portaerei americane fuori dalle posizioni chiave e/o ostacolarne le operazioni. Il ministero della Difesa cinese ha dichiarato che l’esercitazione con le due portaerei ha testato «la difesa in alto mare e le operazioni di combattimento congiunte». Ma operare oltre la Prima Catena di Isole ha scarso o nullo valore difensivo per la marina cinese: in caso di guerra, le navi schierate oltre questa linea probabilmente finirebbero presto la propria corsa adagiandosi sul fondo del Pacifico. Probabilmente, quindi, non si è trattato di un’esercitazione “difensiva”, ma piuttosto la prova di un attacco sacrificale. I pochi caccia J-15 a bordo delle due vecchie portaerei (che messe insieme raggiungono le 120 mila tonnellate circa) limitati dai trampolini di decollo, hanno tra l’altro capacità di attacco ridotte e rappresentano una minaccia minima per le forze americane o giapponesi. Ma la presenza delle portaerei cinesi potrebbe comunque disturbare le operazioni aeree e navali statunitensi a supporto di Taiwan.
Quanto sarebbe realmente efficace questo diversivo è molto difficile dirlo. Gli Stati Uniti hanno undici portaerei nucleari (alcune modernizzate, altre ultramoderne varate da poco) ognuna delle quali supera le 100 mila tonnellate (e ognuna delle quali porta dai 44 ai 48 caccia), 9 portaerei “leggere” anfibie d’assalto, e 69 sommergibili sempre a propulsione nucleare (di cui 14 armati con missili balistici nucleari Trident e 4 armati con missili da crociera Tomahawk). La reazione degli Stati Uniti, insomma, potrebbe facilmente essere devastante, non solo per la marina cinese, ma per la Cina tout court. A meno che gli Stati Uniti non fossero troppo impegnati anche su altri fronti. Naturalmente questi sono ragionamenti focalizzati su una guerra convenzionale, nella speranza che nessuno a Pechino sia così folle da pensare di poter ricorrere ai missili nucleari.