Trump cambia tono con Putin

di Redazione ETI/Andrew Thornebrooke
10 Luglio 2025 9:50 Aggiornato: 10 Luglio 2025 19:49

A Washington l’aria è cambiata: dopo mesi e mesi di (purtroppo inutili) pressioni diplomatiche su Mosca, e di fronte a una nuova e particolarmente violenta ondata di attacchi russi contro le città ucraine, la Casa Bianca ora dichiara di voler rafforzare l’assistenza militare all’Ucraina e inasprire la pressione economica su Mosca introducendo nuove, pesanti, sanzioni.

Un segnale chiaro di questa evoluzione è arrivato dopo la telefonata del 4 luglio tra Trump e Putin. La conversazione, la sesta da gennaio, non solo si è conclusa senza progressi (come, di fatto, le precedenti) ma a detta dello stesso Trump, Putin ha mostrato scarso interesse per una tregua e, poche ore dopo, il Cremlino ha ordinato un massiccio bombardamento sull’Ucraina, impiegando centinaia di droni e missili, in gran parte di fabbricazione iraniana. Un’escalation che si è ripetuta nei giorni successivi con ulteriori attacchi in aree densamente popolate da civili. «Non credo che voglia fermarsi» ha quindi concluso Trump.
A seguito della telefonata con Putin, Trump ha parlato anche con il presidente ucraino Zelensky, che ha definito l’incontro telefonico «importante e produttivo». Tra i temi discussi, il rafforzamento delle difese aeree ucraine per contenere le perdite civili e l’ipotesi di iniziare una collaborazione nella produzione di armamenti. Anche Trump ha descritto la conversazione come «molto positiva».
In questo scenario il presidente statunitense ritiene inevitabile confermare il proprio sostegno all’invio di nuove forniture militari, tra cui i sistemi di difesa aerea Patriot, ritenuti fondamentali per la protezione delle città ucraine: «Sta morendo troppa gente, quindi invieremo armi difensive all’Ucraina» ha dichiarato Trump, aggiungendo poi un commento lapidario su Putin: «non tratta gli esseri umani in modo adeguato».

L’approvazione del presidente di nuove forniture di armi, segnano un cambio di passo rispetto alla recente “valutazione” dell’opportunità o meno di proseguire con le esportazioni militari all’Ucraina da parte del Pentagono, giustificata con la necessità di allineare ogni decisione alla dottrina “America First”. Ma il mutato orientamento non si limita al piano militare: la Casa Bianca ha anche espresso sostegno a una proposta legislativa del Senato per sanzionare il settore petrolifero russo. Il provvedimento, promosso dal senatore repubblicano Lindsey Graham, prevede l’introduzione di un dazio del 500 per cento sui beni importati da Paesi che continuano ad acquistare petrolio dalla Russia. Una decisione che potrebbe avere implicazioni economiche molto pesanti anche per partner commerciali strategici di Mosca, come Cina e India.
Donald Trump, che in passato aveva minacciato sanzioni contro l’industria petrolifera russa senza però darvi seguito, ora invece sembra determinato a procedere, anche alla luce dei legami sempre più stretti tra Mosca e alcuni Paesi ostili agli Stati Uniti, tra cui Iran, Cina e Corea del Nord. E proprio Pyongyang, che considera la Corea del Nord parte di un conflitto indiretto contro gli Stati Uniti e i suoi alleati, ha intensificato il suo sostegno logistico e militare a Mosca, inviando migliaia di soldati e ingenti forniture di munizioni. Allo stesso tempo è attesa una visita del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in Corea del Nord, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione bilaterale.

Le probabilità di una soluzione negoziata, insomma, sembrano sempre più scarse, a causa della mancanza di volontà del Cremlino di fermare questa guerra. Anzi: Putin evidentemente la guerra la vuole continuare e (stra)vincere. Ambizione d’altra parte naturale, visto che l’aggressore è la Russia: per Putin fermarsi equivarrebbe ad ammettere la sconfitta. Cosa inammissibile, ovviamente, soprattutto se si considera che – tra Corea del Nord, Iran e Cina – alla Russia non mancano alleati su cui fare affidamento per colmare le proprie insufficienze.
Lo scorso maggio infatti, lo stesso vicepresidente JD Vance aveva riconosciuto che le richieste russe – tra cui la pretesa che l’Ucraina cedesse territori ancora nemmeno occupati dall’esercito russo – erano irrealistiche. Ossia erano impossibili da accettare, fatte apposta per essere respinte.

In tutto questo, il Cremlino non sembra prendere sul serio Donald Trump. Interpellato dai giornalisti, il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov ha dichiarato che Trump «adotta spesso uno stile comunicativo duro», ma che «potrebbe comunque rimanere un interlocutore disponibile al dialogo», concludendo: «noi confidiamo di poter proseguire il confronto con Washington e di mantenere la rotta verso un graduale riavvicinamento, nonostante i gravi danni inflitti ai rapporti bilaterali». Ma il tempo delle chiacchiere sembra  essere finito: Donald Trump fa intendere di non voler più tollerare le “prese in giro” di Putin. Ed è molto probabile che passi all’azione.


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